LA GARANZIA PER VIZI E DIFETTI NEL CONTRATTO DI VENDITA








LA GARANZIA PER VIZI E DIFETTI 
NEL CONTRATTO DI VENDITA

LA DISCIPLINA CODISTICA
(artt. 1490 e ss. c.c.)


L'art. 1490 c.c. (garanzia per vizi della cosa venduta) dispone che "il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all'uso cui è destinata, ovvero che ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore. Il patto con cui si esclude o si limita la garanzia non ha effetto, se il venditore ha in mala fede taciuto al compratore i vizi della cosa".
 Il successivo art. 1491 c.c. (esclusione della garanzia) dispone, invece, che "non è dovuta la garanzia se al momento del contratto il compratore conosceva i vizi della cosa venduta; parimenti non è dovuta se i vizi erano facilmente riconoscibili, salvo che il venditore abbia dichiarato che era esente da vizi".

La ratio di queste due norme contenute nel Libro IV Titolo III del Codice Civile in materia di vendita di beni mobili è quella, da un lato, di garantire il compratore da possibili vizi o difetti afferenti il processo di produzione, assemblaggio e/o conservazione della cosa venduta che ne possono compromettere il normale utilizzo e/o che ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore, mentre dall'altro di evitare che il compratore possa denunciare e quindi esercitare la garanzia anche per vizi che erano a lui conosciuti all'atto dell'acquisto ovvero per vizi di cui si sarebbe dovuto avvedere ricorrendo alla normale diligenza. 

E' opportuno precisare sin d'ora che le norme contenute del Titolo III in materia di vendita di beni mobili trovano applicazione ogni volta che non sia applicabile il Codice del Consumo (D. Lgs. 206/2005).  

Proseguendo nella disamina del Titolo III, l'art. 1492 c.c. (effetti della garanzia) dispone che "nei casi indicati dall'art. 1490 c.c. il compratore può domandare a sua scelta la risoluzione del contratto (ai sensi dell'art. 1453 c.c.) ovvero la riduzione del prezzo (di vendita, ndr), salvo che per determinati vizi gli usi escludano la risoluzione; la scelta è irrevocabile quando è fatta con domanda giudiziale".

Per effetto della norma appena richiamata, il compratore (non consumatore) che abbia riscontrato vizi o difetti che compromettono il normale utilizzo del bene acquistato può, a propria scelta insindacabile, domandare la risoluzione del contratto oppure la riduzione del prezzo pattuito per l'acquisto: nel primo caso, l'accoglimento della domanda di risoluzione comporterà il venir meno ab origine degli effetti del contratto, cosicché il compratore sarà tenuto a restituire il bene acquistato, mentre il venditore sarà tenuto a restituirgli il prezzo incassato all'atto dell'acquisto (si veda in proposito l'art.1493 c.c.).

La scelta tra risoluzione e riduzione del prezzo di vendita una volta fatta è irrevocabile e non è ritenuta ammissibile la proposizione di entrambe le domande in via subordinata l'una rispetto all'altra, perché trattasi di domande tra loro alternative.

Fatta questa dovuta premessa in ordine alla scelta indindacabile, ma anche irrevocabile, che deve compiere il compratore nel momento in cui promuove la causa in giudizio, va anche detto che il legislatore ha inteso assicurare la massima tutela per il compratore, prevedendo nel successivo art. 1494 c.c. (risarcimento del danno) che il venditore gli risarcisca l'eventuale danno patrimoniale subìto, ove non provi di avere ignorato senza colpa l'esistenza dei vizi della cosa. La ratio di questa norma è di assicurare al compratore la copertura di ogni perdita economica che sia diretta conseguenza dei vizi riscontrati nel bene acquistato: la norma trova il proprio fondamento su una presunzione di colpa del venditore, il quale per andare esente dal risarcimento del danno deve provare di essere stato all'oscuro dei ivizi senza colpa. 

A questo punto è anche bene precisare che non tutti i vizi / difetti possono sfociare in una pronuncia di risoluzione del contratto: in funzione del richiamo operato dall'art. 1492 c.c. alla disciplina genrale in materia di risoluzione del contratto (artt. 1453 e ss. c.c.) i vizi dovranno essere di una importanza tale da rendere il bene inidoneo all'uso cui è destinato. In altri termini, piccoli difetti nel processo di produzione o di conservazione del bene comporteranno al più la riduzione del prezzo di vendita, ma non certo la risoluzione del contratto.  

Ma quali sono i termini per promuovere in giudizio l'azione di garanzia?
A questa domanda risponde l'art. 1495 c.c. (termini e condizioni per l'azione) secondo il quale "il compratore decade dal diritto di garanzia se non denunzia al venditore i vizi entro e non oltre 8 gg. dalla scoperta salvo diverso termine stabilito dalla legge o dalle parti; la denunzia al venditore non è necessaria se questi ha riconosciuto l'esistenza del vizio ovvero l'ha occultato; l'azione in giudizio si prescrive entro un anno dalla conclusione del contratto ovvero dalla consegna del bene al compratore".

La ratio dell'art. 1495 c.c. è evidentemente quello di porre un limite all'eventuale abuso nell'esercizio della garanzia: in altri termini il compratore facendo ricorso alla normale diligenza deve verificare il corretto funzionamento del bene ed una volta accertata l'esistenza di vizi deve farne denuncia scritta al compratore entro otto giorni dalla scoperta, mentre la proposizione della domanda in giudizio dovrà essere fatta entro e non oltre un anno dalla conclusione del contratto ovvero dalla consegna del bene. Tale termine è stabilito a pena di decadenza, sicché il suo spirare rende inammissibile un'eventuale domanda promossa tardivamente.  

Riassumendo il senso delle norme che precedono, si ricava che nel contratto di vendita, allorché il bene venduto presenti vizi o difetti (intendendosi per vizi o difetti quelle imperfezioni afferenti il processo di produzione, di assemblaggio o di conservazione del bene che incidono sulla sua utilizzabilità) tali da renderlo inidoneo all'uso cui è destinato o da diminuirne in modo apprezzabile il valore, il venditore è obbligato a tenere indenne il compratore, che a propria volta potrà domandare insindacabilmente la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo pattuito per l'acquisto.

Al principio generale della garanzia per vizi (art. 1490 c.c.) il Codice Civile consente alle parti di derogarvi attraverso un patto stipulato tra venditore e compratore: questo patto può essere costituito dall'inserimento nel contratto di vendita della clausola meglio nota "come visto piaciuto". Ciò non di meno, per essere opponibile al compratore, detta clausola dovrà essere da lui medesimo sottoscritta e comunque sarà inefficace ed improduttiva di effetti, se i vizi / difetti del bene siano stati taciuti con mala fede dal venditore.

L'azione giudiziale con la quale il compratore denuncia la presenza di vizi e domanda la risoluzione del contratto prende il nome di "azione redibitoria" che rientra nella casistica delle azioni di risoluzione del contratto (art. 1453 c.c.). 
L'azione giudiziale con cui il compratore denuncia l'esistenza di vizi non gravi e chiede la riduzione del prezzo di vendita, invece, prende il nome di "azione estimatoria".
E' chiaro che il presupposto delle due azioni è il medesimo, ma lo scopo perseguito sarà diverso in funzione della maggiore o minore gravità dei vizi accertati. 

Tornando alla denuncia dei vizi, il termine di otto giorni per la denuncia (meglio se scritta) è un termine fissato a pena di decadenza e decorre per i vizi palesi dal giorno della consegna del bene, mentre per i vizi occulti dal momento della loro effettiva scoperta. Per questa ragione, se per scoprire l'origine del difetto occorre un'indagine approfondita o una perizia tecnica, gli otto giorni decorreranno da quando il compratore avrà acquisito la certezza obiettiva dell'origine dei vizi e della loro natura, e non già dal momento della consegna del bene.

Invece, il termine annuale per promuovere in giudizio l'azione di garanzia nei confronti del venditore (art. 1495 c.c.) è prescrittivo: trascorso un anno dalla conclusione del contratto o dalla consegna del bene, anche se la denuncia è stata fatta tempestivamente, l'azione giudiziale non è più esperibile; questo principio vale anche per i vizi occulti.

Un ultimo cenno merita, invece, l'art. 1497 c.c. (mancanza di qualità) secondo il quale "quando la cosa venduta non ha le qualità promesse ovvero quelle essenziali cui la cosa è destinata, il compratore ha diritto di ottenere la risoluzione del contratto secondo le disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento (artt. 1453 e ss. c.c.), purché il difetto di qualità ecceda i limiti di tolleranza stabiliti dagli usi. Tuttavia il diritto di ottenere la risoluzione è soggetto alla stessa decadenza e prescrizione stabilite dall'art. 1495 c.c.".

La ratio della norma in esame è quella di tutelare il compratore non già in presenza di vizi / difetti che compromettono l'utilizzo del bene, bensì quando la cosa presenti delle qualità inferiori o diverse rispetto a quelle pattuite o promesse dal venditore. Trattasi, in altri termini, di un inesatto adempimento del venditore sanzionabile ai sensi dell'art. 1218 c.c., anche se lo scopo perseguito dall'azione (la risoluzione del contratto) è lo stesso dell'azione redibitoria; ma mentre in quest'ultima non è postulata la colpa del venditore, nell'azione per mancanza di qualità la responsabilità del venditore deve essere provata; resta infine sempre fisso il termine prescrizionale previsto dall'art. 1495 c.c.

In materia di garanzia per vizi della cosa venduta, la Giurisprudenza di merito e di legittimità sono concordi nell'affermare i seguenti principi:
1) si configura il vizio redibitorio qualora la cosa venduta presenti imperfezioni concernenti il processo di produzione, di fabbricazione, di assemblaggio o di conservazione che la rendano inidonea all'uso cui è destinata ovvero ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore;
2) si configura la mancanza di qualità essenziali la consegna al compratore di un bene non identico a quallo presentato a campione al momento della conclusione del contratto
3) nell'azione redibitoria la colpa del venditore non è richiesta, mentre lo è nell'azione di risoluzione per mancanza delle qualità promesse;
4) dalle due azioni disciplinate dagli artt. 1490 e 1497 c.c. si distingue poi l'azione di risoluzione nel caso di vendita aliud pro alio che si sostanzia quando al compratore viene consegnato un bene del tutto diverso da quello pattuito ovvero che presenti tali e tanti vizi da farlo degradare a sottospecie del tutto diversa da quella dedotta nel contratto di vendita: in quest'ultimo caso, lazione non si prescriverà più entro l'anno dalla consegna, ma sarà soggetta al termine ordinario decennale.
Si vedano: Tribunale di Bologna, Sez. III, dd. 03/12/2013, n.3501; Tribunale di Genova, sez. I, dd. 16/01/2004, n.175; Corte d'Appello di Potenza dd. 16/05/2014, n.165; Tribunale di Milano, Sez. I, dd. 07/02/2012, n.1524; Tribunale di Lamezia Terme dd. 20/01/2011; Tribunale di Torino, Sez. IX, dd. 08/01/2009, n.50; Cass. civ., Sez. II, dd. 07/03/2007, n.5202 .
(A cura di Avv. Luca Conti del Foro di Trento)





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