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giovedì 28 novembre 2019

IL TUTORE, IL CURATORE E L'AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO






TUTORE, CURATORE E AMMINISTRATORE
DI SOSTEGNO

Il Titolo XII del Libro I del Codice Civile è dedicato alla protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia.
La capacità di agire, che si acquista col raggiungimento della maggiore età, si conserva di regola fino alla morte della persona; tuttavia può accadere che una persona sia impossibilitata in modo permanente o temporaneo a prendersi cura dei propri interessi, ad esempio a causa di una malattia che ne limita la capacità di agire.

Lo scopo del Titolo XI è, dunque, quello di proteggere la persona incapace in tutto o in parte di curare i propri interessi, attraverso l'istituzione di figure ad hoc quali il tutore, il curatore e l'amministratore di sostegno che assistono e talvolta si sostituiscono al soggetto tutelato nel compimento di atti di ordinaria e/o di straordinaria amministrazione. 

Se con l'istituzione dell'amministratore di sostegno il beneficiario della tutela non perde la capacità di agire ma viene solo affiancato da una persona che lo assiste nel compimento di determinati atti, con la figura del tutore e del curatore la capacità di agire del soggetto beneficiario viene di gran lunga compressa fino ad essere eliminata nel caso dell'interdizione: 

a) con l'istituzione del tutore il beneficiario perde completamente la capacità di agire e dunque la capacità di compiere autonomamente atti di ordinaria e di straordinaria amministrazione, in quanto ritenuto del tutto inidoneo a curare i propri interessi;

b) con l'istituzione del curatore il beneficiario non perde del tutto la capacità di agire, la conserva solo per il compimento di atti di ordinaria amministrazione, mentre per quelli di straordinaria amministrazione (ad esempio il compimento di atti che possono intaccarne l'assetto patrimoniale) sarà sostituito dal curatore.

Vediamo ora quali sono le norme che si occupano della procedura di interdizione / inabilitazione, e quali sono le persone che possono essere private del tutto o in parte della capacità di agire.


LA FUNZIONE DELL'INTERDIZIONE 
E DELL'INABILITAZIONE
(artt. 414 e 415 c.c.) 

L'art.414 c.c. dispone che possono essere interdetti il maggiore d'età ed il minore emancipato che a causa di un'abituale condizione di infermità mentale sono incapaci di provvedere ai propri interessi.
Per abituale infermità mentale s'intende non solo una patologia cronica mentale accompagnata da manifestazioni demenziali, ma anche uno stato di alterazione psicologica del soggetto inabile che ad un esame obiettivo non sia in grado di ricordare il proprio nome, di dare un valore al denaro e/o che non appaia orientato nello spazio e nel tempo.
Lo stato di abituale infermità mentale deve essere continua o prevalente, non necessariamente inguaribile: altrimenti detto può essere interdetta anche una persona che abbia sprazzi di lucidità accompagnata da uno stato di prevalente infermità mentale.
L'interdetto è, dunque, colui che con sentenza pronunciata dal tribunale viene dichiarato del tutto incapace di provvedere ai propri interessi e per l'effetto privato in toto della capacità di agire.

L'art. 415 c.c. dispone, invece, che possono essere inabilitati i soggetti di maggiore età, il cui stato di infermità mentale non è tanto grave da privarli del tutto della capacità di agire.
Ad esempio, possono essere inabilitate quelle persone che per via di una loro tenedenza alla prodigalità piuttosto che al gioco d'azzardo, piuttosto che all'abuso di alcol o di sostenze stupefacenti espongano se stessi ed i propri famigliari a gravi pregiudizi economici.
L'inabilitato, a differenza dell'interdetto, non perde del tutto la capacità di agire: la perde esclusivamente per il compimento di atti di straordinaria amministrazione. Al pari dell'interdizione, l'inabilitazione deve essere cagionata da una malattia mentale o fisica che presenti i caratteri dell'abitualità e della permanenza ma non la stessa gravità.
La norma individua piuttosto bene i soggetti che possono essere destinatari di una sentenza di inabilitazione: coloro che abitualmente spendono con leggerezza il proprio denaro senza comprenderne il valore, coloro che abusano di alcol e droghe, il cieco, il muto ed il sordo che non abbiano ricevuto un'adeguata educazione alla cura dei propri interessi. 

Ma quali sono i soggetti legittimati a proprorre ricorso al tribunale per l'interdizione o l'inabilitazione di un soggetto che presenti i requisiti di cui agli artt. 414 e 415 c.c.?


LA PROCEDURA DI INTERDIZIONE / INABILITAZIONE
Libro IV Titolo II Capo II c.p.c.
(art.712 e ss. c.p.c.)

A questa domanda risponde l'art. 417 c.c.: possono promuovere ricorso per l'interdizione o l'inabilitazione sia lo stesso beneficiario della protezione, sia il coniuge, il convivente more uxorio (ossia stabilmente convivente con l'interdicendo o l'inabilitando), i parenti entro il quarto grado, gli affini entro il secondo grado, il tutore o il curatore stessi ed il P.M. 

La domanda introduttiva si promuove con ricorso indirizzato al tribunale del luogo dove la persona beneficiaria della protezione ha la propria residenza ovvero il proprio domicilio prevalente (art.712 c.p.c.).
Nel ricorso devono essere esposti gli elementi di fatto e di diritto che giustificano la richiesta di interdizione o di inabilitazione (art. 712 comma II c.p.c.) nonché l'indicazione del coniuge, di tutti i parenti entro il quarto grado, degli affini entro il secondo, del tutore e/o del curatore (se già esistenti).

Il presidente del tribunale ordina la comunicazione del ricorso al P.M. la cui partecipazione è obbligatoria (artt. 70 e 713 c.p.c.). Il ricorso ed il decreto di fissazione d'udienza devono essere comunicati al P.M.,  nonché notificato alla persona dell'interdicendo o dell'inabilitando ed a tutte le altre persone (parenti entro il quarto grado ed affini entro il secondo indicate nel ricorso) che possano fornire utili informazioni al pronunciamento della sentenza.

La fase istruttoria (a forma piuttosto libera e priva di particolari rigidità) è disciplinata dagli artt.714 e 715 c.p.c.: il giudice istruttore nominato dal Presidente del Tribunale con la partecipazione del P.M. sente in udienza la persona del ricorrente e di tutte le altre indicate nel ricorso potendo queste offrire utili elementi per la pronuncia richiesta; il giudice istruttore procede anche all'esame dell'interdicendo o dell'inabilitando, e se questi è impossibilitato a muoversi, giudice e P.M. si recano presso la sua dimora per sentirlo nel luogo dove si trova.

Nel corso della fase istruttoria può essere acquisito materiale probatorio (documentazione medica, cartelle cliniche, etc.) afferente alla patologia di cui soffre l'interdicendo o l'inabilitando e può anche essere disposta una C.T.U. medico legale per accertarne la patologia.
Ai sensi dell'art. 718 c.p.c. il procedimento (che rientra a pieno titolo tra quelli di volontaria giurisdizione) si conclude con una sentenza che accerta e dichiara lo stato di interdizione o di inabilitazione, e nomina il tutore ovvero il curatore. 
La sentenza di interdizione / inabilitazione che ha efficacia erga omnes dal momento della sua pubbliazione deve essere pubblicizzata ai sensi dell'art. 423 c.c.; sebbene sia suscettibile di passare in giudicato, lo diviene solo formalmente ma mai nella sostanza, dal momento che è pronunciata rebus sic stantibus, e pertanto risulta modificabile o revocabile in qualsiasi momento.

La sentenza che pronuncia sulla richiesta di interdizione, accerta e dichiara lo stato di abituale infermità mentale del soggetto tutelato, che viene dichiarato del tutto incapace di provvedere ai propri interessi, ragione per la quale viene nominato un tutore ossia un soggetto che ne cura e ne amministra il patrimonio, ne ha la rappresentanza legale e compie per lui atti di ordinaria e straordinaria amministrazione.

La sentenza che pronuncia sulla richiesta di inabilitazione, accerta e dichiara lo stato di abituale (ma non totale) infermità mentale del soggetto inabilitato, che viene dichiarato parzialmente incapace di provvedere ai propri interessi, ragione per la quale viene nominato un curatore ossia un soggetto che integra la volontà dell'inabilitato, il quale in quanto non privato del tutto della capacità di agire viene affiancato solo nel compimento di atti di straordinaria amministrazione.


L'AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO
(artt. 404 e ss. c.c.)

Dalla figura del tutore e del curatore si distingue quella dell’amministratore di sostegno disciplinata dagli artt. 404 e ss. c.c. ed introdotta nel nostro ordinamento dalla legge 09 gennaio 2004 n.6 .
Lo scopo dell'istituto del amministratore di sostegno è quello di proteggere ed assistere quelle persone che si trovino nella temporanea impossibilità di curare i propri interessi, ma che non versino in condizioni così gravi da essere interdetti o inabilitati.
Il soggetto beneficiario di questa protezione non perde la capacità di agire per quanto riguarda la quotidianità, ma viene affiancato da un amministratore che lo aiuta a curare i propri interessi economici.
Ad identificare correttamente la figura del amministratore di sostegno è intervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza n.13584/2006: amministratore di sostegno è colui che affianca nel compimento di certi atti patrimoniali il soggetto beneficiario di protezione che temporaneamente e/o parzialmente non sia in grado di provvedere alla cura dei propri interessi; trattandosi di un mero affiancamento la perdita della capacità di agire è minima.


LA PROCEDURA PER LA NOMINA DEL
AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO
(artt. 405, 406 e 407 c.c.)

 L'art.404 c.c. dispone che la persona, la quale per una menomazione fisica o mentale sia parzialmente e temporaneamente impossibilitata a prendersi cura dei propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno nominato dal giudice tutelare del luogo dove ha residenza o domicilio.

La norma chiarisce subito la distinzione dai diversi istituti dell'interdizione e dell'inabilitazione: nel caso previsto dall'art. 404 c.c. il soggetto beneficiario di assistenza deve essere oggetto di una malattia nel corpo o nella mente ma non di tale gravità da pregiudicarne la capacità di agire in modo totale; trattasi infatti di una menomazione che gli impedisca di curare i propri interessi in modo temporaneo e parziale.
La competenza a conoscere il ricorso è il tribunale in persona del giudice tutelare del luogo dove il beneficiario risiede o ha il proprio domicilio.

Chi può promuovere la domanda per la nomina di un amministratore di sostegno? A questa domanda risponde l'art. 406 c.c.

L'art. 406 c.c. dispone che possono promuovere ricorso per la nomina di un amministratore di sostegno lo stesso beneficiario, ovvero il coniuge, il convivente more uxorio, i parenti entro il quarto grado, gli affini entro il secondo, il tutore, il curatore (se già nominati in precedenza) ed il P.M.

Se il ricorso si riferisce ad una persona che in precedenza era già stata interdetta o inabilitata, la domanda di nomina di un amministratore di sostegno deve essere accompagnata dalla richiesta di revoca della precedente interdizione / inabilitazione (art.405 comma III c.c.).
Il giudice investito del ricorso è - come detto - il giudice tutelare che deve provvedere sulla nomina entro 60 gg. dalla richiesta con decreto motivato: questa è un'altra peculiarità dell'istituto dell'amministrazione di sostegno, laddove il procedimento si esaurisce con un decreto anziché con una sentenza (art. 405 comma I c.c.).   
Nel ricorso devono essere indicati (art. 407 c.c.) le generalità della persona destinataria del provvedimento di sostegno, le motivazioni poste a fondamento della domanda, le generalità del coniuge (se esiste), dei discendenti, degli ascendenti, fratelli e sorelle del beneficiario, nonché di altri eventualmente conviventi.
Nel corso del procedimento il Giudice Tutelare sente personalmente il beneficiario e le altre persone indicate dall'art. 406 c.c.; assume ogni informazione utile ed idonea a decidere sul ricorso; nel corso del procedimento è obbligatorio l'intervento del P.M.

Esaurita la fase istruttoria, il giudice provvede sul ricorso con decreto, che lo stesso giudice potrà modificare o revocare ove ne vengano meno i presupposti che lo hanno giustificato (art. 413 c.c.). Il decreto di nomina dovrà indicare le generalità del beneficiario e le generalità dell'amministratore di sostegno, la durata dell'incarico (se a tempo determinato ovvero a tempo indeterminato), l'oggetto dell'incarico, gli atti che il soggetto amministrato dovrà compiere solo con l'assistenza dell'amministratore, ovvero gli atti che l'amministratore potrà compiere in nome e per conto del soggetto amministrato anche in sua assenza.

Resta, infine, da dire che il decreto non passa mai in giudicato ed è modificabile o revocabile in ogni momento; le stesse persone che hanno il potere di promuovere il ricorso introduttivo possono poi chiederne la modifica o la revoca, ovvero chiedere che la figura dell'amministratore sia sostituito da un curatore ovvero da un tutore.

(a cura di Avv. Luca Conti) 


lunedì 18 novembre 2019

DECADENZA DALL'ASSEGNAZIONE DELLA DIMORA FAMIGLIARE








CHI ABBRACCIA UNA NUOVA RELAZIONE
MORE UXORIO PERDE IL DIRITTO AL GODIMENTO
DELLA DIMORA FAMIGLIARE

In tema di ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMIGLIARE nell’ambito dei procedimenti per separazione o per divorzio, ovvero ancora nei procedimenti di MODIFICA DELLE CONDIZIONI assunte in sede di SEPARAZIONE O DIVORZIO, l’art. 337 sexies c.c. afferma che il godimento della casa famigliare è attribuito tenendo conto dell’interesse prioritario dei figli; dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi considerato l’eventuale titolo di proprietà; il godimento della casa famigliare viene meno nel caso in cui l’assegnatario:
a)     cessi di abitare stabilmente nella stessa dimora;
b)    abbracci stabilmente una nuova convivenza more uxorio;
c)     contragga nuove nozze.
Dalla lettura della norma in esame sembrerebbe a prima vista che una nuova convivenza more uxorio comporti automaticamente la revoca del provvedimento di assegnazione della casa; al contrario, non è sempre così.
Infatti, per espressa volontà del legislatore l'assegnazione della casa famigliare è sempre e comunque subordinata ad una valutazione del primario interesse dei figli (minorenni o maggiorenni ma non ancora economicamente autosufficienti) a permanere nella casa dove sono nati e cresciuti; per logica conseguenza, se da un lato il non abitare più nella stessa dimora ovvero l’aver contratto nuove nozze comporta indefettibilmente la revoca del provvedimento di assegnazione in precedenza adottato, limitatamente al caso della CONVIVENZA MORE UXORIO la pronuncia di decadenza non è automatica, mentre spetterà al giudice di riesaminare il caso nel suo complesso, avendo sempre e comunque come primo e principale parametro l’interesse dei figli a restare nella stessa casa insieme al genitore presso il quale sono prevalentemente allocati.
Su questo punto si veda, in particolare, la sentenza della Corte Costituzionale n.308 del 30/07/2008, la quale richiesta di un parare di legittimità costituzionale dell’art. 155 quater c.c. (oggi sostituito dall’art. 337 sexies c.c.) in relazione agli artt. 2, 3, 29 e 30 cost. ha ritenuto che il senso della norma succitata vada interpretato nel senso che il diritto di godimento della casa famigliare non viene meno di diritto al verificarsi della convivenza more uxorio, ma che ciò sia subordinato ad un giudizio di conformità all’interesse del minore.

ALTRI RIFERIMENTI GIURISPRUDENZIALI

Tribunale Palermo, Sez. I, Ordinanza dd. 29/12/2016
In tema di assegnazione della casa familiare, la mera circostanza dell'instaurazione di una convivenza more uxorio non può reputarsi elemento sufficiente a giustificare alcun automatismo a scapito del diritto di godimento della casa familiare, essendo la revoca dell'assegnazione subordinata ad un giudizio di conformità all'interesse del minore.

Tribunale Modena, Decreto dd. 18/04/2007
La prova (nella specie incompleta) della convivenza "more uxorio" della madre assegnataria della casa familiare non determina l'automatica cessazione del relativo diritto. In linea con un'interpretazione complessiva e costituzionalmente orientata della norma si impone una nuova valutazione in ordine all'effettiva sussistenza dell'interesse del figlio a mantenere il radicamento della propria dimora in tale ambiente.

Tribunale Salerno, Sez. I, decreto dd. 26/03/2015
Deve ritenersi che il disposto di cui all'art. 337 sexies del Codice Civile, proprio in considerazione del rinvio operato dall'art. 337 bis del ridetto codice, possa applicarsi anche in caso di cessazione degli effetti civili del matrimonio, dal momento che condizione essenziale ed indefettibile perché vi sia il provvedimento di assegnazione è l'interesse dei figli, siano minorenni o maggiorenni non autosufficienti, essendo finalità della norma non è più l'affidamento dei figli minori bensì la tutela della prole in genere e la conservazione dell'ambiente domestico e degli affetti.

Cass. civ., Sez. VI, Ordinanza dd. 13/12/2018, n. 32231
In tema di separazione dei coniugi il godimento della casa familiare è attribuito tenendo conto dell'interesse dei figli e questo risponde all'esigenza, che ne costituisce al contempo l'unica ragione, di consentire ai figli di genitori separati di conservare l'habitat domestico, da intendersi come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare.

Cass. civ. Sez. VI - 1 Ord., 07/02/2018, n. 3015
In tema di separazione e divorzio, il provvedimento di assegnazione della casa coniugale è subordinato alla presenza di figli, minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti, conviventi con i genitori: tale "ratio" protettiva, che tutela l'interesse dei figli a permanere nell'ambiente domestico in cui sono cresciuti, non è configurabile in presenza di figli economicamente autosufficienti, sebbene ancora conviventi, verso cui non sussiste alcuna esigenza di speciale protezione.


Cass. civ., Sez. VI, Ordinanza dd. 07/02/2018, n. 3015
Il provvedimento di assegnazione della casa coniugale in sede di divorzio, come desumibile dall'art. 6, comma 6, della legge n. 898 del 1970 - analogamente a quanto previsto, in materia di separazione, dagli artt. 155 e, poi, 155 quater c.c., introdotto dalla legge n. 54 del 2006, ed ora 337 sexies c.c., introdotto dall'art. 55 del d.lgs. n. 154 del 2013 -, è subordinato alla presenza di figli, minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti, conviventi con i genitori: tale "ratio" protettiva, che tutela l'interesse dei figli a permanere nell'ambito domestico in cui sono cresciuti, non è configurabile in presenza di figli economicamente autosufficienti, sebbene ancora conviventi, verso cui non sussiste alcuna esigenza di speciale protezione. (Rigetta, CORTE D'APPELLO ROMA, 05/06/2015)

(a cura di Avv. Luca Conti)

martedì 12 novembre 2019

LA TUTELA DEL CREDITO ATTRAVERSO L'AZIONE REVOCATORIA SEMPLIFICATA





L’AZIONE REVOCATORIA SEMPLIFICATA
(art. 2929 bis c.c.)

In un momento storico complesso, caratterizzato da una crisi congiunturale diffusa, la tutela del credito è una delle attività più ricorrenti dello Studio Legale, che passa - anzitutto - attraverso uno screening del soggetto debitore ed una valutazione sulla fattibilità del recupero del credito insoluto.
Attraverso lo strumento dell’ingiunzione di pagamento telematica, si ottiene in tempi rapidi dall’Autorità Giudiziaria un provvedimento che permette al creditore di espropriare i beni utilmente pignorabili del debitore, per trasformare in denaro contante il diritto di credito scritto su carta.
Può tuttavia capitare che il debitore, pur di non incappare in un’espropriazione, sottragga i propri beni al creditore, simulandone l’alienazione titolo gratuito ovvero assoggettandoli ad un vincolo di indisponibilità (trust).
Il rimedio contro questo genere di atti fraudolenti è rappresentato dall’azione revocatoria semplificata.
L’azione revocatoria semplificata, regolata dall’art. 2929 bis c.c., è stata introdotta dal legislatore nel codice civile per garantire una più efficace e rapida tutela del credito contro atti di alienazione a titolo gratuito e/o vincoli di indisponibilità tesi a diminuire le garanzie patrimoniali in capo al debitore.

L’art. 2929 bis c.c. e la Sezione cui esso appartiene sono stati inseriti nel codice civile dall'art.12 del D.L. 83/2015 in vigore dal 27.06.2015 e trova applicazione esclusivamente alle procedure esecutive iniziate successivamente alla data di entrata in vigore del citato decreto con decorrenza dal 21.08.2015.
L’ultima modifica alla norma, ed in particolare ai commi II, III e IV, è stata apportata dall'art. 4 comma I bis del D.L. n.59/2016.

L’azione revocatoria regolata dall’art. 2929 bis c.c. si va ad affiancare, ma non a sostituire, all’azione revocatoria ordinaria regolata invece dall’art. 2901 c.c., che al contrario di quella semplificata prevede tempi molto più lunghi essendo soggetta al rito civile ordinario: si contano mediamente fino a 1372 gg. per ottenere solo una pronuncia di primo grado.

Nella prassi accade che il creditore, il quale rischia di essere pregiudicato da un atto fraudolento del debitore può procedere ad esecuzione forzata sia contro il debitore (espropriazione diretta presso il debitore) sia contro terzi (espropriazione indiretta presso terzi) munito solo del titolo esecutivo, ancorché non abbia preventivamente ottenuto una sentenza dichiarativa di inefficacia dell’atto pregiudizievole, ed a condizione che trascriva l’atto di pignoramento nel termine di un anno dalla data in cui l’atto pregiudizievole è stato a propria volta trascritto.

Se il bene oggetto di pignoramento è stato trasferito ad un terzo per effetto dell’atto pregiudizievole, il creditore promuoverà l’azione esecutiva nelle forme dell’espropriazione contro il terzo proprietario.

Al contrario dell’azione revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c.) che s’introduce con atto di citazione a giudizio e sottostà al rito ordinario, l’azione revocatoria semplificata s’introduce direttamente con l’atto di pignoramento a cura del creditore procedente munito del solo titolo esecutivo che ne consacra il credito. 

Un’altra differenza con l’azione revocatoria ordinaria sta nel fatto che quella semplificata si prescrive in un anno da quando l’atto pregiudizievole è stato trascritto nei pubblici registri, mentre quella prevista dall’art. 2901 c.c. si prescrive in cinque anni.

Ed ancora: mentre l’azione revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c.) non consente al creditore di aggredire subito il bene alienato, occorrendo prima ottenere una sentenza passata in giudicato, la revocatoria semplificata consente di aggredire subito con pignoramento il bene alienato o sottoposto a vincolo.

Oggetto dell’atto pregiudizievole, e per conseguenza dell’azione revocatoria semplificata, sono i beni immobili e quelli mobili iscritti nei pubblici registri appartenuti al patrimonio debitore.

La donazione - di regola - costituisce il tipico atto a titolo gratuito che può essere aggredito con l’azione revocatoria semplificata, ma non solo: può trattarsi - ad esempio - della cessione di un bene immobile da un coniuge all’altro nell’ambito di un giudizio di separazione o di divorzio; oppure ancora l’atto costitutivo di un fondo patrimoniale o di un trust (sia “auto-dichiarato” dove c’è coincidenza tra istitutore del trust e trustee, sia “puro” dove non c’è coincidenza tra istitutore del trust e trustee); o ancora dell’atto costitutivo di una ipoteca volontaria su un bene immobile.

Le condizioni per l’esperimento dell’azione regolata dall’art. 2929 bis c.c. sono:

Che il credito sia consacrato da un titolo esecutivo;

Che l’atto del debitore crei un vincolo di indisponibilità o di alienazione a titolo gratuito su un proprio bene immobile o mobile iscritto nei pubblici registri;

Che l’atto effettivamente rechi un pregiudizio alle ragioni del creditore, il quale per effetto di quell’atto rischia di perdere le garanzie che aveva di recuperare il proprio credito (pericolo reale ed attuale);

Che l’atto di pignoramento, col quale si dà corso all’azione esecutiva, sia trascritto nei pubblici registri entro dodici mesi da quando è stato trascritto l’atto pregiudizievole che s’intende impugnare.

Il debitore ed il terzo (che ha ricevuto il bene a titolo gratuito) assoggettati all’espropriazione forzata possono contestare il fondamento ed i presupposti dell’azione revocatoria semplificata coltivata dal creditore attraverso le opposizioni regolate dal Titolo V Libro III del codice di procedura civile (opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. / opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c.): per effetto dell’opposizione incomberà sul soggetto creditore, sebbene convenuto a giudizio, di fornire in giudizio la prova della fondatezza della revocatoria intrapresa.

IL RIFERIMENTO NORMATIVO

Art. 2929 bis c.c. (espropriazione di beni oggetto di vincoli di indisponibilità o di alienazioni a titolo gratuito):
Il creditore che sia pregiudicato da un atto del debitore, di costituzione di vincolo di indisponibilità o di alienazione, che ha per oggetto beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri, compiuto a titolo gratuito successivamente al sorgere del credito, può procedere, munito di titolo esecutivo, ad esecuzione forzata, ancorché non abbia preventivamente ottenuto sentenza dichiarativa di inefficacia, se trascrive il pignoramento nel termine di un anno dalla data in cui l’atto è stato trascritto. La disposizione di cui al presente comma si applica anche al creditore anteriore che, entro un anno dalla trascrizione dell’atto pregiudizievole, interviene nell’esecuzione da altri promossa.
Quando il bene, per effetto o in conseguenza dell’atto, è stato trasferito a un terzo, il creditore promuove l’azione esecutiva nelle forme dell’espropriazione contro il terzo proprietario ed è preferito ai creditori personali di costui nella distribuzione del ricavato. Se con l’atto è stato riservato o costituito alcuno dei diritti di cui al primo comma dell’articolo 2812, il creditore pignora la cosa come libera nei confronti del proprietario. Tali diritti si estinguono con la vendita del bene e i terzi titolari sono ammessi a far valere le loro ragioni sul ricavato, con preferenza rispetto ai creditori cui i diritti sono opponibili.
Il debitore, il terzo assoggettato a espropriazione e ogni altro interessato alla conservazione del vincolo possono proporre le opposizioni all’esecuzione di cui al titolo V del libro terzo del codice di procedura civile quando contestano la sussistenza dei presupposti di cui al primo comma o che l’atto abbia arrecato pregiudizio alle ragioni del creditore o che il debitore abbia avuto conoscenza del pregiudizio arrecato.
L’azione esecutiva di cui al presente articolo non può esercitarsi in pregiudizio dei diritti acquistati a titolo oneroso dall’avente causa del contraente immediato, salvi gli effetti della trascrizione del pignoramento.


(a cura di Avv. Luca Conti).