RILEVANZA DEL GIUDICATO PENALE NEL PROCESSO CIVILE


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RAPPORTO TRA GIUDICATO PENALE E PROCESSO CIVILE
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Dall'entrata in vigore del nuovo c.p.p. del 1988, si dibatte in dottrina ed in giurisprudenza su quali siano i limiti che vincolano il giudice civile al rispetto del cd. "giudicato penale".

In altri termini, quale rilievo assumono gli articoli da 651 a 654 c.p.p. rispetto al processo civile, ed in particolare qual è il valore di una sentenza penale, di condanna ovvero di assoluzione, rispetto ad una successiva causa civile per danni sofferti dalla parte offesa?

Si supponga che TIZIO denunci CAIO per i reati di percosse e di lesioni personali, fatti per cui non vi sono testimoni oculari, né riprese audio/video, e che all'apertura del dibattimento l'imputato CAIO opti per il cd. "rito abbreviato", confidando nell'assoluzione per insufficienza di prove a Suo carico, mentre TIZIO si sia costituito parte civile per chiedere in sede penale il risarcimento del danno biologico e di quello morale. 


Si supponga inoltre che, in assenza di testimoni oculari del fatto e/o di riprese audio/video della denunciata aggressione, CAIO benché fortemente sospettato dei fatti attribuitigli da TIZIO sia stato assolto con la formula "per non avere commesso il fatto", ma - obiettivamente - per insufficienza di prove a carico.

Ci si domanda: può il giudicato penale di assoluzione reso all'esito del giudizio abbreviato influire sul giudizio civile di risarcimento del danno instaurato successivamente da TIZIO nei confronti di CAIO?

Prima di rispondere al quesito, occorre precisare da subito che l'art. 652 c.p.p. riconosce alla sentenza penale di assoluzione (anche se resa all'esito del giudizio abbreviato, laddove la parte civile abbia accettato il rito) l'efficacia di "giudicato" nel giudizio civile, quanto all'accertamento che il fatto non sussiste ovvero che l'imputato non lo ha commesso. Questo dice il tenore letterale della norma richiamata. Tuttavia, al di là del mero tenore letterale, l'indagine deve essere più approfondita.  

A chiarire la vexata quaestio soccorre la Sentenza della Corte di Cassazione S.U. n.1768/2011, quanto al valore preclusivo del “giudicato penale nel processo civile”.

La Suprema Corte di Cassazione, ripercorrendo e facendo proprio un orientamento ormai consolidato riguardo all’interpretazione da attribuire agli artt. 651-654 c.p.p., stante il quale “la norma deve essere interpretata secondo la ratio voluta dal Legislatore e non già secondo il suo tenore letterale”, è giunta alla medesima conclusione anche per quanto riguarda l’art. 652 c.p.p. ossia per la sentenza di assoluzione.


Ossia, il Giudice di Legittimità ha ritenuto che, stante l’intendimento del Legislatore di eliminare la cd. “pregiudiziale penale” e rendere del tutto autonomi il giudizio penale da quello civile (intendimento ricavabile dalla relazione al progetto del nuovo c.p.p. in G.U. n.250/1988 dd. 24/10/1988), il nuovo codice di procedura penale ha di fatto introdotto nell’Ordinamento italiano il principio della cd. “completa autonomia e separazione tra giudizio penale e giudizio civile”, tale che il Giudice civile può procedere ad un autonomo accertamento dei fatti e delle responsabilità civili dedotte in giudizio con pienezza di cognizione.

Gli artt. 651-654 c.p.p. - prosegue la Suprema Corte - mirano comunque all’accertamento dei fatti storici nella loro oggettività e trovano applicazione per tutte le sentenze penali, siano esse di condanna ovvero di assoluzione, rese a seguito di un dibattimento; anche a seguito di un rito abbreviato, laddove la parte civile abbia accettato il rito.

E con particolare riferimento alle sentenze di assoluzione, l’efficacia del vincolo è loro attribuibile  non già in relazione alla formula utilizzata dal Giudicante per assolvere l'imputato, bensì solo in quanto contengano in termini categorici un effettivo e positivo accertamento circa l'insussistenza del fatto o l'impossibilità di attribuirlo all'imputato.

In altri termini la formula utilizzata per assolvere non ha alcun rilievo e non deve essere decisiva per il giudice civile, perché l'effetto del “giudicato” è collegato al concreto ed effettivo accertamento dell'esistenza di una delle succitate ipotesi: ossia che il fatto non sussiste, ovvero che l'imputato vi è estraneo (cfr. ex multis  Cass. Pen. Sezioni Unite, dd. 29/05/2008, n. 40049).

Del tutto chiarificatrice in questo senso è la Sentenza della Corte di Cassazione n.17401/2004, stante la quale: il giudicato penale di condanna ovvero di assoluzione ha effetto preclusivo nel giudizio civile solo quando contenga un effettivo e specifico accertamento circa l’insussistenza o del fatto o della partecipazione dell’imputato, ma non anche quando l’assoluzione sia determinata dal diverso accertamento della mancanza di sufficienti elementi di prova in ordine all’uno o all’altro (e conformemente Cass. civ., Sez. I, dd. 30/03/1998, n. 3330; Cass. civ., Sez. III, dd. 19/05/2003, n. 7765).

CONCLUSIONI.
Sulla base di quanto precede, si può ragionevolmente concludere che, mentre il "giudicato penale di assoluzione", reso all'esito della fase dibattimentale (in cui sia stata sviscerata la completa ricognizione dei fatti ascritti all'imputato) preclude la risarcibilità del danno in sede civile alla parte offesa, a maggior ragione se nel corso del dibattimento l'imputato ha offerto prove univoche a proprio discarico, nel caso di un'assoluzione per insufficienza di prove, al di là della formula utilizzata dal giudicante, l'azione civile di risarcimento resterebbe possibile e praticabile, atteso che l'Ordinamento non esclude che il giudice civile, ricorrendo eventualmente anche alle cd. "presunzioni semplici", possa riesaminare i fatti ai sensi dell'art. 2043 c.c. con pienezza di cognizione e valutare diversamente i fatti sotto il profilo della responsabilità aquiliana, giungendo eventualmente anche a diverse conclusioni fondate sul "più probabile che non..." anziché sul "al di là di ogni ragionevole dubbio".

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