L'ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMIGLIARE
L’ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMIGLIARE
IN CASO DI SEPARAZIONE O DIVORZIO
Un aspetto particolarmente rilevante nella separazione
dei coniugi, così come nel divorzio e nella separazione di coppie di fatto, riguarda
l’assegnazione della (ex) dimora famigliare.
A chi spetta? E soprattutto incide il titolo di
proprietà della casa sul provvedimento di assegnazione? Il provvedimento di
assegnazione può essere revocato ed in quali circostanze?
Per rispondere a tutti questi quesiti, occorre - anzitutto
- prendere in esame l’art. 708 c.p.c. che, in sede di udienza presidenziale
(separazione dei coniugi), disciplina prima il tentativo di conciliazione e poi
i provvedimenti temporanei ed urgenti nell’interesse dei figli e dei coniugi.
Recita il terzo comma dell’art. 708 c.p.c. “(…) se la conciliazione non riesce, il
Presidente anche d’ufficio, sentiti i
coniugi ed i rispettivi difensori, dà con ordinanza i provvedimenti temporanei
ed urgenti nell’interesse della prole e dei coniugi, nominando il giudice
istruttore e fissa udienza di
comparizione e trattazione davanti a questi (…)”.
Allo stesso modo dispone l’art.4 n.8 della legge
n.898/1970 (legge sul divorzio): “(…) se
la conciliazione non riesce, il Presidente, sentiti i coniugi e i rispettivi
difensori nonché, disposto l'ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli
anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento, dà, anche
d'ufficio, con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa
opportuni nell'interesse dei coniugi e della prole, nomina il giudice
istruttore e fissa l'udienza di comparizione e trattazione dinanzi a questo
(…)”.
Tra i provvedimenti temporanei ed urgenti, che il
Presidente del Tribunale è tenuto ad adottare in sede di separazione così come
in sede di scioglimento del matrimonio, rientra l’assegnazione della dimora famigliare
o coniugale; a questo punto, occorre fare riferimento all’art. 337 sexies c.c. a ciò espressamente
dedicato. Da notare che l’articolo in parola si applica anche alla separazione
di coppie di fatto in presenza di figli minorenni.
L’art. 337 sexies
c.c. dispone che: “(…) il godimento
della casa famigliare è attribuito tenendo conto prioritariamente dell’interesse
dei figli. Dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei
rapporti economici tra i genitori, considerando l’eventuale titolo di
proprietà. Il diritto viene meno nel caso in cui l’assegnatario non abiti o
cessi di abitare stabilmente nella casa famigliare, ovvero conviva more uxorio,
ovvero contragga un nuovo matrimonio (…)”.
Dalla norma che precede discendono due importanti corollari:
1)
Nell’assegnare la
casa famigliare all’uno o all’altro genitore si tiene conto PRIORITARIAMENTE
dell’interesse dei figli a mantenere radicamento nella casa dove sono nati e
cresciuti;
2)
Se il genitore
assegnatario cessa di vivere nella casa famigliare, ovvero contrae una nuova
convivenza more uxorio, oppure ancora
contrae un nuovo matrimonio, perde il diritto all’assegnazione.
Ne è conferma una recente Sentenza della Corte d’appello
di Palermo di data 25/03/2019, secondo la quale “(…) l'art. 337 sexies c.c. statuisce che "il godimento della casa
familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei
figli". E' evidente che, venuto meno questo interesse, non possa che venir
meno il vincolo che sulla casa familiare è stato apposto dal provvedimento di
assegnazione; e ciò accade non solo quando il figlio maggiorenne raggiunga
l'autosufficienza economica, ma anche nel caso in cui si verifichino dei
cambiamenti nelle sue abitudini di vita, tali per cui egli cessi di abitare
stabilmente con il genitore assegnatario (…)”.
Alla luce di quanto sopra, il titolo di proprietà non
incide sul provvedimento di assegnazione della casa famigliare, ma se ne tiene
conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori.
Quindi, il genitore che diviene assegnatario - in
quanto convivente con i figli minorenni - della casa famigliare di proprietà
dell’altro genitore, vedrà limitato, se non addirittura escluso, il diritto a ricevere anch’egli un assegno di
mantenimento, in quanto già l’assegnazione della casa famigliare costituisce
una sorta di benefit di cui godono
non solo i figli minorenni conviventi, ma anche lo stesso genitore
assegnatario.
Se la casa, invece, appartiene ad entrambi i genitori,
si potrà privilegiare l’assegnazione ad un genitore piuttosto che all’altro,
non solo tenuto conto del PRIORITARIO INTERESSE DEI FIGLI, ma anche delle ridotte
capacità reddituali dell’assegnatario; in questo senso va letta l’ordinanza
della Corte d’appello di Roma di data 07/08/2003: “(…) nell'ipotesi in cui la casa famigliare appartenga a entrambi i
coniugi e pur in assenza di esigenze della prole meritevoli di tutela, il
provvedimento di assegnazione può tuttavia trovare giustificazione nella
necessità, in presenza di una sostanziale parità di diritti, di favorire quello
dei coniugi che non abbia adeguati redditi propri, al fine di consentirgli la
conservazione di un tenore di vita analogo a quello fruito in costanza di
matrimonio, con conseguente assunzione di una funzione riequilibratrice delle
contrapposte condizioni economiche (…)”.
Nella prassi l’assegnazione della casa famigliare è a
tempo determinato e di regola permane finché i figli conviventi col genitore
assegnatario non divengono economicamente autosufficienti, facendo cessare il
vincolo di convivenza.
In altri termini, il provvedimento di assegnazione
permane finché i figli minorenni convivono col genitore assegnatario, ma nel
momento in cui questi raggiungono la maggiore età e l’autosufficienza facendo
cessare il vincolo di convivenza, il diritto all’assegnazione viene meno.
A questo riguardo, esplicativa è un’ordinanza della
Corte d’appello di Roma di data 08/06/2004, secondo la quale: “(…) con il raggiungimento della autonomia
economica e con l'allontanamento dalla casa famigliare, muta in maniera
irreversibile la posizione giuridica della prole: la stessa perde le
prerogative connesse alla sudditanza famigliare, quale il diritto al mantenimento
che vantava nei confronti dei genitori, a cui si è sostituito, ricorrendone le
condizioni, il più limitato diritto agli alimenti, per il cui conseguimento
dovrà peraltro agire personalmente. (fattispecie in cui il figlio, terminati
gli studi ed allontanatosi da casa per motivi di lavoro, vi ha poi fatto
rientro privi di mezzi di sussistenza. Il genitore cui era stata assegnata la
casa di abitazione nella quale ha vissuto con il figlio, non per questo
mantiene il diritto all'assegnazione della casa coniugale) (…)”.
Non è l’unico caso in cui tale diritto viene meno.
Se il genitore assegnatario - ad esempio - si trasferisce
a vivere altrove, ovvero abbraccia una nuova relazione more uxorio (ossia una stabile convivenza con un nuovo/a compagno/a),
ovvero contrae un nuovo matrimonio, anche in questi casi il diritto viene meno.
Tuttavia, la revoca non è automatica, ma occorre
sempre verificare la nuova situazione alla luce del PRIORITARIO INTERESSE dei
figli minorenni a permanere nella dimora famigliare.
Illuminante rispetto a quest’ultima fattispecie è un’ordinanza
del Tribunale di Modena di data 18/04/2007, secondo la quale: “(…) la prova della convivenza more uxorio
della madre assegnataria della casa famigliare non determina l’automatica
cessazione del relativo diritto. In linea con un’interpretazione complessiva e
costituzionalmente orientata della norma si impone una nuova valutazione in
ordine all’effettiva sussistenza dell’interesse del figlio a mantenere il radicamento
della propria dimora in tale ambiente (…)”.
In conclusione si può affermare che per espressa
volontà del Legislatore l’assegnazione della casa famigliare o ex dimora
coniugale è regolata avuto riguardo anzitutto dell’interesse dei minori a non
essere strappati dal nido domestico in cui sono nati e cresciuti, tenendo poi conto
anche dei rapporti economici di forza tra i genitori a prescindere dal titolo
di proprietà della casa, sia essa in proprietà di uno o di entrambi, oppure
presa in affitto.
(a cura di
Avv. Luca Conti)
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