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mercoledì 28 settembre 2016

LA MODIFICA DELLE CONDIZIONI DI MANTENIMENTO DEI FIGLI NATURALI








I RIFERIMENTI NORMATIVI


Art.737 c.p.c. (disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio, forma della domanda introduttiva).
I provvedimenti, che debbono essere pronunciati in camera di consiglio, si chiedono con ricorso (art. 125 c.p.c.) al giudice competente e hanno forma di decreto motivato, salvo che la legge disponga altrimenti.

Art.738 c.p.c. (procedimento in camera di consiglio).
Il presidente nomina tra i componenti del collegio un relatore, che riferisce in camera di consiglio.
Se deve essere sentito il pubblico ministero (artt. 70-71 c.p.c.), gli atti sono a lui previamente comunicati ed egli stende le sue conclusioni in calce al provvedimento del presidente.
Il giudice può assumere informazioni.

  Art.337 ter c.c. (provvedimenti riguardo ai figli).
Il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.
Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, nei procedimenti di cui all’articolo 337-bis c.c. , il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole, ivi compreso, in caso di temporanea impossibilità di affidare il minore ad uno dei genitori, l’affidamento familiare. All’attuazione dei provvedimenti relativi all’affidamento della prole provvede il giudice del merito e, nel caso di affidamento familiare, anche d’ufficio. A tal fine copia del provvedimento di affidamento è trasmessa, a cura del pubblico ministero, al giudice tutelare.
La responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la responsabilità genitoriale separatamente. Qualora il genitore non si attenga alle condizioni dettate, il giudice valuterà detto comportamento anche al fine della modifica delle modalità di affidamento.
Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:
1) le attuali esigenze del figlio.
2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori.
3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore.
4) le risorse economiche di entrambi i genitori.
5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
L’assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice.
Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi.


Art.337 quinquies c.c. (revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli).
 I genitori hanno il diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli, l'attribuzione della responsabilità genitoriale su di essi e delle eventuali disposizioni relative alla misura ed alla modalità del contributo (art.337 ter c.c.).



ANNOTAZIONI E FORMULARO

> L'atto introduttivo ha la veste formale di ricorso da redigersi su documento informatico firmato digitalmente (nomefile.pdf.p7m) e deve essere depositato telematicamente all'indirizzo di posta elettronica certificata del Tribunale competente per terriotrio (quello del luogo nel cui circondario risiedono i figli naturali della coppia). 
> Al ricorso deve essere allegata la copia autentica del provvedimento giudiziale che in precedenza aveva ratificato l'accordo dei genitori circa l'affidamento ed il mantenimento dei figli naturali.
> Il procedimento è esente da valori bollati all'atto dell'iscrizione a ruolo, ma sconta un CONTRIBUTO UNIFICATO D'IMPORTO VARIABILE TRA € 43,00 ed € 98,00  (nuovi importi in vigore dal 25 giugno 2014) a seconda che il ricorso sia proposto congiuntamente da entrambi i genitori, ovvero sia contenzioso. 
> Il provvedimento che decide sulla domanda di modifica ha la veste formale di decreto motivato, reclamabile avanti la Corte d'Appello nel termine di 10 gg. dalla comunicazione / notificazione del provvedimento ai sensi dell'art. 739 co. I e II c.p.c.
> I provvedimenti che fissano gli assegni alimentari e di mantenimento non sono mai definitivi, ossia non sono idonei a passare in giudicato in quanto pronunciati rebus sic stantibus: essi conservano i loro effetti fino a quando, per eventi successivi al loro pronunciamento, non si verifichi un mutamento oggettivo delle condizioni preesistenti. Ciò significa che la variazione peggiorativa ovvero migliorativa della situazione economica di un genitore rispetto all'altro potranno giustificare l’accoglimento di una richiesta di modifica in punto quantum dell'assegno di mantenimento per i figli.





TRIBUNALE ORDINARIO DI ... omissis ...
Ricorso per la modifica delle condizioni
di mantenimento dei figli naturali  

Promosso da: TIZIO, nato a ... omissis ... il ... omissis .... e residente a .... omissis .... in Via / P.zza ... omissis ... C.F. ... omissis ... agli effetti del presente atto rappresentato e difeso dall'avvocato ... omissis ... (C.F. ... omissis ...), con Studio Legale a ... omissis ... in Via / P.zza ... omissis ..., ivi elettivamente domiciliato giusta procura alle liti rilasciata ai sensi dell'art. 83 comma III c.p.c. in calce al presente atto su separato documento informatico.
Nei confronti di: CAIA, nata a ... omissis ... il ... omissis ... e residente a ... omissis ... in Via / P.zza ... omissis ...  C.F. ... omissis ...
Per comunicazioni di Cancelleria e notificazioni: si chiede di ricevere ogni comunicazione / notificazione inerente la procedura all’indirizzo di posta elettronica certificata ... omissis ...
*****
Ill.mo Signor Presidente del Tribunale di ... omissis ...
PREMESSO
1) che con decreto di data ... omissis ... il Tribunale di ... omissis ... omologava l'accordo intervenuto tra i genitori TIZIO e CAIA riguardo all'affidamento ed alle condizioni di mantenimento dei figli naturali MEVIO e SEMPRONIO (doc.1);
2) che l'accordo ratificato dal Tribunale prevedeva il pagamento da parte di TIZIO ed in favore di CAIA dell'assegno mensile di € ... omissis ... per il mantenimento dei loro figli minorenni, prevalentemente allocati presso la dimora materna;
3) che, successivamente alla omologazione degli accordi de quibus, la capacità reddituale di CAIA è migliorata, al contrario di quella dell'obbligato TIZIO che viceversa è peggiorata per le seguenti motivazioni: ... omissis ...;
5) che ai sensi dell'art. 337 quinquies c.c. i genitori possono chiedere al Tribunale in ogni tempo la modifica delle condizioni economiche di mantenimento dei figli naturali;
6) che le sopravvenute modifiche alla capacità reddituale di ciascun genitore giustificano la richiesta di modifica;
 *****
Tutto ciò premesso e considerato, TIZIO come in epigrafe meglio generalizzato, rappresento, difeso e domiciliato ut supra, rivolge ossequiosa
ISTANZA
alla S.V. Ill.ma, affinché letto il ricorso che precede ed esaminati i documenti ad esso allegati, disposta la comparizione personale dei genitori dinnanzi a Sé, disposti i provvedimenti istruttori ritenuti necessari ed urgenti nelle more del giudizio nonché i provvedimenti necessari ed urgenti a tutela della prole, di voler
ACCOGLIERE
il presente ricorso e per l’effetto, contrariis rejectis, con decreto motivato così giudicare.
In via principale: dichiararsi non più dovuto l’assegno mensile di mantenimento a favore di CAIA per il mantenimento dei figli conviventi MEVIO e SEMPRONIO, la peggiorata capacità reddituale del padre.
In via subordinata: ridurre l’assegno di mantenimento dovuto dal ricorrente alla convenuta in termini di Giustizia, avuto riguardo dell’accresciuto reddito di CAIA e delle disagiate condizioni economiche dell’obbligato. 
In via istruttoria: ordinarsi a CAIA la produzione in giudizio delle proprie buste paga e se del caso un accertamento di polizia tributaria.
In ogni caso: con vittoria di onorari di lite e spese documentate ai sensi del D.M. n.55/2014 e ss. mm., oltre al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15%, c.p.a. 4%, i.v.a. 22% e successive spese occorrende.
Elenco delle produzioni documentali:
1) decreto di omologa dell'accordo intervenuto tra i genitori per l'affidamento ed il mantenimento dei figli naturali;
2) certificato di nascita e di residenza dei figli e dei genitori;
3) le ultime tre dichiarazioni dei redditi presentate dai genitori.
Dichiarazione di valore della causa: la presente procedura, trattandosi di un procedimento in camera di consiglio giudiziale, sconta un C.U. fisso pari ad ... omissis ... (43,00 euro oppure 98,00 euro a seconda che il ricorso sia consensuale ovvero giudiziale).
Con Osservanza.
Milano, lì _________________ 2017.
Avv. _________________________


(segue la procura alle liti su separato documento informatico firmato digitalmente da accludersi alla busta telematica insieme al ricorso ed ai documenti allegati)
 


lunedì 12 settembre 2016

LA RESPONSABILITA' PER DANNI A TERZI NELLA RISTRUTTURAZIONE DI BENI IMMOBILI










RISTRUTTURAZIONE DI BENI IMMOBILI E
RESPONSABILITA' DEL COMMITTENTE PER DANNI A TERZI


L'art. 1655 c.c. definisce il contratto d'appalto a tenore del quale l'appalto è il contratto con cui una parte (l'appaltatore n.d.r.) assume con una propria organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio il compimento di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro.

Per il fatto che la gestione dell'appalto è assunta a proprio rischio dall'appaltatore questi è di regola il primo responsabile per eventuali danni cagionati a terzi nell'esecuzione dell'opera che gli è stata commissionata.

Tuttavia, l'appaltatore non è necessariamente l'unico soggetto responsabile per danni a terzi ed il terzo danneggiato può esercitare l'azione risarcitoria anche nei confronti del committente sulla base del cosiddetto "rapporto di custodia" che ai sensi dell'art. 2051 c.c. lega il proprietario al bene che ha originato il danno.

Pertanto, nel caso di ristrutturazione di beni immobili si ha un concorso di responsabilità tra l'esecutore delle opere ai sensi dell'art. 2043 c.c. (responsabilità per fatto illecito o responsabilità extracontrattuale) ed il committente dei lavori ai sensi dell'art. 2051 c.c. (responsabilità da cosa in custodia).

Recita l'art. 2051 c.c.: ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito.  

Secondo una parte della dottrina si tratta di una fattispecie di responsabilità oggettiva di difficile superamento, che trova il proprio fondamento nel rapporto di disponibilità tra la cosa che ha originato il danno ed il soggetto che l'ha a propria disposizione, e dove il caso foruito è l'elemento idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra la condotta e l'evento dannoso.

Secondo, invece, la dottrina e la giurisprudenza prevalenti si tratta di una responsabilità fondata su una presunzione relativa di colpa a carico del custode, che può essere superata solo dal ricorrere del caso fortuito. 

Comunque la si voglia interpretare, nel caso specifico di un contratto d'appalto avente ad oggetto la ristrutturazione di un bene immobile l'appaltatore che ha assunto a proprio rischio l'esecuzione dei lavori è il primo responsabile in caso di danni a terzi in applicazione del divieto generale di neminem laedere sancito dall'art. 2043 c.c.

Invece, un esempio tipico di responsabilità per danni da cosa in custodia sanzionata dall'art. 2051 c.c. è quella degli enti proprietari delle strade per i danni provocati agli utenti della strada: se una vettura viene danneggiata a causa della presenza di una buca o di un altro "trabocchetto" presente sulla sede stradale, l'ente che ne è proprietario (pubblico o privato) sarà chiamato a rispondere dei danni conseguenti in applicazione del rapporto di custodia, anche se la manutenzione della strada è stata affidata in appalto ad un'impresa terza. 

Tornando alla fattispecie qui in esame, nella ristrutturazione d'immobili il committente dei lavori non può esserne ritenuto indenne da responsabilità, proprio in applicazione del principio stabilito dall'art. 2051 c.c. 

Secondo la prevalente giurisprudenza dei tribunali territoriali la responsabilità individuata dall'art. 2051 c.c. deve ritenersi configurabile anche in capo al proprietario dell'immobile oggetto di lavori di rifacimento per danni cagionati a terzi e diretta conseguenza di detti lavori. Nè può ritenersi che il proprietario cessi di averne la disponibilità  e dunque la custodia per averne pattuito nel contratto d'appalto la ristrutturazione. Pertanto, salvo che venga fornita la prova positiva di avere affidato totalmente all'appaltatore la custodia del bene oggetto di ristrutturazione, il proprietario deve dirsi responsabile ai sensi dell'art. 2051 c.c. per danni provocati a terzi in quanto custode della cosa, avendo egli l'obbligo di impedire il verificarsi di detti danni, vigilando e controllando la corretta esecuzione dei lavori commissionati (Tribunale di Bari, Sezione III, dd. 15/01/2009 n.71). 

Di pari avviso è il Tribunale di Bologna che in una pronuncia del 2012 ha così deciso: il proprietario di un immobile dato in appalto per la sua ristrutturazione non cessa di averne la materiale disponibilità. Fatta salva l'ipotesi in cui il committente provi il totale affidamento del bene alla custodia dell'appaltatore, il proprietario risponde in solido dei danni derivati ad un terzo ai sensi e per gli effetti dell'art. 2051 c.c. in quanto custode del bene e dunque obbligato a vigilare in ordine all'esecuzione dei relativi lavori, al fine di impedire il verificarsi di qualsivoglia pregiudizio (Tribunale di Bologna, Sezione III, dd. 20/03/2012 n.853).


Ed ancora: il proprietario di un immobile non cessa di averne la materiale disponibilità per averne pattuito, in appalto, la ristrutturazione, e pertanto, salvo che provi il totale affidamento di esso all'appaltatore, è responsabile, ai sensi dell'art. 2051 c.c. in quanto custode del bene, dei danni derivati ad un terzo, avendo l'obbligo, al fine di impedire che essi si verifichino, di controllare e vigilare l'esecuzione dei relativi lavori (Tribunale di Bologna dd. 25/04/2007, n. 2787).

Di particolare interesse è una più risalente pronuncia del Tribunale di Bologna, che individua due specifiche ipotesi di responsabilità in capo al committente dei lavori e proprietario del fabbircato in ristrutturazione: secondo i giudici bolognesi, il committente può essere citato a giudizio da chi pretende il risarcimento dei danni subiti per effetto e conseguenza di lavori di ristrutturazione sia ai sensi dell'art. 2043 c.c. sia ai sensi dell'art. 2051 c.c.
La distintizione, tuttavia, non è di poco conto, dal momento che chi agisce in giudizio per il risarcimento del danno sofferto, nel caso di vocatio in ius ai sensi dell'art. 2043 c.c. dovrà anche provare che l'evento dannoso è conseguenza diretta di un comportamento ascrivibile al committente e non già all'impresa esecutrice, atteso che vige in materia di appalto il principio generale per cui il soggetto giuridicamente responsabile verso il terzo danneggiato  è solo l'appaltatore ai sensi dell'art. 2043 c.c.; in questo caso, l'appaltatore può essere tenuto indenne da ipotesi di responsabilità, se nel corso dell'esecuzione del contratto il committente ha assunto iniziative tali da relegare l'appaltatore a ruolo di nudus minister ossia di mero esecutore delle direttive a lui impartite (Tribunale di Bologna, Sezione II, dd. 26/02/2008 n.445). 

Sempre in tema di concorso di responsabilità suscita interesse il caso deciso in ultima istanza dalla Corte di Cassazione, che aveva per oggetto l'individuazione dei soggetti responsabili in caso di danni ad un immobile limitrofo a quello oggetto di rifacimento concesso a terzi in locazione e pericolante:
qualora il proprietario dell'immobile locato ometta il doveroso e tempestivo intervento per l'accertamento dei pericoli statici del fabbricato è da ritenersi corresponsabile dei danni arrecati ad altro immobile o alle parti comuni del condominio, dai lavori di ristrutturazione dell'immobile concesso in locazione. (Nella specie il conduttore aveva informato il proprietario, a mezzo di missiva e prima dell'avvio dei lavori, della natura di fatto degli interventi in progetto, invitandolo alle verifiche del caso per l'accertamento di eventuali pericoli statici del fabbricato). (Cass. civ. sez. III dd. 18/08/2011, n.17376).

Da segnalare, infine, una più recente pronuncia del Tribunale di Bari, che in un contenzioso di risarcimento danni conseguenti alla completa ristrutturazione di un immobile affidato in appalto e poi ogetto di sub-appalto ha ritenuto l'impresa appaltatrice l'unica responsabile dei danni provocati durante l'esecuzione dei lavori sia ai sensi dell'art. 2043 c.c. sia ai sensi dell'art. 2051 c.c. in quanto il committente aveva affidato in toto la custodia del bene direttamente all'appaltatore: (...) durante tutto il rapporto di esecuzione dell'opera e fino alla consegna del bene al committente il dovere di custodia e di vigilanza sulla cosa passa dal proprietario a chi esegue i lavori, il quale è tenuto non solo ad impedire che la cosa si distrugga o si deteriori, ma anche ad evitare che questa arrechi danni a terzi. Deve dunque escludersi in relazione ai danni arrecati a terzi nel corso di lavori di ristrutturazione una responsabilità del committente, non potendo questi controllare le modalità dell'organizzazione che si è data l'impresa esecutrice. Detto principio trova la propria deroga, allorché il committente abbia impartito all'impresa esecutrice particolari direttive, tali da relegarla a ruolo di nudus minister (Tribunale di Bari, Sezione III, dd. 06/10/2014 n.4440).

In definitiva, alla luce dei precedenti di giurisprudenza appena richiamati si può concludere che: 
1) di regola il primo soggetto responsabile di danni arrecati a terzi durante l'esecuzione dei lavori di ristrutturazione di un immobile (appartamento o fabbricato) è l'appaltatore in quanto esercita l'impresa con gestione a proprio rischio ed in base al principio di neminem laedere sancito dall'art. 2043 c.c.; 
2) alla responsabilità dell'appaltatore si affianca quella in concorso del committente ai sensi dell'art. 2051 c.c., salvo che egli abbia perso la materiale disponbilità del bene e quindi se lo abbia affidato alla completa custodia dell'impresa esecutrice; 
3) il committente dei lavori può essere citato a giudizio quale unico responsabile dei danni subìti da terzi sia ai sensi dell'art. 2051 c.c. sia ai sensi dell'art. 2043 c.c., ove non abbia affidato all'impresa esecutrice la completa custodia dell'immobile ed abbia impartito direttive all'appaltatore relegandolo a ruolo di nudus minister ossia a mero esecutore di dette direttive.

(a cura di Avv. Luca Maria Conti)