RESPONSABILITA' SANITARIA: INFEZIONE NOSOCOMIALE E DIRITTO AL RISARCIMENTO DEL DANNO ALLA SALUTE
INFEZIONE NOSOCOMIALE E DIRITTO DEL PAZIENTE AL RISARCIMENTO DEL
DANNO ALLA SALUTE
La RESPOSANBILITA’ SANITARIA trae origine da
quello che viene comunemente definito come “CONTRATTO ATIPICO DI SPEDALITA”,
che lega il paziente al professionista ovvero alla struttura sanitaria cui si è
rivolto in cerca di cure.
Questo tipo di responsabilità sussiste ogni
volta che viene dimostrato il NESSO CAUSALE tra la LESIONE DEL DIRITTO ALLA
SALUTE del paziente e la condotta colposa od omissiva dell'operatore sanitario,
in concomitanza o meno con le inefficienze e carenze di una struttura
sanitaria.
Il concetto di RESPONSABILITA’ SANITARIA si
riferisce, in particolare, alle azioni ovvero alle omissioni di un sistema più
o meno complesso di persone, in cui il soggetto contrattualmente debole e che
merita tutela è quello destinatario di
prestazioni mediche di ogni tipo (diagnostiche, preventive, ospedaliere,
terapeutiche, chirurgiche, estetiche, assistenziali, ecc.) svolte da medici e
personale con diversificate qualificazioni, quali infermieri, assistenti
sanitari, tecnici di radiologia medica, tecnici di riabilitazione e così via.
Una delle più frequenti fonti di responsabilità
in capo ad operatori e strutture sanitarie riguarda le cosiddette INFEZIONI
NOSOCOMIALI (I.C.A.), ossia quelle infezioni che il paziente contrae durante la
degenza in ospedale e che, secondo la prevalente letteratura scientifica, si
manifestano in un arco di tempo che va da un minimo di 48h. fino ad un massimo
di 30 gg. dal trattamento ricevuto.
Nell’ambito di una causa risarcitoria, il paziente che si rivolge
all’Autorità Giudiziaria per chiedere il risarcimento del danno alla salute
quale conseguenza di un’infezione nosocomiale, è tenuto a provare le seguenti
circostanze:
a)
il contratto di spedalità intercorso con la struttura cui si è
rivolto in cerca di cure;
b)
l’avere contratto un’INFEZIONE di tipo NOSOCOMIALE;
c)
il NESSO DI CAUSALITA’ tra l’ingiusto DANNO ALLA SALUTE e l’INESATTO
ADEMPIMENTO (da parte dell’operatore e/o della struttura) delle obbligazioni assunte
con la stipulazione del contratto di spedalità.
Sempre secondo la prevalente letteratura scientifica, uno dei
primari e più comuni agenti infettivi presenti negli ospedali è lo “STAPHYLOCOCCUS AUREUS” : non si tratta di un batterio per così
dire raro o particolare, quanto piuttosto da uno tra i più comuni, tanto da
essere presente nella maggior parte dei soggetti adulti.
Se il batterio, che statisticamente provoca la maggior parte delle
INFEZIONI NOSOCOMIALI è anche il più comune, significa che al di là dei
protocolli scritti su carta, la struttura sanitaria è tenuta ad adottare ogni
tipo di precauzione che la scienza mette a disposizione per prevenire ed
evitare quanto possibile il propagarsi delle infezioni.
Pertanto, nell’ambito di una CAUSA CIVILE DI DANNO conseguente ad
infezione nosocomiale, è primario dovere della struttura di FORNIRE LA PROVA LIBERATORIA del proprio buon operato, documentando di avere adottato qualsiasi
misura utile che la scienza mette a disposizione per prevenire l’infezione; se
questa prova liberatoria manca, secondo criteri probabilistici la struttura
deve essere chiamata a rispondere dell’INGIUSTO DANNO ALLA SALUTE provocato al
paziente.
Infatti, una volta accertato che l’origine dell’infezione è
nosocomiale a seguito di perizia di parte o di accertamento tecnico preventivo,
alla luce dei principi che regolano la ripartizione dell’onere probatorio, incombe
solo sulla struttura sanitaria la prova di avere adottato tutte le misure utili
a garantire la corretta sanificazione dell’ambiente, ossia provare che
l’infezione non rientrava più tra le complicanze prevedibili ed evitabili.
E non è sufficiente affermare, da parte della
struttura, di aver eseguito la profilassi e di aver provveduto a sterilizzare gli
ambienti e/o gli strumenti medici.
La prevenzione delle infezioni ospedaliere richiede,
infatti, un sistema integrato, che prevede una serie di interventi
multidisciplinari e multifattoriali che va ben oltre la sola somministrazione
della profilassi antibiotica e sterilizzazione delle sale operatorie, quali ad
esempio: a) riduzione della trasmissione dei microrganismi fra pazienti nei
reparti durante l’assistenza diretta avvalendosi di adeguato lavaggio delle
mani, uso di guanti, dispositivi di protezione individuale e pratica asettica
appropriata, strategie di isolamento, pratiche di sterilizzazione e
disinfezione, e lavanderia; b) controllo del rischio di infezione e igiene
ambientale; c) protezione dei pazienti con utilizzo appropriato della profilassi
antibiotica, nutrizione e vaccinazione; d) limitazione del rischio di infezioni
endogene riducendo le procedure invasive e promozione dell’uso degli
antibiotici; e) sorveglianza delle infezioni; f) identificazione e controllo
delle epidemie; g) prevenzione delle infezioni negli operatori sanitari; h) miglioramento
nelle pratiche di assistenza; i) educazione continua dei sanitari con mirati
interventi di aggiornamento professionale in questo campo.
Si può - pertanto - affermare che, ove manchi la PROVA LIBERATORIA
delle suesposte circostanze, la struttura sanitaria deve essere ritenuta RESPONSABILE
DEL DANNO ALLA SALUTE DEL PAZIENTE e condannata a risarcirne il danno subito.
A conforto di quanto sopra
esposto la prevalente giurisprudenza afferma che “(…) è ascrivibile
alla struttura sanitaria la responsabilità per infezione nosocomiale contratta
dal paziente nel corso di un intervento chirurgico, con conseguente
obbligazione risarcitoria di tutte le conseguenze negative occorse al paziente
per il peggioramento delle proprie condizioni di salute, per effetto della
contrazione della predetta infezione (…) ed ancora (…) una volta accertato che il paziente ha contratto una infezione di
tipo nosocomiale, in virtù dei principi che regolano la ripartizione dell’onere
della prova incombe sulla struttura ospedaliera l’onere di provare di avere
adottato tutte le misure utili e necessari ad evitare la contaminazione del
paziente (…)” (Trib. Milano Sez. I dd. 12/05/20415 n.5984; Trib. Roma, Sez.
XIII, dd. 26/11/2014; Tribunale di Roma, Sez. XIII, dd. 27/09/2018).
(a cura di
avv. Luca Conti)
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