L'ASSEGNO DI MANTENIMENTO PER I FIGLI
L'ASSEGNO DI MANTENIMENTO PER I FIGLI NON ECONOMICAMENTE AUTOSUFFICIENTI: CHI E' TENUTO A CORRISPONDERLO E FINO A QUANDO?
CENNI STORICI SULL'EVOLUZIONE DELLA NORMATIV
IN MATERIA DI MANTENIMENTO DEI FIGLI
IN MATERIA DI MANTENIMENTO DEI FIGLI
Una tra le domande più ricorrenti che i
genitori separati o divorziati pongono all'avvocato riguarda l'assegno di
mantenimento per i figli non economicamente autosufficienti: chi è tenuto a
versarlo ed in quale misura? Ed ancora: sino a quando perdura l'obbligo per i genitori di contribuire al mantenimento per i figli?
Anzitutto, si deve sfatare un luogo comune
molto diffuso nella società civile, secondo il quale al compimento del
diciottesimo anno d'età cesserebbe l'obbligo posto a carico dei genitori di contribuire al mantenimento dei figli.
Al contrario, detto obbligo permane sino a quando essi non abbiano raggiunto
l'autosufficienza economica, ovvero quando i figli - ultimato il loro percorso
di studi - si sottraggano colpevolmente a possobili fonti di guadagno,
rifiutando senza giustificato motivo opportunità di lavoro corrispondenti al
percorso di studi intrapreso.
Il quadro normativo relativo al mantenimento dei figli ha avuto un'importante evoluzione a partire dal 2006, quando con la legge n.54/2006 si è introdotto nell'ordinamento non solo l'affidamento condiviso dei figli (parificando la figura del padre a quella della madre), ma si è anche codificata la figura giuridica dei figli naturali nati da coppie conviventi, che ha poi trovato il suo naturale sbocco nella legge n.219/2012 e nel decreto attuativo n.154/2013 che stravolgendo l'assetto del Titolo IX del Libro I del Codice Civile hanno equiparato la condizione dei figli naturali a quella dei figli legittimi ed a quella dei figli adottivi, i quali ultimi avevano già trovato equiparazione rispetto ai primi con la legge n.184/1983.
Secondo le intenzioni del legislatore, l'obbligo di contribuire al mantenimento dei figli è il più importante tra i doveri posti a carico dei genitori, l'aspetto fondamentale della cosiddetta responsabilità genitoriale connessa al rapporto di filiazione così come oggi espressamente previsto dal Titolo IX Libro I c.c.
Entrambi i genitori sono tenuti a contribuire al mantenimento dei figli nella misura corrispondente (o proporzionale) al proprio reddito; l'inadempimento ingiustificato di quest'obbligo è non solo sinonimo di disinteresse del genitore rispetto ai bisogni della prole, ma costituisce anche illecito penale sanzionato dall'art. 570 c.p. (violazione degli obblighi di assistenza famigliare).
Fermo restando l'affidamento condiviso dei figli, l'assegno di mantenimento deve essere versato dal genitore non collocatario in favore del genitore presso il quale i figli trascorrono la maggior parte del tempo: lo scopo è quello di contribuire ai maggiori costi per vitto ed alloggio (ed altre spese quotidiane) che il genitore collocatario deve sostenere in funzione del maggior tempo che i figli trascorrono con lui.
L'assegno periodico di mantenimento è spesso fonte di liti tra i genitori, perché nella prassi il genitore non allocatario tende a confondere l'assegno di mantenimento per i figli che versa brevi manu all'altro genitore come un indebito arricchimento di quest'ultimo, anziché come la doverosa contribuzione al fabbisogno della prole: altrimenti detto, se prima della disgregazione del nucleo famigliare (sia esso di fatto oppure coniugale) entrambi i genitori davano spontaneamente il proprio contributo al menage famigliare, perché non farlo parimenti a seguito della separazione?
Del resto, che entrambi i genitori debbano contribuire al fabbisogno della prole è principio acquisito e sancito già dall'art. 316 bis c.c. che regola i rapporti generali tra genitori e figli.
Il mantenimento dei figli può essere erogato in forma diretta oppure indiretta: nel primo caso ciascun genitore contribuisce direttamente al fabbisogno dei figli in relazione al tempo trascorso con loro, che in questo caso si ripartisce al 50% con l'altro genitore; nel secondo caso il genitore non allocatario versa all'altro un assegno periodico, che tenga conto delle attuali esigenze dei figli, del pregresso tenore di vita goduto in costanza di convivenza, del tempo di permanenza dei figli presso ciascun genitore e delle diverse possibilità economiche delle due figure genitoriali.
Fatte queste doverose premesse per inquadrare la tematica in esame, si passi ora ad esaminare come la legge n.219/2012 ha messo mano al Titolo IX del Libro I c.c., riformando integralmente la materia.
Il quadro normativo relativo al mantenimento dei figli ha avuto un'importante evoluzione a partire dal 2006, quando con la legge n.54/2006 si è introdotto nell'ordinamento non solo l'affidamento condiviso dei figli (parificando la figura del padre a quella della madre), ma si è anche codificata la figura giuridica dei figli naturali nati da coppie conviventi, che ha poi trovato il suo naturale sbocco nella legge n.219/2012 e nel decreto attuativo n.154/2013 che stravolgendo l'assetto del Titolo IX del Libro I del Codice Civile hanno equiparato la condizione dei figli naturali a quella dei figli legittimi ed a quella dei figli adottivi, i quali ultimi avevano già trovato equiparazione rispetto ai primi con la legge n.184/1983.
Secondo le intenzioni del legislatore, l'obbligo di contribuire al mantenimento dei figli è il più importante tra i doveri posti a carico dei genitori, l'aspetto fondamentale della cosiddetta responsabilità genitoriale connessa al rapporto di filiazione così come oggi espressamente previsto dal Titolo IX Libro I c.c.
Entrambi i genitori sono tenuti a contribuire al mantenimento dei figli nella misura corrispondente (o proporzionale) al proprio reddito; l'inadempimento ingiustificato di quest'obbligo è non solo sinonimo di disinteresse del genitore rispetto ai bisogni della prole, ma costituisce anche illecito penale sanzionato dall'art. 570 c.p. (violazione degli obblighi di assistenza famigliare).
Fermo restando l'affidamento condiviso dei figli, l'assegno di mantenimento deve essere versato dal genitore non collocatario in favore del genitore presso il quale i figli trascorrono la maggior parte del tempo: lo scopo è quello di contribuire ai maggiori costi per vitto ed alloggio (ed altre spese quotidiane) che il genitore collocatario deve sostenere in funzione del maggior tempo che i figli trascorrono con lui.
L'assegno periodico di mantenimento è spesso fonte di liti tra i genitori, perché nella prassi il genitore non allocatario tende a confondere l'assegno di mantenimento per i figli che versa brevi manu all'altro genitore come un indebito arricchimento di quest'ultimo, anziché come la doverosa contribuzione al fabbisogno della prole: altrimenti detto, se prima della disgregazione del nucleo famigliare (sia esso di fatto oppure coniugale) entrambi i genitori davano spontaneamente il proprio contributo al menage famigliare, perché non farlo parimenti a seguito della separazione?
Del resto, che entrambi i genitori debbano contribuire al fabbisogno della prole è principio acquisito e sancito già dall'art. 316 bis c.c. che regola i rapporti generali tra genitori e figli.
Il mantenimento dei figli può essere erogato in forma diretta oppure indiretta: nel primo caso ciascun genitore contribuisce direttamente al fabbisogno dei figli in relazione al tempo trascorso con loro, che in questo caso si ripartisce al 50% con l'altro genitore; nel secondo caso il genitore non allocatario versa all'altro un assegno periodico, che tenga conto delle attuali esigenze dei figli, del pregresso tenore di vita goduto in costanza di convivenza, del tempo di permanenza dei figli presso ciascun genitore e delle diverse possibilità economiche delle due figure genitoriali.
Fatte queste doverose premesse per inquadrare la tematica in esame, si passi ora ad esaminare come la legge n.219/2012 ha messo mano al Titolo IX del Libro I c.c., riformando integralmente la materia.
LA RIFORMA DEL TITOLO IX LIBRO I DEL CODICE CIVILE E L'INTRODUZIONE DEL
CONCETTO DI RESPONSABILITA' GENITORIALE
Fino alla riforma del Titolo IX Libro I del Codice Civile la norma fondamentale cui fare riferimento in materia di mantenimento dei figli era l'art. 147 c.c. a tenore del quale "il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire ed educare i figli nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali ed aspirazioni".
Con
l'entrata in vigore della legge n.219/2012 e del decreto attuativo n.154/2013 le norme di riferimento in materia sono divenute gli
artt. 315 bis e ss. c.c.
Infatti,
l'art.147 c.c. che pure non è stato abrogato ma
semplicemente riformulato, creava una sorta di disparità nel trattamento tra
figli legittimi (nati all'interno del matrimonio) e figli naturali (nati
all'interno di coppie di fatto); con la riforma appena citata il legislatore ha
parificato il trattamento dei figli, eliminando la distinzione tra figli
legittimi, naturali ed adottivi ed introducendo nell'ordinamento il concetto di
responsabilità genitoriale, che è andato a
sostituirsi a quello di potestà genitoriale.
Infatti,
gli artt. 147 e 148 c.c. oggi si limitano a rimandare agli artt. 315 bis e 316 bis c.c. (introdotti dal decreto
legislativo n.154/2013 in attuazione dalla legge delega n.219/2012) che costituiscono il corpus fondamentale dei "diritti e doveri dei figli".
Ma
prima di esaminare nel dettaglio le norme di riferimento, è bene precisare che cosa s'intende per responsabilità genitoriale:
trattasi di quella situazione giuridica complessa idonea a riassumere i doveri,
gli obblighi ed i diritti in capo al genitore derivanti dal rapporto di
filiazione, che viene a sostituire il tradizionale concetto di potestà.
Vista
la parificazione (art.315 c.c., libro I, titolo IX, capo I) tra figli naturali (nati fuori del vincolo
matrimoniale) e figli legittimi (nati all'interno del vincolo matrimoniale)
espressamente disciplinata dall'art. 315 c.c., secondo il quale "tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico", il successivo art.315
bis c.c. dispone che:
"il
figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito ed assistito
moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue
inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni.
Il
figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi
con i parenti.
Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e
anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere
ascoltato (art.336 bis c.c.) in tutte le questioni e le procedure che lo
riguardano.
Il figlio deve rispettare i genitori e deve
contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio
reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa".
Appare subito chiaro che l'obbligazione di
mantenimento per i figli non si esaurisce nel pagamento dei soli alimenti, ma
riguarda anche tutte le altre spese che attengono alla vita di relazione dei figli
nel contesto sociale in cui vivono: trattasi di un obbligo che trae origine
dal cosiddetto rapporto di solidarietà o di filiazione tra genitori e figli, e
che include anche l'istruzione, l'educazione e l'assistenza morale, tenuto
conto delle inclinazioni dei figli.
La
riforma del Libro I Titolo IX del codice civile attuata dal D. Lgs. 154/2013 ha
aggiunto, tra i doveri dei genitori rispetto ai figli, anche l'obbligo
dell'assistenza morale attraverso il richiamo operato dall'art. 315 bis c.c.
In
base alla normativa attualmente vigente, i genitori sono tenuti per effetto del
solo rapporto di filiazione a fare fronte ad una molteplicità di esigenze dei
figli: sono obbligati non solo a mantenerli, e dunque a fornire loro le risorse
economiche per il vivere quotidiano, per le attività scolastiche e
parascolastiche, per le spese mediche e per le attività ricreative, ma anche a
curarne l'istruzione e l'educazione, nonché a garantirne il giusto sostegno
morale nell'affrontare i problemi della quotidianità.
Inoltre,
grazie al richiamo operato dall'art. 317 bis c.c. i genitori devono anche garantire che i figli
minorenni coltivino con gli ascendenti (nonni) e le rispettive linee parentali
significativi rapporti: "gli ascendenti hanno diritto di mantenere
rapporti significativi con i nipoti minorenni. L'ascendente al quale è
impedito l'esercizio di tale diritto può ricorrere al giudice del luogo di
residenza abituale del minore affinché siano adottati i provvedimenti più
idonei nell'esclusivo interesse del minore".
LE
NORME FONDAMENTALI E LA RIFORMA DEL 2013
Art.
147 c.c. (doveri dei genitori verso i figli).
Il
matrimonio impone ad ambedue i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire,
educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità,
inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall'art. 315 bis
c.c.
Il Decreto Legislativo n.154/2013 ha
inserito nel Codice Civile il Capo I all'interno del Titolo IX - Libro I
rubricandolo come "dei diritti e doveri del figlio": tra le
norme recentemente introdotte c'è appunto l'art.315
bis c.c. cui fa esplicito rimando il succitato art. 147 c.c.
L'art.315
bis c.c. è stato inserito all'interno del Titolo IX
- Libro I del Codice Civile, che si occupa della già citata "responsabilità genitoriale"
che recependo la legislazione comunitaria ha sostituito l'obsoleto concetto di "potestà genitoriale".
Art.315
bis c.c. (diritti e doveri del figlio).
[I]. Il figlio ha diritto di essere mantenuto,
educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue
capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni.
[II]. Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e
di mantenere rapporti significativi con i parenti.
[III]. Il figlio minore che abbia compiuto gli anni
dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di
essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano.
[IV]. Il figlio deve rispettare i genitori e deve
contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al
proprio reddito, al mantenimento della famiglia, finché convive con essa.
Il successivo art. 316
c.c. disciplina, invece, la cosiddetta "responsabilità
genitoriale" ossia quell'insieme di diritti e di doveri connessi al
rapporto di filiazione.
Art. 316 c.c. (responsabilità genitoriale).
[I]. Entrambi i genitori hanno la responsabilità
genitoriale che é esercitata di comune accordo tenendo conto delle capacità,
delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio. I genitori di
comune accordo stabiliscono la residenza abituale del minore.
[II]. In caso di contrasto su questioni di particolare
importanza ciascuno dei genitori può ricorrere senza formalità al giudice
indicando i provvedimenti che ritiene più idonei.
[III]. Il giudice, sentiti i genitori e disposto
l'ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età
inferiore ove capace di discernimento, suggerisce le determinazioni che ritiene
più utili nell'interesse del figlio e dell'unità familiare. Se il contrasto
permane il giudice attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori
che, nel singolo caso, ritiene il più idoneo a curare l'interesse del figlio.
[IV]. Il genitore che ha riconosciuto il figlio
esercita la responsabilità genitoriale su di lui. Se il riconoscimento del
figlio, nato fuori del matrimonio, è fatto dai genitori, l'esercizio della
responsabilità genitoriale spetta ad entrambi.
[V]. Il genitore che non esercita la responsabilità
genitoriale vigila sull'istruzione, sull'educazione e sulle condizioni di vita
del figlio.
Art.316 bis c.c. (concorso nel mantenimento dei figli).
[I]. I genitori devono adempiere i loro obblighi nei
confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro
capacità di lavoro professionale o casalingo. Quando i genitori non hanno mezzi
sufficienti, gli altri ascendenti, in ordine di prossimità, sono tenuti a
fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro
doveri nei confronti dei figli.
[II]. In caso di inadempimento il presidente del
tribunale, su istanza di chiunque vi ha interesse, sentito l'inadempiente ed
assunte informazioni, può ordinare con decreto che una quota dei redditi
dell'obbligato, in proporzione agli stessi, sia versata direttamente all'altro
genitore o a chi sopporta le spese per il mantenimento, l'istruzione e
l'educazione della prole.
[III]. Il decreto, notificato agli interessati ed al
terzo debitore, costituisce titolo esecutivo, ma le parti ed il terzo debitore
possono proporre opposizione nel termine di venti giorni dalla notifica.
[IV]. L'opposizione è regolata dalle norme relative
all'opposizione al decreto di ingiunzione, in quanto applicabili.
[V]. Le parti ed il terzo debitore possono sempre
chiedere, con le forme del processo ordinario, la modificazione e la revoca del
provvedimento.
Come già accennato, un'altra norma di recente
introduzione è quella che mira a salvaguardare, ed anzi ad incentivare, i
rapporti tra i nipoti e gli ascendenti (nonni).
Art. 317 bis c.c. (rapporti con gli ascendenti).
[I]. Gli ascendenti hanno diritto di mantenere
rapporti significativi con i nipoti minorenni.
[II]. L'ascendente al quale è impedito l'esercizio di
tale diritto può ricorrere al giudice del luogo di residenza abituale del
minore, affinché siano adottati i provvedimenti più idonei nell'esclusivo
interesse del minore. Si applica l'art. 336 secondo comma c.c.
Come si evince dal dettato normativo, le vigenti norme
introdotte introdotte nel Titolo IX - Libro Primo del codice civile non solo
hanno parificato in modo assoluto le due figure genitoriali, che hanno ora pari
diritti e pari doveri rispetto ai figli: entrambi, infatti, devono concorrere
al benessere ed alla crescita crescita della prole in eguale misura secondo le
rispettive capacità; ed allo stesso modo i figli hanno diritto di conservare e
coltivare significativi rapporti con entrambe le figure genitoriali e con i
parenti di questi. Ma vi è di più.
Le norme appena citate si applicano tanto ai figli
nati all'interno del matrimonio (figli legittimi), quanto a quelli nati fuori
del matrimonio (figli naturali). Inoltre, è oggi tutelata la figura dei nonni,
che si ad oggi era stata del tutto o quasi ignorata dal Legislatore.
Alla luce di quanto precede, non potrà più accadere
che un minore sia privato da uno dei due genitori dell'altra figura genitoriale
se non per giustificato motivo; allo stesso modo i nonni non potranno essere
privati del diritto, sino ad oggi troppo compresso, di veder crescere i propri nipoti e di
trasmettere loro i propri valori.
L'assoluta parificazione dei figli naturali rispetto
ai figli legittimi si desume anche e soprattutto dal fatto che le finalità di
cui agli articoli precedenti sono perseguite secondo la disciplina unitaria stabilita dal Capo II (artt.337 bis e ss. c.c.)
che regola l'esercizio della responsabilità genitoriale a seguito di
separazione, divorzio, scioglimento degli effetti civili del matrimonio,
annullamento e nullità del matrimonio, ovvero all'esito dei procedimenti
relativi ai figli nati fuori del matrimonio.
L'ESERCIZIO DELLA RESPONSABILITA' GENITORIALE A SEGUITO DI SEPARAZIONE,
DIVORZIO E SCIOGLIMENTO DELLA FAMIGLIA DI FATTO
A questo punto vediamo cosa dispongono gli artt. 337 bis e ss. c.c. per
quanto riguarda il mantenimento dei figli e l'assegnazione della dimora
familiare all'esito del giudizio di separazione, di divorzio ovvero in seguito
allo scioglimento della famiglia di fatto.
A questo riguardo si tenga presente che gli artt. 155 bis e s.s.
c.c. sono stati interamente abrogati e sostituiti dal Capo II del Titolo IX -
Libro I c.c.
Art. 337 ter c.c. (provvedimenti riguardo ai figli).
[I]. Il figlio minore ha il diritto di mantenere un
rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere
cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare
rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo
genitoriale.
[II]. Per realizzare la finalità indicata dal primo
comma, nei procedimenti di cui all'art. 337 bis c.c. il giudice adotta i
provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale
e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori
restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i
figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso
ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi
deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione
dei figli. Prende atto, se non contrari all'interesse dei figli, degli accordi
intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla
prole, ivi compreso, in caso di temporanea impossibilità di affidare il minore
ad uno dei genitori, l'affidamento familiare. All'attuazione dei provvedimenti
relativi all'affidamento della prole provvede il giudice del merito e, nel caso
di affidamento familiare, anche d'ufficio. A tal fine copia del provvedimento
di affidamento è trasmessa, a cura del pubblico ministero, al giudice tutelare.
[III]. La responsabilità genitoriale è esercitata da
entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative
all'istruzione, all'educazione, alla salute e alla scelta della residenza
abituale del minore sono assunte di comune accordo tenendo conto delle
capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di
disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su
questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori
esercitino la responsabilità genitoriale separatamente. Qualora il genitore non
si attenga alle condizioni dettate, il giudice valuterà detto comportamento
anche al fine della modifica delle modalità di affidamento.
[IV]. Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno
dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al
proprio reddito. Il giudice stabilisce, ove necessario, la
corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di
proporzionalità, da determinare considerando:
1) le attuali esigenze del figlio.
2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di
convivenza con entrambi i genitori.
3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore.
4) le risorse economiche di entrambi i genitori.
5) la valenza economica dei compiti domestici e di
cura assunti da ciascun genitore.
[V]. L'assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di
altro parametro indicato dalle parti o dal giudice.
[VI]. Ove le informazioni di carattere economico
fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e
sui beni oggetto della contestazione anche
se intestati a soggetti diversi.
Dalla norma appena citata emergono tre importanti
concetti:
1) l'obbligo di mantenimento è posto a carico di entrambi i genitori senza distinzione tra madre e padre;
2) salvo diverso accordo intervenuto tra i genitori, essi contribuiscono al fabbisogno dei figli in proporzione al proprio reddito, tenuto anche conto del lavoro domestico e di chi sovraindente al menage famigliare;
3) per realizzare le finalità di cui sopra, il giudice ha il potere di disporre un accertamento di polizia tributaria al fine di acccertare l'effettiva consistenza patrimoniale e reddituale dei genitori.
1) l'obbligo di mantenimento è posto a carico di entrambi i genitori senza distinzione tra madre e padre;
2) salvo diverso accordo intervenuto tra i genitori, essi contribuiscono al fabbisogno dei figli in proporzione al proprio reddito, tenuto anche conto del lavoro domestico e di chi sovraindente al menage famigliare;
3) per realizzare le finalità di cui sopra, il giudice ha il potere di disporre un accertamento di polizia tributaria al fine di acccertare l'effettiva consistenza patrimoniale e reddituale dei genitori.
Per quanto riguarda l'assegnazione
della dimora famigliare soccorre l'art.
337 sexies c.c. secondo il quale: "(...) il godimento della casa famigliare è attribuito tenuto
prioritariamente conto dell'interesse dei figli. Dell'assegnazione il giudice
tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, tenuto
conto dell'eventuale titolo di proprietà (...)".
In considerazione di ques'ultima norma, l'assegnazione
della dimora famigliare ad un genitore piuttosto che all'altro dipende oggi
esclusivamente dall'interesse dei figli a permanere nel loro habitat: ne
segue che se i figli minorenni sono allocati prevalentamente presso la madre,
il godimento della casa famigliare sarà assegnato pro tempore alla
madre; al contrario, se i figli venissero allocati presso il padre, il
godimento della casa sarà assegnato a quest'ultimo.
LA CESSAZIONE DELL'OBBLIGO DI MANTENIMENTO DEI FIGLI: CONSIDERAZIONI FINALI
Tanto chiarito e sfatato il luogo comune stante il
quale "i figli perderebbero il diritto al mantenimento una volta raggiunta
la maggiore età", è venuto ora il momento di rispondere al quesito introduttivo: cosa
accade quando i figli raggiungono la maggiore età e non sono più soggetti alla
"responsabilità genitoriale"?
In questo caso, soccorre l'art. 337 septies c.c., che
disciplina i provvedimenti in favore dei figli divenuti maggiorenni.
Art.337 septies c.c. (disposizioni in favore dei figli maggiorenni).
[I]. Il giudice, valutate le circostanze, può disporre
in favore dei figli maggiorenni non indipendenti
economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato
direttamente all'avente diritto.
[II]. Ai figli maggiorenni portatori di handicap grave
si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori.
Dalla norma appena citata emerge con chiarezza che il diritto al
mantenimento per i figli non cessa col raggiungimento della maggiore età,
mentre perdura tale obbligo a carico di entrambi i genitori anche in costanza
di separazione e successivamente di divorzio, fin tanto che i beneficiari del
mantenimento non abbiano raggiunto l'indipendenza economica.
La norma, tuttavia, non deve trarre in inganno: il
figlio maggiorenne non ha diritto di essere mantenuto sic et
simpliter sine die senza impegnarsi nel contempo nel proprio percorso
di studi, ovvero nella ricerca di un'occupazione lavorativa: altrimenti detto,
il figlio che - raggiunta la maggiore età - non studia e/o non lavora, perde il
diritto al mantenimento, ma sarà il genitore a dovere ricorrere all'Autorità
Giudiziaria e fornire la prova che il figlio non studia e/o che ha rifiutato
senza giustificato motivo proposte di lavoro corrispondenti al percorso di studi
intrapreso.
Ma
come si calcola l'assegno di mantenimento che il genitore non allocatario deve
corrispondere per il sostentamento dei figli conviventi con l'altro genitore?
Come
si è già detto, gli artt. 147 e 316 bis c.c. prevedono un obbligo generale
di mantenimento della prole posto in egual misura tra i genitori, tenuto
conto delle rispettive capacità economico / reddituali e dell'eventuale lavoro domestico.
E
si ricordi che quest'obbligo discende automaticamente dal fenomeno della
filiazione e da esso dipende strettamente: in altri termini, non è il vincolo
di coniugio che fa sorgere l’obbligo di mantenimento, bensì - come affermato
dalla Suprema Corte di Cassazione - è la sola procreazione che fa sorgere a
favore della prole il diritto ad essere mantenuta dai genitori, in base alle
proprie possibilità economiche ed all'effettiva capacità lavorativa.
Afferma
in proposito la Corte di Cassazione: la filiazione naturale fa sorgere a
carico del genitore tutti i doveri di cui all'art. 147 c.c. propri della
procreazione legittima (artt. 258-261 c.c.), compreso quello di
mantenimento che, unitamente ai doveri di educare e istruire i
figli, obbliga i genitori ex art. 148 c.c. a far fronte a una molteplicità
di esigenze; non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese
all'aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale. Nella
determinazione del contributo previsto dall'art. 277, comma 2, c.c. per il
mantenimento del figlio naturale nato fuori del vincolo di matrimonio, a
seguito della dichiarazione giudiziale di paternità naturale, il giudice ai
sensi dell'art. 155 c.c., applicabile anche ai procedimenti relativi ai
figli di genitori non coniugati, in virtù del rinvio contenuto nell'art. 4
della legge n.54 del 2006, deve tener conto non solo delle esigenze attuali del
figlio, ma anche, tra l'altro, delle risorse economiche dei genitori, in modo da
realizzare il principio generale di cui all'art. 148 c.c., secondo cui i
genitori devono concorrere al mantenimento dei figli in proporzione delle
rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o
casalingo. (Cass. civ. Sez. I dd. 14/05/2010, n.
11772; ed in senso conforme Cass. civ. Sez. I dd. 15/07/2010, n. 16612)
L’obbligo
del genitore di mantenere i figli trova il suo corrispettivo nel diritto
assolutamente personale del figlio di essere mantenuto, un diritto che non può
essere rinunciato, se non quando il figlio sia divenuto economicamente
autosufficiente. A riprova di ciò, la giurisprudenza di merito e di
legittimità affermano che: l'obbligo in capo ai genitori di contribuire
al mantenimento dei figli derivante dall'art. 147 c.c. non cessa
automaticamente con la maggiore età, ma dura finché questi non raggiungono
l'autosufficienza economica. In caso di separazione personale
dei genitori, uno dei due può essere tenuto a versare direttamente ai
figli maggiorenni l'assegno di mantenimento loro destinato. (si veda ad esempio, Tribunale di Novara, dd. 01/06/2012)
Ed
ancora: in tema di separazione o divorzio, l'obbligo di versare il
contributo di mantenimento per i figli maggiorenni al coniuge presso
il quale essi vivono (ovvero a loro direttamente) cessa solo ove il genitore
obbligato provi che essi abbiano raggiunto l'indipendenza economica, percependo
un reddito corrispondente alla professionalità acquisita in relazione alle
normali condizioni di mercato, ovvero che essi si sottraggano
volontariamente allo svolgimento di attività lavorativa adeguata. (ex multis cfr. Cass. Civ. Sez. I, dd. 22/03/2012, n. 4555;
Cass. Civ. Sez. I dd. 13/12/2012, n. 22951)
Alla
luce della giurisprudenza appena richiamata, il diritto del figlio ad essere
mantenuto viene meno in tre casi:
1) quando
il figlio maggiorenne non sia in grado di provvedere alle proprie esigenze di
vita per colpa propria (si pensi al figlio maggiorenne che non studia e si
rifiuta di lavorare);
2)
quando il figlio non si ponga in condizione o rifiuti di procurarsi un proprio
reddito, mediante l’espletamento di attività lavorativa;
3) quando
il figlio sia andato a vivere in un altro contesto familiare, ovvero si presume
che sia in grado di procurarsi da sé le sostanze per vivere.
A
questo riguardo, precisa il Tribunale di Roma: fermo restando, in linea di
principio, che i genitori hanno l’obbligo di mantenere i figli (anche
maggiorenni) fino a quando essi non conseguano l’autonomia economica, salvo il
caso di loro negligenza nella ricerca di una attività lavorativa consona alla
loro preparazione, alle loro capacità ed agli studi da essi svolti, senza
che possa essere fissato a priori ai genitori un termine finale
dell’obbligo su di loro incombente, va cancellato l’obbligo di
mantenimento qualora: i figli maggiorenni non compaiano in Tribunale,
sebbene regolarmente convocati, per esporre le loro ragioni ed opporsi alla
rituale richiesta del genitore obbligato di sospendere il loro mantenimento;
quando, malgrado la rituale convocazione, non compaia in Tribunale la loro
madre, che si oppone in giudizio alla cessazione dell’obbligo paterno; quando i
figli hanno molto presto interrotto gli studi, conseguendo solo un diploma
medio di assai basso livello, che avrebbe dovuto indurli ad accettare un lavoro
modesto; quando è provato che il figlio maggiorenne aveva da non poco tempo
(alcuni anni) intrapreso in proprio un’attività di grafico, attività che il
Tribunale ha motivo di presumere definitivamente avviata; quando il figlio più
piccolo, anch’esso maggiorenne ed asseritamente privo di redditi, risulti,
dalle visure catastali, proprietario di una unità abitativa classificata in
A/2. Diversamente opinando, sul genitore incomberebbe l’assurdo onere di
attivarsi giudizialmente in prima persona, per essere esentato da un obbligo a
suo carico non più esistente, dando la prova che la prole non abbia profuso
ogni ragionevole impegno per una sua effettiva collocazione nel mondo del
lavoro commisurata alle sue concrete capacità ed aspirazioni. (Tribunale di Roma, ord. dd. 23/03/2012)
E'
chiaro che spetta ai giudici di merito di scandagliare ogni singolo contesto
familiare, prima di decidere se un figlio maggiorenne ha diritto al
mantenimento, e se sì in quale misura.
La
giurisprudenza oggi prevalente ritiene che, quando il figlio raggiunge
l'autosufficienza economica anche per un limitato periodo di tempo, viene meno
il suo diritto al mantenimento e non torna a rivivere con la ricaduta nella
dipendenza da altri.
Sembrerebbe,
infatti, che la giurisprudenza di merito e di legittimità siano orientate a
perseguire la cosiddetta "strada del rigore”, ritenendo che l’aver
svolto un'attività lavorativa dimostri di per sé la potenziale produzione di
reddito e quindi la possibilità di acquisire una indipendenza economica.
Precisa
la Suprema Corte di Cassazione: in caso di separazione o divorzio fra i
genitori, l'obbligo di mantenere i figli maggiorenni cessa solo ove il
genitore obbligato provi che essi abbiano raggiunto l'indipendenza economica,
percependo un reddito corrispondente alla professionalità acquisita in
relazione alle normali condizioni di mercato, ovvero che essi si
sottraggano volontariamente allo svolgimento di un'attività lavorativa
adeguata. In applicazione del suesposto principio, la Corte ha confermato
l'obbligo per il padre al versamento dell'assegno di mantenimento in
favore della figlia maggiorenne nonostante quest'ultima avesse trovato un
impiego a tempo indeterminato, che però non rispondeva alle sue aspirazioni e
non gli assicurava una indipendenza economica. (si veda Cass. Civ. Sez. I dd. 27/06/2011, n. 14123)
Tuttavia,
occorre procedere ad una valutazione più approfondita che distingua caso per
caso, perché se da un lato è un bene prevenire una sorta di "parassitismo"
dei figli nei confronti dei genitori, stimolandoli alla ricerca ed alla
conservazione dell’attività lavorativa, dall'altro questo principio deve essere
armonizzato con la criticità che caratterizza l'attuale mercato del
lavoro.
In
un mercato del lavoro, dove è la flessibilità a farla da padrone, ci si domanda
quando realmente un figlio possa dirsi economicamente autosufficiente e dunque
non più avente diritto all'assegno di mantenimento.
A
questo riguardo soccorre un recente orientamento adottato dalle corti
territoriali, secondo il quale: l'obbligo
dei genitori di provvedere al mantenimento dei figli maggiorenni perdura fino a
quando la prole si sia definitivamente inserita nel mondo del lavoro,
conseguendo l'indipendenza economica, che corrisponde al momento in
cui i figli sono avviati ad un'attività lavorativa tale da consentirgli
una concreta prospettiva di autonomia economica. Graverà, dunque, sul genitore che si rivolge
all'autorità giudiziaria, perché sia eliminato l'obbligo di mantenimento,
l'onere probatorio dell'avverarsi della condizione appena descritta.
(a
cura di Avv. Luca Conti del foro di Trento).
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