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venerdì 24 novembre 2023

CONSULENZA E ASSISTENZA STRAGIUDIZIALE: IL COMPENSO DELL'AVVOCATO

 





IL COMPENSO DELL'AVVOCATO PER LA CONSULENZA E L'ASSISTENZA STRAGIUDIZIALE

 

Particolarmente dibattuta e spesso fonte di controversie tra avvocati e clienti è la questione relativa al diritto al compenso maturato per l’attività stragiudiziale, ossia quella che viene svolta nell’interesse della parte assistita al di fuori di un contenzioso giudiziario, civile o penale.

Vediamo di fare un po’ di chiarezza.

Anzitutto, trattandosi di una prestazione d’opera intellettuale, il diritto al compenso dovuto all’avvocato è regolato in primis dall’art. 2233 c.c., a tenore del quale “il compenso, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice, sentito il parere dell’associazione professionale a cui il professionista appartiene. In ogni caso, la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione”.

Ne segue che il primo criterio per determinare il compenso è l’accordo (se precedentemente stipulato) tra avvocato e parte assistita, in assenza del quale il giudice investito della relativa controversia dovrà fare riferimento ai cosiddetti “parametri forensi” regolati dal D.M. n.55/14 (oggi aggiornato al D.M. n.147 del 13/08/2022), agli usi ed infine al parere dell’associazione professionale cui l’avvocato appartiene.

Quanto alla prova del conferimento dell’incarico, erroneamente taluni ritengono che l’omessa sottoscrizione del “contratto di mandato” escluda il diritto al compenso.

Al contrario, la parte assistita è tenuta a pagare comunque all’avvocato il compenso maturato per l’attività di assistenza e consulenza stragiudiziale, anche quando questa non sia strettamente connessa a quella successiva giudiziale, non essendo necessaria per la sua liquidazione la sottoscrizione di un contratto ad hoc.

Ed infatti, mentre per la liquidazione del compenso maturato nella fase giudiziale occorre il conferimento da parte del cliente della cosiddetta “procura alle liti”, per l’espletamento dell’attività stragiudiziale il conferimento dell’incarico può essere dato in qualsiasi forma idonea a manifestare la volontà della parte assistita di ricorrere all’attività del professionista: addirittura per l’avvocato è ammessa la prova del conferimento dell’incarico per mezzo di testimoni o ricorrendo a presunzioni semplici.

Anche una semplice mail spedita dalla parte assistita all’avvocato può costituire la prova documentale del conferimento dell’incarico.

In quest’ambito la giurisprudenza dei tribunali territoriali e della Corte di Cassazione ha chiarito che (…) il mandato professionale per l’espletamento di attività professionale stragiudiziale non deve essere provato necessariamente con la forma scritta ad substantiam ovvero ad probationem, potendo essere conferito in qualsiasi forma idonea a manifestare il consenso delle parti e potendo il giudice ammettere l’interessato a provare anche per testimoni sia il contratto, sia il suo contenuto (…) (Cass. Civ., Sez. I, sent. n.4705 dd. 25/02/2011; Cass. Civ., Sez. VI, ord. n.3968/17 dd. 14/02/2017; Cass. Civ., Sez. I, ord. n.29614 dd. 16/11/2018; Cass. Civ., Sez. VI, ord. n.3506 dd. 12/02/2020; Corte d’Appello Roma, Sez. III, sent. n.1070 dd. 15/03/2011; Trib. di Trento, Sez. di Cavalese, sent. n.7 dd. 05/02/2013).

Ed ancora: “(…) il rapporto di prestazione d’opera professionale, la cui esecuzione sia dedotta dal professionista come titolo del diritto al compenso, postula l’avvenuto conferimento del relativo incarico in qualsiasi forma idonea a manifestare inequivocabilmente la volontà di avvalersi della sua attività e della sua opera da parte del cliente convenuto per il pagamento di detto compenso. In caso di contestazione del diritto al compenso, la prova dell’avvenuto conferimento dell’incarico può essere data dall’attore con ogni mezzo istruttorio, anche per presunzioni, mentre compete al giudice di merito valutare se, nel caso concreto, questa prova possa o meno ritenersi fornita (…)” (Corte d’Appello di Milano, Sez. II, sent. dd. 19/10/2017).

Ad abundantiam: “(…) in tema di attività professionale svolta da avvocati il mandato sostanziale costituisce un negozio bilaterale (cosiddetto contratto di patrocinio) con il quale il professionista viene incaricato, secondo lo schema negoziale che è proprio del mandato, di svolgere la sua opera professionale in favore della parte. Ne consegue che, ai fini della conclusione del contratto di patrocinio, non è indispensabile il rilascio di una procura ad litem, essendo questa necessaria solo per lo svolgimento dell’attività processuale, e che non è richiesta la forma scritta, vigendo per il mandato il principio di libertà di forma (…) (Cass. Civ., Sez. II, dd. 16/06/2006, n.13963; Cass. Civ., Sez. II, dd. 18/07/2002, n.10454).

Altrettanto erroneamente taluni ritengono che l’omessa consegna alla parte assistita del preventivo scritto costituisca un giustificato motivo per escludere il diritto al compenso.

Anche qui bisogna fare chiarezza partendo dal dato normativo.

L’art. 27 comma 2 del Codice Deontologico Forense dispone che “l’avvocato deve informare il cliente e la parte assistita sulla prevedibile durata del processo e sugli oneri ipotizzabili; deve inoltre, se richiesto, comunicare in forma scritta, a colui che conferisce l’incarico professionale, il prevedibile costo della prestazione”.

Che cosa accade, allora, se il professionista non rilascia il preventivo al cliente che gliene ha fatto richiesta?

Attualmente non esiste una norma chiara, di tipo sanzionatorio, che preveda specifiche conseguenze se non viene rilasciato il preventivo precedentemente richiesto; attualmente esistono due orientamenti in giurisprudenza che si possono riassumere così:

a) un primo orientamento ritiene che l’assenza del preventivo determini la nullità del contratto tra parte assistita e professionista, col conseguente venir meno del diritto al compenso;

b) un secondo orientamento ritiene, invece, che l’assenza del preventivo non incide sulla validità del contratto e sul diritto al compenso.

A parere di chi scrive, in assenza di una specifica norma sanzionatoria e visto il tenore letterale dell’art. 27 comma 2 del C.d.F. sopra citato, anche in assenza del preventivo il contratto tra professionista e parte assistita resta valido, ragion per cui nel caso di una controversia la determinazione del compenso dovrà avvenire da parte dell’Autorità Giudiziaria applicando i parametri medi di cui al D.M. 55/14 e ss. mm.

Infine, quale strada deve percorrere l’avvocato per ottenere dall’Autorità Giudiziaria la liquidazione del compenso maturato per l’attività stragiudiziale e la condanna al pagamento a carico della parte assistita?

Per l’attività di assistenza e consulenza stragiudiziale le strade alternative sono due:

1)     ricorso per ingiunzione di pagamento in presenza di un riconoscimento di debito della parte assistita ovvero previo parere di congruità della parcella, espresso dal consiglio dell’ordine di appartenenza dell’avvocato;

2)     ricorso secondo il nuovo rito semplificato (artt. 281 undecies e ss. c.p.c., Riforma Cartabia) indirizzato al Giudice di Pace ovvero al Tribunale nel cui circondario risiede la parte assistita (foro del consumatore), a seconda del valore di lite controverso.

Invece, Per l’attività giudiziale l’avvocato ha sempre due possibili strade alternative tra loro:

1)     ricorso per ingiunzione di pagamento in presenza di un riconoscimento di debito della parte assistita ovvero previo parere di congruità della parcella espresso dal consiglio dell’ordine di appartenenza dell’avvocato;

2)      ricorso “speciale” disciplinato dagli artt. 3, 4 e 14 del D. Lgs. n.150/2011 da indirizzare all’ufficio giudiziario che per ultimo (in caso di più gradi di giudizio) ha conosciuto la causa dalla quale la lite sul compenso trae origine.

A tale ultimo riguardo, la Corte di Cassazione (sent. n. 4485 del 2018 e n. 4247 del 2020) ha affermato che in seguito all'introduzione dell'art. 14 del D.lgs. n.150/2011, le controversie previste dall’art. 28 della Legge n.794/1942 e l'opposizione proposta a norma dell'art. 645 c.p.c. contro il decreto ingiuntivo inerente onorari, diritti o spese degli avvocati, sono regolate dal rito sommario di cognizione di cui al citato decreto.

La competenza appartiene all’ufficio giudiziario presso il quale l’avvocato ha svolto la propria opera, salvo che prevalga il foro del consumatore.

Addirittura, la Corte di Cassazione con la sent. n.8929 del 29/03/2023 ha affermato che il Giudice di Pace, adito per il processo in cui l'avvocato ha prestato la propria opera, è competente a decidere le controversie in materia di liquidazione degli onorari previste dall’art. 28 della L. n. 794 del 1942, secondo il rito di cui all’art. 14 del D.Lgs. n. 150 del 2011, in quanto la riserva di collegialità non costituisce un tratto essenziale di questo procedimento, come del resto conferma la scelta in favore del tribunale in composizione monocratica, operata con il D.Lgs. n. 149/2022, che ha modificato la formulazione dell’art. 14, secondo comma del D. lgs. n. 150/2011.

 

(a cura di Avv. Luca Maria Conti)


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