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martedì 31 luglio 2012

LA COSTITUZIONE IN MORA DEL CREDITORE ED IL CONCORSO DI COLPA NELLA CAUSAZIONE DEL DANNO






 
LA BUONA FEDE NELL'ESECUZIONE DEL CONTRATTO - LA COSTITUZIONE IN MORA DEL CREDITORE - IL CONCORSO DI COLPA


Art. 1206 c.c. (la costituzione in mora del creditore)
Il creditore è in mora quando, senza motivo legittimo, non riceve il pagamento offertogli nei modi indicati dagli articoli seguenti o non compie quanto è necessario affinché il debitore possa adempiere l'obbligazione.

Art. 1207 c.c. (gli effetti della mora del creditore)
Quando il creditore è in mora, è a suo carico l'impossibilità della prestazione sopravvenuta per causa non imputabile al debitore. Non sono più dovuti gli interessi né i frutti della cosa che non siano stati percepiti dal debitore.
Il creditore è pure tenuto a risarcire i danni derivati dalla sua mora e a sostenere le spese per la custodia e la conservazione della cosa dovuta.
Gli effetti della mora si verificano dal giorno dell'offerta, se questa è successivamente dichiarata valida con sentenza passata in giudicato o se è accettata dal creditore.

Art. 1227 c.c. (il concorso del fatto colposo del creditore)
Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate.
Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza (artt. 1175 e 2056 c.c.).

Art. 1175 c.c. (il comportamento secondo correttezza)
Debitore e creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza.

Art. 1176 c.c. (la diligenza nell'adempimento)
Nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia.
Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”.

*****

L'art. 1206 c.c. disciplina la situazione in cui - paradossalmente - può avverarsi la cd. "mora del creditore" anziché - come è di consuetudine - la "mora del debitore" disciplinata dall'art. 1219 c.c. 
Si tratta, infatti, di una situazione inusuale (ma che talvolta può ricorrere), in cui chi è creditore di una certa prestazione, anziché riceverla, la rifiuta ovvero ostacola l'adempimento del debitore senza giustificato motivo.
Questa situazione si verifica quando il creditore, per i motivi più vari, cerca di mantenere una posizione di supremazia nei confronti del debitore.
L'art. 1206 c.c. parla appunto della cd. "mora del creditore" accostandola, almeno dal punto di vista terminologico, alla ben più frequente "mora del debitore". 

La cd. "mora del debitore" consiste nell'inadempimento totale o parziale (in quest’ultimo caso si parla di inesatto adempimento) dell'obbligazione assunta dal debitore. Per la costituzione in mora occorre di regola un atto scritto, che però non è necessario se il debitore ha già dichiarato di non voler adempiere all'obbligazione, ovvero quando questa trae origine dal fatto illecito del debitore stesso.
Per effetto della costituzione in mora del debitore, in caso di impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa anche non imputabile al debitore, questi dovrà comunque risarcire i danni sofferti dal creditore in conseguenza dell'inadempimento, a meno che non provi che l'oggetto della prestazione sarebbe comunque perito presso il creditore; il debitore sarà obbligato a risarcire i danni che il creditore ha subito in seguito al ritardo nell'adempimento.
Dunque, gli effetti della costituzione in mora si sostanziano principalmente nel risarcimento dei danni che il comportamento colposo del debitore ha provocato. 
Ciò detto, occorre comunque tenere ben distinte le due fattispecie di "costituzione in mora", perché afferiscono a situazioni completamente differenti: il creditore infatti non è "obbligato" ma solo "onerato" a ricevere la prestazione, ossia deve collaborare col debitore perché questi adempia alla prestazione dovuta, mentre il debitore è "obbligato" ad adempierla. 
Ciò non di meno, il comportamento doloso / colposo del creditore può causare difficoltà e danni al debitore, che per questo motivo deve avere il modo di liberarsi all'obbligazione anche quando il creditore non lo voglia.
Quando il creditore è "costituito in mora" perché rifiuta di ricevere la prestazione senza giustificato motivo ovvero ostacola il debitore nell'adempimento dell'obbligazione, è posta a suo carico l'impossibilità della prestazione sopravvenuta per causa non imputabile al debitore, e non sono più dovuti gli interessi né i frutti della cosa che non siano stati percepiti dal debitore.
Il creditore è pure tenuto a risarcire i danni derivati dalla sua mora ed a sostenere le spese per la custodia e la conservazione della cosa dovuta.
Gli effetti della mora si verificano dal giorno in cui viene fatta dal debitore al creditore l’offerta della prestazione che gli deve essere opposta in modo formale: ad esempio, se l'obbligazione ha per oggetto il pagamento di una somma di denaro al creditore, l'offerta deve essere reale ai sensi dell'art. 1209 c.c. (l'offerta reale consiste nella diretta presentazione del denaro che si mette a disposizione del creditore).
L'art. 1206 c.c. va letto e coordinato con l'art. 1227 c.c., che disciplina - invece - il "concorso di colpa del creditore" nella causazione del danno.
L'art. 1227 c.c. incide, infatti, nella liquidazione del risarcimento in punto quantum: se il fatto colposo del creditore ha contribuito a causare l'evento dannoso (si pensi al caso di un passeggero coinvolto in un incidente stradale che non indossava la cintura di sicurezza, ovvero al caso di un paziente che non segue le prescrizioni del medico curante) l'entità del risarcimento che gli sarebbe dovuto è proporzionalmente diminuita in base all'entità ed alla gravità del suo concorso colposo.
Il secondo comma dispone, inoltre, che non è dovuto il risarcimento per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare, usando la normale diligenza.
Quanto sopra disposto costituisce il naturale corollario della cd. "buona fede o correttezza" che si richiede tanto al debitore quanto al creditore nell'esecuzione delle rispettive prestazioni (sinallagma) nascenti da un contratto (art. 1175 c.c.).
In altri termini, anche chi è creditore di una determinata prestazione deve cooperare secondo buona fede col soggetto obbligato ad eseguirla, per evitare la causazione di possibili danni. Questo principio vale anche nel caso di illeciti extracontrattuali, ossia non nascenti dall'esecuzione di un contratto.
Ad esempio, si domanda: il passeggero trasportato a bordo di un autoveicolo, ha diritto al risarcimento del danno biologico subito per effetto di un sinistro stradale, se non indossava le cinture di sicurezza? In questo caso occorrerà avere riguardo del caso specifico e, dunque, verificare se e quali danni si sarebbero potuti evitare, qualora il terzo trasportato e danneggiato avesse indossato correttamente la cintura.
Un lavoratore dipendente subisce un grave infortunio sul lavoro, poiché non indossava il kit precauzionale anti-infortunistico; gli è dovuto il risarcimento del danno sofferto? Anche in questo caso bisogna verificare il caso concreto: se il posto di lavoro (ad esempio, un cantiere) rispettava la vigente normativa in materia anti-infortunistica oppure no, se il responsabile per la sicurezza aveva imposto l’osservanza delle norme anti-infortunistiche, e solo dopo queste verifiche occorrerà accertare quali e quanti danni il lavoratore avrebbe potuto evitare o quanto meno ridurre, indossando il necessario kit.
Con riferimento specifico al caso che precede, occorre segnalare che l'utilizzo del kit anti-infortunistico non comporta a priori l'esclusione del diritto al risarcimento del danno biologico sofferto dal lavoratore, trattandosi di norme a tutela pubblicistica, la cui violazione - di regola - non ricade sul lavoratore, ma sul datore di lavoro; una prassi - quest'ultima - senza dubbio discutibile, se si considera che i soggetti responsabili per la sicurezza nei cantieri non possono seguire e vigilare in ogni singolo istante sull'attività di ogni singolo operaio.
Quindi, se il soggetto danneggiato ha concorso in modo apprezzabile a causare l'evento dannoso, ovvero all’inadempimento del debitore, il diritto al risarcimento sarà proporzionalmente ridotto, nella misura corrispondente al suo concorso di colpa; se, invece, il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, spetterà al Giudicante liquidarlo con una valutazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c., avuto riguardo del paradigma di cui all’art. 1227 c.c.
Da quanto precede, discende che il creditore è tenuto in ogni caso a comportarsi secondo DILIGENZA e BUONA FEDE (artt.1175-1176 c.c.), utilizzando l’ordinaria diligenza per evitare ulteriori danni oltre a quelli già ascrivibili alla condotta del danneggiante; se il danneggiato omette di mitigare gli ulteriori possibili nuovi danni, non tenendo una condotta conforme alle regole della diligenza del buon padre di famiglia, non avrà diritto al ristoro degli ulteriori danni subiti.
Si pensi al caso di una persona che, per fatto illecito altrui, subisca un danno fisico (ad esempio la frattura di un arto) che lo costringa ad indossare un tutore ed a seguire determinate terapie riabilitative: se il danneggiato non si uniforma alle prescrizioni mediche, non avrà diritto al risarcimento degli ulteriori danni fisici che siano conseguenza indiretta e mediata del fatto illecito subito ab origine.
Questo basilare principio, trova applicazione anche nelle obbligazioni contrattuali ed in particolare nei contratti aventi per oggetto prestazioni corrispettive (o sinallagmatiche): ciascuno dei contraenti deve comportarsi nell'esecuzione del contratto secondo buona fede e con la diligenza richiesta al buon padre di famiglia (art.1176 c.c.). 
Infatti, il debitore di una prestazione ha diritto di esigere la cooperazione del creditore (ossia dell’avente diritto alla prestazione) nell’esecuzione del contratto. Ad esempio, se l’impossibilità di eseguire un contratto dipende dall’esclusivo fatto del creditore, il debitore della prestazione ha diritto di domandare la risoluzione e di domandare il ristoro delle ulteriori spese che sono conseguenza della risoluzione del contratto? La risposta è certamente affermativa.
In ambito processuale, l'eccezione di "concorso di colpa del danneggiato" prevista dall'art. 1227 c.c. deve essere sollevata esclusivamente dalla parte processuale a tutela della quale la norma è posta: infatti, non è un'eccezione rilevabile d’ufficio (ossia dal Giudice), ma solo ad istanza di parte. 
Ne segue che: il debitore di una determinata prestazione contrattuale, che sia convenuto in un giudizio dove si domanda nei suoi confronti il risarcimento dei danni conseguenti al suo inadempimento, dovrà eccepire col primo atto difensivo il concorso di colpa che egli imputa al danneggiato (ossia dell'avente diritto alla prestazione), per ottenere una proporzionale riduzione del risarcimento da pagare; l'onere della prova quanto al concorso di colpa del danneggiato grava ovviamente sul soggetto che invoca l'applicazione dell'art. 1227 c.c., essendo il naturale corollario del più generale principio stante il quale l'onus probandi incumbit ei qui dicit.  


RIFERIMENTI GIURISPRUDENZIALI

La previsione di cui all'art. 1227 c.c. presuppone che il fatto colposo del creditore abbia concorso a cagionare il danno dal medesimo subito, cosicché deve essere esclusa in radice la stessa possibilità di ipotizzare un tale concorso laddove il danno di cui si tratta sia stato riportato non da uno dei conducenti dei veicoli coinvolti, ma da un terzo trasportato (che tale rimane, quantunque figlio minore di uno dei conducenti) Cass. civ., sez. III, dd. 09/06/2014, n.12898.

L'esposizione volontaria ad un rischio, o, comunque, la consapevolezza di porsi in una situazione da cui consegua la probabilità che si produca a proprio danno un evento pregiudizievole, è idonea ad integrare una corresponsabilità del danneggiato e a ridurre, proporzionalmente, la responsabilità del danneggiante, in quanto viene a costituire un antecedente causale necessario del verificarsi dell'evento, ai sensi dell'art. 1227, primo comma, cod. civ., e, a livello costituzionale, risponde al principio di solidarietà sociale di cui all'art. 2 Cost. avuto riguardo alle esigenze di allocazione dei rischi (riferibili, nella specie, all'ambito della circolazione stradale) secondo una finalità comune di prevenzione, nonché al correlato obbligo di ciascuno di essere responsabile delle conseguenze dei propri atti. (Nella specie, in applicazione dell'anzidetto principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva ritenuto sussistente il concorso di colpa del danneggiato per aver partecipato come passeggero ad una gara automobilistica clandestina). Cass. civ., sez. III, dd. 26/05/2014, n. 11698.

L'onere di diligenza imposto al creditore dall'art. 1227 comma 2 c.c., non spinge - in tesi generale - fino al punto di obbligare quest'ultimo a compiere una attività gravosa o rischiosa, quale la introduzione di un processo. Cass. civ., sez. I, dd. 29/01/2014, n.1895 .

L'art. 1227, secondo comma, cod. civ., escludendo il risarcimento per il danno che il creditore avrebbe potuto evitare con l'uso della normale diligenza, non si limita ad esigere dal creditore la mera inerzia di fronte all'altrui comportamento dannoso, ma gli impone, secondo i principi di correttezza e buona fede di cui all'art. 1175 cod. civ., una condotta attiva o positiva, diretta a limitare le conseguenze dannose di quel comportamento. Cass. civ., Sez. II, dd. 28/11/2013, n.26639 .

Mentre ogni offerta di adempimento vale ad escludere la mora del debitore, ove quest'ultimo voglia conseguire l'effetto più ampio della liberazione dall'obbligazione - idoneo a porsi quale presupposto costitutivo per l'eventuale configurazione di un concorso del creditore ai sensi dell'art. 1227, secondo comma, cod. civ. - è tenuto a far seguire l'offerta reale di danaro (o, eventualmente, di titoli di credito) dal deposito, secondo la disciplina degli artt. 1208 e seguenti cod. civ., nonché da tutti gli adempimenti conseguenti specificati dall'art. 1212 cod. civ. Cass. civ., sez. II, dd. 15/11/2013, n.25775 .

La colpa dell'inadempiente, quale presupposto per la risoluzione del contratto, è presunta sino a prova contraria e tale presunzione è superabile solo da risultanze positivamente apprezzabili, dedotte e provate dal debitore, le quali dimostrino che, nonostante l'uso della normale diligenza, non è stato in grado di eseguire tempestivamente le prestazioni dovute per cause a lui non imputabili. Ne consegue che non può essere pronunciata la risoluzione del contratto in danno della parte inadempiente, ove questa superi la presunzione di colpevolezza dell'inadempimento, dimostrandone la non imputabilità a causa dell'ingiustificato rifiuto della controparte di ricevere la prestazione. Cass. civ., sez. III, dd. 11/02/2005, n.2853 .

(Avv. Luca Conti del foro di Trento).




martedì 17 luglio 2012

LO SCIOGLIMENTO DELLA COMUNIONE DEI BENI E L'ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMIGLIARE






LA COMUNIONE DEI BENI ED IL SUO SCIOGLIMENTO A SEGUITO DELLA SEPARAZIONE DEICONIUGI

L'ASSEGNAZIONE DELLA CASA CONIUGALE


Art. 177 c.p.c. (beni facenti parte della comunione legale)
Costituiscono oggetto della comunione:
a) gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali;
b) i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione;
c) i proventi dell'attività separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della comunione, non siano stati consumati;
d) le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio.
Qualora si tratti di aziende appartenenti ad uno dei coniugi anteriormente al matrimonio ma gestite da entrambi, la comunione concerne solo gli utili e gli incrementi.

Art. 179 c.c. (beni personali non facenti parte della comunione)
Non costituiscono oggetto della comunione e sono beni personali del coniuge:
a) i beni di cui, prima del matrimonio, il coniuge era proprietario o rispetto ai quali era titolare di un diritto reale di godimento;
b) i beni acquisiti successivamente al matrimonio per effetto di donazione o successione, quando nell'atto di liberalità o nel testamento non è specificato che essi sono attribuiti alla comunione;
c) i beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge ed i loro accessori;
d) i beni che servono all'esercizio della professione del coniuge, tranne quelli destinati alla conduzione di un'azienda facente parte della comunione;
e) i beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno, nonché la pensione attinente alla perdita parziale o totale della capacità lavorativa;
f) i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni personali sopraelencati o col loro scambio, purché ciò sia espressamente dichiarato all'atto dell'acquisto.

L'acquisto di beni immobili, o di beni mobili elencati nell'art. 2683 c.c. effettuato dopo il matrimonio, è escluso dalla comunione, ai sensi delle lettere c), d) ed f) del precedente comma, quando tale esclusione risulti dall'atto di acquisto se di esso sia stato parte anche l'altro coniuge.

  Art. 191 c.c. (lo scioglimento della comunione)

La comunione si scioglie per la dichiarazione di assenza o di morte presunta di uno dei coniugi, per l'annullamento, per lo scioglimento o per la cessazione degli effetti civili del matrimonio, per la separazione personale, per la separazione giudiziale dei beni, per mutamento convenzionale del regime patrimoniale, per il fallimento di uno dei coniugi.
Nel caso di azienda di cui alla lettera d) dell'art. 177 c.c., lo scioglimento della comunione può essere deciso, per accordo dei coniugi, osservata la forma prevista dall'art. 162 c.c.


Art. 337 sexies c.c. (l'assegnazione della casa famigliare)
Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli. Dell'assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l'eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell'art.2643 c.c.
In presenza di figli minori, ciascuno dei genitori è obbligato a comunicare all'altro, entro il termine perentorio di trenta giorni, l'avvenuto cambiamento di residenza o di domicilio. La mancata comunicazione obbliga al risarcimento del danno eventualmente verificatosi a carico del coniuge o dei figli per la difficoltà di reperire il soggetto (Articolo inserito dall'art.55 D. Lg. 28/12/2013 n.154 con decorrenza 07/02/2014).

N.B. Gli articoli da 155 bis a 155 sexies sono stati abrogati dall'art. 106 D. Lg. 28/12/2013 n.154 e sostituiti dagli artt. 337 bis e ss. c.c.


*****


LA COMUNIONE DEI BENI ED IL SUO SCIOGLIMENTO


Salvo diverso accordo tra i coniugi, i rapporti economici sono regolati dalle norme del codice civile sulla comunione legale dei beni. Il diverso accordo prevede invece la separazione dei beni.
La comunione dei beni è definita - appunto - legale perché trova applicazione per espressa disposizione del legislatore, le cui caratteristiche sono: 1) la non universalità, visto che non riguarda tutti i beni dei coniugi; 2) la non necessarietà, visto che i coniugi possono optare per il regime della separazione dei beni; 3)  la vincolatività dato che ciascun coniuge perde la propria autonomia.

A questo riguardo precisa l'art. 177 c.c.: costituiscono oggetto di comunione gli acquisti fatti dai coniugi insieme o separatamente in costanza di matrimonio, ad esclusione dei beni strettamente personali; i frutti dei beni propri di ciascun coniuge percepiti e non ancora consumati alla data di scioglimento della comunione; i proventi dell'attività lavorativa di ciascun coniuge non ancora consumati alla data di scioglimento della comunione; le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo la celebrazione del matrimonio.

Ai sensi del successivo art. 191 c.c. la coniunione legale dei beni si scioglie: in seguito alla dichiarazione di assenza o di morte presunta di uno dei coniugi; per effetto dell'annullamento / scioglimento / cessazione degli effetti civili del matrimonio; per effetto della separazione dei coniugi (ovvero col passaggio in giudicato della sentenza di separazione); per l'intervenuto mutamento della convenzione patrimoniale.
Altrimenti detto, quando lo scioglimento del vincolo coniugale (divorzio) sia preceduto dalla separazione dei coniugi, col passaggio in giudicato della sentenza che ha deciso la causa di separazione viene a cessare automaticamente anche la comunione dei beni. 
Occorre precisare che la domanda di scioglimento della comunione può essere proposta anche in pendenza della causa di separazione, ma l'effettivo scioglimento della comunione si avrà comunque solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza che ha deciso la separazione (cfr. Cass. Civ. dd. 26/02/2010, n.4757).

Quanto alle modalità con cui avviene la divisione del patrimonio comune (ossia dei beni che facevano parte della comunione in costanza di matrimonio) precisa l'art. 194 c.c. che la divisione dei beni della comunione si effettua ripartendo tra i coniugi in parti uguali l'attivo ed il passivo. 
Il Giudice in relazione alle necessità della prole ed all'affidamento di essa, può costituire a favore di uno dei due coniugi l'usufrutto su di una parte dei beni spettanti all'altro coniuge. 
La ratio della norma in rubrica si spiega col fatto che la divisione dei beni entrati a far parte della comunione in costanza di matrimonio non è una conseguenza automatica del suo scioglimento, mentre si realizza solo per impulso dei coniugi.
Altrimenti detto, la divisione dei beni della comunione è quel procedimento che realizza fattivamente la divisione dei beni della comunione attraverso l'attribuzione di essi a ciascun coniuge; la divisione, tuttavia, non è obbligatoria, posto che i coniugi potrebbero anche decidere di conservare lo status quo senza dividere tra loro i beni. In quest'ultimo caso i beni resterebbero disciplinati dalle norme sulla comunione.  


*****

L'ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMIGLIARE PER EFFETTO DELLA SEPARAZIONE IN PRESENZA DI FIGLI
 

La dimora coniugale, ossia la casa che i coniugi hanno scelto come casa della famiglia, ricade nella comunione, salvo che non risulti diversamente dal titolo di acquisto: infatti, potrebbe accadere le casa scelta come dimora coniugale appartenesse già ad un coniuge prima del matrimonio, oppure potrebbe essere stata acquistata anche dopo la sua celebrazione, ma riservando il diritto di proprietà ad un coniuge soltanto. 
Ma cosa ne è della casa famigliare in caso di separazione ovvero di scioglimento del matrimonio?
Secondo una prassi da tempo consolidata, l'abitaione famigliaere è assegnata (prescindendo dal titolo di proprietà) al coniuge economicamente più debole ovvero, in presenza di figli minorenni, al coniuge presso il quale i figli sono allocati prevalentemente: in ogni caso, si valuta sempre prioritariamente l'interesse dei figli.

Il principio di assegnazione della casa famigliare al genitore cui sono affidati i figli trova applicazione anche nel caso di convivenze e di famiglie di fatto: la Corte di Cassazione con una recentissima pronuncia del 11/09/2015 n.17971 ha stabilito che "in caso di convivenze, se ci sono figli minorenni,l'immobile adibito a casa famigliare va assegnato al genitore cui sono affidati i figli minori".

La Corte di Cassazione ha anche affermato che occorre considerare prioritariamente l'interesse della prole a permanere nell'habitat domestico; tuttavia l'esigenza di preservare questo habitat inteso come centro degli affetti e delle consuetudini in cui si esprime e si articolas la vita famigliare viene meno ove tale presupposto sia carente per essersi i figli già sradicati dal luogo in cui si svolgeva l'esistenza famigliare (cfr. Cass. civ., sez. I, dd. 08/06/2012, n.9371).

Per effetto dell'abrogazione degli artt. 155 bis e ss. c.c. e dell'entrata in vigore delle nuove norme in materia di filiazione (artt. 337 bis e ss. c.c.) il godimento della casa familiare è attribuito tenendo conto prioritariamente dell'interesse dei figli a permanere dove sono nati e cresciuti. Dell'assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l'eventuale titolo di proprietà.  
Il diritto di godimento della casa famigliare viene meno e può essere revocato quando l'assegnatario non vi abiti più ovvero si trasferisca per avere contratto un altro matrimonio o una relazione more uxorio. Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell'art. 2643 c.c. 

Come tutti i provvedimenti adottati dall'Autorità Giudiziaria a tutela dei coniugi e della prole, anche l'assegnazione della casa famigliare è adottata pro tempore ossia finché permangono le esigenze dei minori legate ad una loro equilibrata crescita psicofisica; nel momento in cui i figli diventanto maggiorenni ed economicamente autosufficienti, il provvedimento di assegnazione può essere revoato.

Con riguardo al prioritario interessi dei figli nel provvedimento di assegnazione della casa famigliare si segnala un decreto della Corte d'appello di Venezia secondo la quale "in materia di assegnazione della dimora coniugale non vi è alcun criterio automatico di assegnazione e che come criterio di valutazione non si può tenere conto solo dell'interesse dei figli minorenni, ma anche considerare altri interessi meritevoli di tutela, quali ad esempio l'interesse dell'altro coniuge, nel caso di specie portatore di handicap, a conservare il posto di lavoro" (cfr. Corte d'appello di Venezia dd. 06/03/2013). Nella fattispecie portata all'esame della Corte territoriale di Venezia, il padre affetto da cecità aveva impugnato l'ordinanza del Tribunale di Venezia che aveva assegnato la casa coniugale alla madre in quanto convivente coi figli, sulla base del fatto che il provvedimento de quo finiva col ledere il suo diritto di conservare un comodo posto di lavoro vicino a casa; la Corte d'appello, ribaltando la pronuncia di primo grado, assegnava la dimora al padre gravemente hadicappato ritenendo il suo diritto più meritevole di tutela rispetto a quello dei figli di permanere nell'ambiente dove erano cresciuti.


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L'ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMIGLIARE PER EFFETTO DELLA SEPARAZIONE IN ASSENZA DI FIGLI 

A questo punto occorre chiedersi che cosa ne è della casa coniugale quando i coniugi si separano e non ci sono figli conviventi.
In questo caso, salvo che sul punto intervenga un diverso accordo tra i coniugi, la casa familiare non può essere assegnata esclusivamente all'uno piuttosto che all’altro coniuge, pur vantando entrambi un titolo di proprietà pro indiviso ovvero un diritto reale di godimento. 
Infatti, qualora uno dei coniugi proponesse al Giudicante la domanda di assegnazione pro tempore della dimora coniugale acquistata dopo il matrimonio e dunque in regime di comunione dei beni, il giudicante sarebbe costretto a dichiarare il "non luogo a procedere".
In questo caso, se di proprietà comune, i coniugi potranno semmai chiedere all'Autorità Giudiziaria la divisione giudiziale dell'immobile, mentre se di proprietà esclusiva, questo rientrerà nella sfera di disponibilità esclusiva del coniuge proprietario. 
Questo è l’orientamento prioritario della Suprema Corte di Cassazione; un orientamento dal quale però si sono discostate talune isolate pronunce dei tribunali territoriali (ad esempio il Tribunale di Cagliari), in base alle quali il "il giudice investito della separazione dei coniugi anche in punto di assegnazione della casa famigliare  pur in assenza di figli minori può decidere per l'assegnazione a favore del coniuge che si trovi in gravi e conclamate difficoltà economiche e non sia in grado di procurarsi un alloggio"
Il Tribunale di Cagliari, pertanto, ha ritenuto ammissibile l'emissione di un provvedimento provvisorio ed urgente finalizzato al rilascio dell'immobile a favore del coniuge più disagiato, provvedimento evidentemente temporaneo a da tersi ben distinto da quello di assegnazione ex art. 155 quater c.p.c. (norma oggi abrogata). Detta pronuncia ha trovato sponda in un'analoga sentenza della Corte d'appello di Roma (sent. n.3681 del 07/08/2003) secondo la quale "nell'ipotesi in cui la casa famigliare appartenga a entrambi i coniugi e pur in assenza di esigenze della prole meritevoli di tutela, il provvedimento di assegnazione può tuttavia trovare giustificazione nella necessità, in presenza di una sostanziale parità di diritti, di favorire quello dei coniugi che non abbia adeguati redditi propri, al fine di consentirgli la conservazione di un tenore di vita analogo a quello fruito in costanza di matrimonio, con conseguente assunzione di una funzione riequilibratrice delle contrapposte condizioni economiche".


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GIURISPRUDENZA A CONFRONTO


Matrimonio - Regime patrimoniale - Scioglimento - Divisione - Beni fruttiferi - Godimento da parte di un solo coniuge - Conseguenze - Credito dell'altro coniuge.
 Intervenuto lo scioglimento della comunione legale per effetto della separazione dei coniugi, ciascuno di essi può domandare la divisione del patrimonio comune, da effettuare secondo i criteri stabiliti dagli articoli 192 e 194 del Cc. Ne deriva, pertanto, che quello dei coniugi rimasto nel possesso esclusivo di beni fruttiferi già appartenuti alla comunione deve intendersi tenuto al pagamento pro quota verso l'altro coniuge del corrispettivo di tale godimento, secondo le regole generali. Il credito relativo (alla quota dei frutti civili prodotti o producibili dal bene rimasto nella disponibilità esclusiva del singolo coniuge) sorge, peraltro, non dalla data in cui è stata pronunciata la separazione tra i coniugi (con conseguente cessazione del regime legale), né da quella in cui tali somme vengono richieste ma da quella (eventualmente diversa e anteriore) in cui è stata formulata domanda divisione dei beni comuni. Cass. Sezione I, sentenza 24 maggio 2005 n. 10896 (in Giuda al Diritto, Edizione n. 29 del 23 luglio 2005, pagina 65).



Separazione e divorzio - Effetti di ordine patrimoniale - Assegnazione della casa famigliare - Assenza di figli - Funzione riequilibratrice delle contrapposte posizioni economiche - Assegnazione della casa al coniuge che non ha redditi propri. 
Nell'ipotesi in cui la casa famigliare appartenga a entrambi i coniugi e pur in assenza di esigenze della prole meritevoli di tutela, il provvedimento di assegnazione può tuttavia trovare giustificazione nella necessità, in presenza di una sostanziale parità di diritti, di favorire quello dei coniugi che non abbia adeguati redditi propri, al fine di consentirgli la conservazione di un tenore di vita analogo a quello fruito in costanza di matrimonio, con conseguente assunzione di una funzione riequilibratrice delle contrapposte condizioni economiche (Corte d'appello di Roma dd. 07/08/2003, n.3681).
 


Divizione dei beni in comunione legale - Alloggio di cooperativa edilizia - Rilevanza del momento della stipula del contratto di mutuo - Sussiste.
In ipotesi di alloggio di cooperativa edilizia a contributo statale, il momento rilevante al fine di stabilire l'acquisto della titolarità dell'immobile e, quindi, di verificare se esso ricade nella comunione legale, va individuato in quella della stipulazione, da parte del socio, del contratto di mutuo individuale. Solo in tal modo, infatti, assumendo la veste di semplice mutuatario, il socio acquista irrevocabilmente la proprietà dell'alloggio e l'edificio passa in regime di proprietà frazionata, cui partecipa la stessa cooperativa per le unità non ancora trasferite a singoli assegnatari (Cass. Sezione I, sentenza 11 giugno 2005 n. 12382).


Famiglia di fatto - Convivenza - Figli naturali - Separazione di fatto - Affidamento dei figli minorenni - Assegnazione della casa famigliare al genitore affidatario.
 Nel caso di convivenza o di famiglia di fatto, la casa famigliare va assegnata al genitore agffidatario dei figli minorenni (Cass. civ. Sez. I dd. 15/09/2015, n.17971).



Separazione e divorzio - Separazione con addebito - Assegnazione parziale della casa famigliare. 
In tema di separazione personale dei coniugi, il giudice puo' limitare l'assegnazione della casa familiare ad una porzione dell'immobile, di proprieta' esclusiva del genitore non collocatario, anche nell'ipotesi di pregressa destinazione a casa familiare dell'intero fabbricato, ove tale soluzione, esperibile in relazione al lieve grado di conflittualita' coniugale, agevoli in concreto la condivisione della genitorialita' e la conservazione dell'habitat domestico dei figli minori (Cass. civ. Sez. I dd. 12/11/2014, n.24156).  

Comunione dei beni - Scioglimento - Passaggio in giudicato della sentenza di separazione - Impugnazione della sentenza di separazione limitatamente all'addebitabilità della stessa. 

Nel giudizio di separazione personale dei coniugi, la richiesta di addebito, pur essendo proponibile solo nell'ambito del giudizio di separazione, ha natura di domanda autonoma; infatti, la stessa presuppone l'iniziativa di parte, soggiace alle regole e alle preclusioni stabilite per le domande, ha una "causa petendi" (la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio in rapporto causale con le ragioni giustificatrici della separazione, intollerabilità della convivenza o dannosità per la prole) ed un "petitum" (statuizione destinata a incidere sui rapporti patrimoniali con la perdita del diritto al mantenimento e della qualità di erede riservatario e di erede legittimo) distinti da quelli della domanda di separazione; pertanto, in carenza di ragioni sistematiche contrarie e di norme derogative dell'art. 329 cod. proc. civ., comma 2, l'impugnazione proposta con esclusivo riferimento all'addebito contro la sentenza che abbia pronunciato la separazione ed al contempo ne abbia dichiarato l'addebitabilità, implica il passaggio in giudicato del capo sulla separazione (Cass. civ. dd. 31/05/2008, n.14639).


Comunione legale dei beni - Divisione - Stima dei beni - determinazione del valore al momento in cui viene pronuinciata la divisione.

Occorrendo assicurare la formazione di porzioni di valore corrispondente alle quote, può aversi riguardo alla stima dei beni effettuata in data non troppo vicina a quella della decisione soltanto se si accerti che, nonostante il tempo trascorso, per la stasi del mercato o per il minore apprezzamento del bene in relazione alle sue caratteristiche, non sia intervenuto un mutamento di valore che renda necessario l’adeguamento di quello stabilito al tempo della stima (Cass. 21.5.2003 n. 7961; Cass. 16.2.2007 n. 3645)”. ... “… Il riferimento della stima di beni ereditari al tempo dell’apertura della successione, ovvero ad un’epoca pregressa ed indipendente da quella successiva del giudizio divisorio, non ha alcun fondamento sul piano giuridico, dovendosi invece tenere conto, ai suddetti fini, della realtà di fatto sussistente all’atto della divisione dei beni stessi” (Cass. civ. n. 10037/2009).



Separazione dei coniugi - Assegnazione della casa famigliare - Prioritario interesse dei figli sul provvedimento di assegnazione.
In tema di assegnazione della casa familiare occorre considerare in via prioritaria l'interesse della prole a permanere nell'habitat domestico; tuttavia, l'esigenza di preservare l'habitat domestico, inteso come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare, viene meno ove tale presupposto sia carente, per essersi i figli già sradicati dal luogo in cui si svolgeva la esistenza della famiglia (Cass. civ. Sez. I dd. 08/06/2012, n. 9371).



Matrimonio - Diritti e doveri dei coniugi - Educazione, istruzione e mantenimento della prole - Concorso dei coniugi nell'assolvimento degli oneri - Assegnazione della casa famigliare in presenza di figlio maggiorenne e conviente - Nozione di convivenza rilevante.
La nozione di convivenza rilevante agli effetti dell'assegnazione della casa familiare comporta la stabile dimora del figlio presso l'abitazione di uno dei genitori, con eventuali, sporadici allontanamenti per brevi periodi, e con esclusione, quindi, della ipotesi di saltuario ritorno presso detta abitazione per i fine settimana, ipotesi nella quale si configura invece un rapporto di mera ospitalità; deve, pertanto, sussistere un collegamento stabile con l'abitazione del genitore, benché la coabitazione possa non essere quotidiana, essendo tale concetto compatibile con l'assenza del figlio anche per periodi non brevi per motivi di studio o di lavoro, purché egli vi faccia ritorno regolarmente appena possibile; quest'ultimo criterio, tuttavia, deve coniugarsi con quello della prevalenza temporale dell'effettiva presenza, in relazione ad una determinata unità di tempo (Cass. civ. Sez. I dd. 22/03/2012, n. 4555).


Matrimonio - Famiglia di fatto - Figli naturali - Assegnazione della casa famigliare - Art. 155 quater c.c. - Applicabilità alle famiglie di fatto - Interesse tutelato - Effetti e condizioni.
In tema di assegnazione della casa familiare, l'art. 155 quater c.c., applicabile anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati, tutela l'interesse prioritario della prole a permanere nell'habitat domestico, mentre non si pone anche a presidio dei rapporti affettivi ed economici che, pur derivando dal rapporto di filiazione (...) abbiano cessato di convivere nell'abitazione, già comune, allontanandosene (nella specie, la casa, di proprietà esclusiva del padre, era stata assegnata alla madre presso la quale era stato collocato il figlio minore. Censurando il padre tale provvedimento perché prescindeva totalmente dagli interessi degli altri suoi figli — tre legittimi e uno naturale — privati della possibilità di essere periodicamente ospitati nella casa nella quale erano nati e cresciuti, in applicazione del principio di cui sopra la Suprema Corte, ha rigettato il ricorso atteso che degli altri figli, alcuni — in particolare quelli legittimi — da tempo risalente non avevano più alloggiato in quella casa, convivendo con la madre in Olanda, l'altro — pur esso naturale — non aveva mai vissuto in quella casa) (Conferma App. Milano, decr. 23 marzo 2010).



(a cura di Avv. Luca Conti del foro di Trento).