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lunedì 14 ottobre 2019

RESPONSABILITA' SANITARIA: LA RIFORMA GELLI






L'EVOLUZIONE DELLA RESPONSABILITA' SANITARIA
ALLA LUCE DELLA RIFORMA GELLI

(Legge n.24 del 08/03/2017)

La responsabilità sanitaria derivante da “medical malpractice” trae origine dal contratto atipico di spedalità o da "contatto sociale" e sussiste ogni volta che viene dimostrato il NESSO DI CAUSALITA' tra la LESIONE DEL DIRITTO ALLA SALUTE del paziente e la CONDOTTA (commissiva od omissiva) DOLOSA O COLPOSA dell'operatore sanitario, in concomitanza o meno con le inefficienze e carenze di una struttura sanitaria.

Il concetto di responsabilità sanitaria si riferisce alle azioni ovvero alle omissioni di un sistema più o meno complesso di persone, in cui il SOGGETTO CONTRATTUALMENTE DEBOLE è il paziente, ossia colui che è destinatario di prestazioni mediche di ogni tipo (diagnostiche, preventive, ospedaliere, terapeutiche, chirurgiche, estetiche, assistenziali, ecc.) svolte da SOGGETTI CONTRATTUALMENTE FORTI, ossia da medici e personale sanitario con diversificate qualificazioni, quali infermieri, assistenti sanitari, tecnici di radiologia medica, tecnici di riabilitazione e così via.
Quando gli effetti di una cura non sono quelli sperati ovvero quando gli operatori hanno dolosamente o colposamente (per negligenza, imprudenza o imperizia) violato i protocolli sanitari per la cura di una determinata patologia, sorge nel paziente il diritto ad essere risarcito dei danni sofferti, che possono essere di varia natura: dal danno biologico (temporaneo o permanente), al danno estetico, al danno morale per le sofferenze causate dall’aggravamento di una patologia, ed infine a tutti i danni patrimoniali che ne sono diretta conseguenza (ulteriori spese mediche, perdita della capacità lavorativa, ecc.).

In data 01/04/2017 è entrata in vigore la legge n.24/2017 del 08/03/2017 meglio nota come "Legge Gelli", che contiene nuove disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale per gli esercenti le professioni sanitarie.

Scopo della legge è quello riorganizzare, attraverso una nuova e più uniforme disciplina (valida sia per le strutture pubbliche sia per quelle private), la sicurezza delle cure mediche quale corollario del diritto alla salute (art.1), determinando nuovi criteri per la prevenzione del rischio, introducendo nuovi principi di trasparenza e la cartella clinica digitale (art.4), ed infine riformando le norme penali col proposito di limitare il più possibile la responsabilità penale degli esercenti le professioni sanitarie ai soli casi di dolo e colpa grave (art.5).


TRASPARENZA DEI DATI E CARTELLA CLINICA

Il primo aspetto di particolare interesse della riforma attiene alla "trasparenza dei dati" del paziente, disciplinata dall'art. 4 della Legge n.24/2017.

Ai sensi dell'art.4 "(...) le prestazioni sanitarie erogate dalle strutture pubbliche e da quelle private sono soggette all'obbligo di trasparenza (...) entro sette giorni dalla richiesta il paziente ha diritto di ricevere tutta la documentazione sanitaria, preferibilmente in formato elettronico, mentre le eventuali integrazioni devono essere fornite al paziente entro trenta giorni dalla presentazione della richiesta (...)".


DEPENALIZZAZIONE IN CASO DI IMPERIZIA
IL SUPERAMENTO DEL DISTINGUO TRA COLPA GRAVE E COLPA LIEVE

Il secondo aspetto di rilievo attiene, invece, alla DERESPONSABILIZZAZIONE PENALE degli esercenti la professione medica, introducendo nel codice penale l'art. 590 sexies c.p.(...) se i fatti di cui agli artt. 589 e 590 c.p. (omicidio colposo e lesioni personali colpose) sono commessi nell'esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste, salvo quanto disposto dal II comma. Qualora l'evento dannoso si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa se sono state rispettate le linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge, ovvero in mancanza di queste se sono state rispettate le buone pratiche clinico assistenziali (...).

L'introduzione nel Codice Penale dell'art. 590 sexies c.p. equivale a limitare ai soli casi di dolo o colpa grave la responsabilità penale del medico, il quale se si è attenuto alle linee guida della comunità scientifica ovvero se ha agito in conformità alla buona prassi clinico / assistenziale, risponderà per i danni cagionati al paziente solo in sede civile ed ai sensi dell'art. 2043 c.c. (responsabilità extracontrattuale).


IL RISARCIMENTO DEL DANNO IN SEDE CIVILE

Si viene - così - al terzo aspetto di rilievo della riforma: l'inquadramento sotto il profilo civilistico della responsabilità di strutture sanitarie (pubbliche e private) e degli esercenti le professioni sanitarie (medici, chirurghi, etc.) per i danni cagionati al paziente, disciplinata dall'art. 7 della legge n.24/2017.

Ai sensi dell'art. 7 (...) la struttura sanitaria pubblica o privata che nell'adempimento della propria obbligazione si avvale di esercenti la professione sanitaria - ancorché scelti dal paziente e non dipendenti dalla struttura stessa - risponde delle loro condotte dolose o colpose ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c. (...) l'esercente la professione sanitaria risponde del proprio operato ai sensi dell'art. 2043 c.c., salvo che abbia agito nell'adempimento di un'obbligazione contrattuale assunta col paziente. Il giudice, nella determinazione del risarcimento, tiene conto della condotta  dell'esercente la professione sanitaria ai sensi dell'art. 5 e dell'art. 590 sexies c.p. (...) il danno conseguente all'attività della struttura sociosanitaria pubblica o privata e dell'operatore sanitario è risarcito sulla base delle tabelle di cui agli artt. 138 e 139 del codice delle assicurazioni [D. Lgs. 209 del 07/09/2005].

Dalla norma che precede si possono trarre i seguenti insegnamenti:

a) il rapporto che lega il paziente alla struttura sanitaria (indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della stessa) è sempre di natura contrattuale, sicché la stessa risponde dei danni al paziente sotto forma di inadempimento contrattuale ai sensi degli artt. 1218 c.c. (inadempimento contrattuale) e art. 1228 c.c. (responsabilità per il fatto degli ausiliari).
b) il rapporto che lega il paziente al singolo operatore sanitario all'interno di una struttura complessa non è mai di natura contrattuale, sicché egli risponde civilmente ai sensi del solo art. 2043 c.c.
c) nella determinazione dell'entità del danno il Giudice deve tenere conto della condotta dell'operatore sanitario, ossia se questi si sia conformato o meno alle buone pratiche mediche ed alle linee guida avallate dalla comunità scientifica o in mancanza dalla prassi.
d) nella determinazione del risarcimento il Giudice si deve attenere alle tabelle previste dagli artt. 138 e 139 del codice delle assicurazioni. 



IL TENTATIVO DI MEDIAZIONE OBBLIGATORIA

Ai sensi dell'art.8 della legge n.24/2017 prima di esperire l'azione risarcitoria in giudizio, il paziente che lamenta un danno da medical malpractice deve attivare la procedura di cui all'art. 696 bis c.p.c. (consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite) o in alternativa il tentativo di mediazione obbligatoria previsto dall'art. 5 D. Lgs. n.28/2010 (tentativo di mediazione obbligatoria): in entrambi i casi, l'esperimento di questi due strumenti deflattivi del contenzioso civile (alternativi tra loro) è condizione di procedibilità della successiva causa civile; tocca al convenuto eccepire non oltre la prima udienza la violazione dell'art.8 della presente legge, oppure può essere rilevato d'ufficio. 

Allorché il giudice civile accerti che la procedura prevista dall'art. 696 bis c.p.c. non è stata espletata ovvero che non si è ancora conclusa, concede alle parti un termine di 15 gg.  per la presentazione del ricorso innanzi a sè, ovvero per il completamento della procedura; solo con la mancata conciliazione (che in ogni caso deve essere tentata dal C.T.U. prima del deposito della relazione) ovvero con la mancata conclusione della procedura entro sei mesi dal deposito del ricorso, la domanda risarcitoria diviene procedibile. Viceversa, nel caso di deposito della consulenza sono salvi gli effetti della domanda, se viene depositato il ricorso ex art. 702 bis c.p.c. avanti lo stesso giudice che ha trattato la procedura il procedimento di cui al comma I.

Dalla lettura dell'art.8 si possono trarre i seguenti insegnamenti:

a) prima di procedere in giudizio col deposito della domanda risarcitoria occorre sempre tentare la conciliazione;
b) la consulenza tecnica preventiva di cui all'art. 696 bis c.p.c. o il tentativo di mediazione di cui all'art. 5 D. Lgs. 28/2010 sono condizioni di procedibilità della causa di risarcimento danni;
c) il consulente tecnico d'ufficio deve sempre tentare la conciliazione;
d) se la conciliazione non riesce, la domanda giudiziale diventa procedibile;
e) se è stata espletata la procedura di consulenza tecnica preventiva, il successivo passo - in caso di mancata conciliazione - sarà il deposito del ricorso ai sensi dell'art. 702 bis c.p.c. [processo sommario di cognizione];
f) se, viceversa, si è tentata la via della mediazione civile prevista dall'art.5 D. Lgs. 28/2010, il successivo passo in caso di mancato accordo sarà l'instaurazione di un giudizio ordinario.


L’AZIONE DIRETTA NEI CONFRONTI DELL’ASSICURAZIONE

Con la "Riforma Gelli" viene introdotta, inoltre, l'azione diretta del paziente danneggiato nei confronti dell'assicurazione della struttura sanitaria, mentre l'operatore sanitario che lavora alle dipendenze della struttura risponderà per danni al paziente solo nei limiti dell'art. 2043 c.c. (responsabilità extracontrattuale).

Ai sensi dell'art.12 della legge n.24/2017 "(...) il soggetto danneggiato ha diritto di agire direttamente nei confronti dell'impresa assicuratrice che presta la copertura assicurativa alla struttura sanitaria pubblica o privata, ovvero all'esercente la professione sanitaria (...) nel giudizio promosso nei confronti dell'impresa assicuratrice della struttura è litisconsorte necessaria la struttura stessa; nel giudizio promosso nei confronti dell'impresa assicuratrice dell'esercente la professione sanitaria è litisconsorte necessario l'esercente stesso (...) l'azione diretta del danneggiato nei confronti dell'impresa di assicurazione è soggetta al termine di prescrizione pari a quello dell'azione promossa nei confronti della struttura o dell'esercente la professione sanitaria (...)".

Per effetto delle norme che precedono, il rapporto tra il singolo operatore sanitario o medico (dipendente di struttura ospedaliera sia privata che pubblica) ed il paziente è stato riequilibrato nell'ottica di limitare il più possibile il proliferare di cause risarcitorie in danno dei medici ed è tornato ad essere di natura extracontrattuale, inquadrato come un'obbligazione di mezzi e non più di risultato: stante la legge GELLI e visto che l'operatore sanitario risponderà per danni solo ai sensi dell'art. 2043 c.c., spetterà al paziente danneggiato allegare le prove della responsabilità del medico. 

Inoltre, sono stati calmierati i parametri risarcitori che vengono importati dalla RC auto (artt. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni).

Per effetto di questo nuovo quadro normativo, permane di natura contrattuale solo il rapporto che lega il paziente alla struttura sanitaria complessa, la quale è tenuta ad assicurarsi e ad assicurare gli operatori che lavorano alle sue dipendenze, mentre il singolo medico (all'interno della struttura complessa) risponderà solo a titolo di responsabilità aquiliana.

In ottica risarcitoria: la determinazione dell'entità del risarcimento dovuto al paziente potrà essere subordinata da parte del giudice civile ad una valutazione postuma dell'operato del medico ed in quest'ottica diminuita oppure aumentata a seconda che l'operatore sanitario si sia o meno uniformato alle linee guida avallate dalla comunità scientifica ovvero, in mancanza di esse, alla buona prassi medico assistenziale.

Per quanto riguarda, infine, la cosiddetta "azione di rivalsa o di responsabilità amministrativa" disciplinata dall'art.9 della legge n.24/2017 nei confronti dell'esercente la prestazione sanitaria per danno erariale, questa competerà al pubblico ministero presso la CORTE DEI CONTI e sarà limitata ai soli casi di dolo / colpa grave del medico: sarà - pertanto - valutata la condotta dell'operatore sanitario rispetto alle linee guida ed alla prassi nosocomiale di cui si è detto sopra, tenuto anche conto di eventuali difficoltà organizzative della struttura sanitaria.

Se l'operatore sanitario non è stato parte del giudizio o della procedura di mediazione svoltasi solo tra paziente, struttura sanitaria e compagnia di assicurazione, l'azione di rivalsa nei suoi confronti potrà essere esercitata solo a seguito del pagamento del danno ed a pena di decadenza entro un anno dal suo pagamento. In ogni caso, la sentenza del giudice civile che ha definito il contenzioso tra paziente, struttura e impresa di assicurazione non fa stato nel giudizio di rivalsa nei confronti dell'esercente la professione sanitaria che non vi abbia preso parte; nel giudizio di rivalsa  ed in quello di responsabilità amministrativa il giudice può desumere argomenti di prova dalle prove assunte nel giudizio instaurato dal danneggiato contro la struttura sanitaria, solo se l'esercente è stato parte di quel giudizio. L'eventuale transazione intervenuta tra paziente danneggiato, struttura sanitaria ed impresa di assicurazione non è mai opponibile all'operatore sanitario nel giudizio di rivalsa.

(a cura di avv. Luca Conti)


L'ASSEMBLEA CONDOMINIALE E LE SUE ATTRIBUZIONI








INTRODUZIONE 

Il 18 giugno 2013 è entrata in vigore la Legge di Riforma sul Condominio, che ha messo mano al Libro III Titolo VII Capo II del Codice Civile, riordinando ed innovando una materia che da oltre trent'anni meritava di essere riformata dal Legislatore.
La legge n.220/2012 ha innovato le responsabilità dell'amministratore, che oggi rispetto al passato si presenta come una figura particolarmente specializzata e professionale; ha inoltre individuato con precisione analitica le parti comuni dell'edificio, ossia quelle porzioni di fabbricato che stanno in un regime di accessorietà necessaria con le parti di proprietà esclusiva dei singoli condomini; infine, ha previsto nuove maggioranze per l'assunzione delle delibere assembleari in materia di nomina e di revoca dall'amministratore, ed in materia di innovazioni.
Lo Studio Legale Conti offre un valido supporto legale, sia in sede stragiudiziale sia giudiziale, non solo alla figura dell’Amministratore nel recupero dei contributi condominiali scaduti e nella risoluzioni di controversie relative al godimento delle parti comuni dell’edificio, ma assiste anche i singoli condomini nella risoluzione di conflitti con altri condomini, o con lo stesso Amministratore.


COSTITUZIONE DELL'ASSEMBLEA ED
APPROVAZIONE DELLE DELIBERE ASSEMBLEARI 

In base alla legge di riforma del condominio n.220/2012 l'assemblea è regolarmente costituita:

IN PRIMA CONVOCAZIONE con la presenza della maggioranza dei condomini (50%+1) a loro volta rappresentativi dei 2/3 del valore millesimale dell'intero edificio. 
IN SECONDA CONVOCAZIONE con la presenza di almeno 1/3 dei partecipanti al condominio, a loro volta rappresentativi di almeno 1/3 del valore millesimale dell'intero edificio.

Le delibere assembleari sono valide:
IN PRIMA CONVOCAZIONE se riportano il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti in assemblea a loro volta rappresentativi di almeno 500 millesimi dell'intero edificio.
IN SECONDA CONVOCAZIONE se riportano il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti in assemblea a loro volta rappresentativi di almeno 1/3 del valore millesimale dell'intero edificio.

Le attribuzioni dell'assemblea condominiale, ossia le materie in cui i condomini possono essere chiamati a deliberare, sono individuate dall'art. 1135 c.c.:
1) nomina e revoca dell'amministratore, e determinazione della sua retribuzione;
2) approvazione del preventivo di gestione e della ripartizione delle spese tra i condomini;
3) approvazione del consuntivo annuale di gestione e determinazione sull’impiego dell’eventuale residuo di gestione;
4) approvazione delle opere di manutenzione straordinaria ed alle innovazioni, costituendo un fondo speciale ad hoc.

La nomina e la revoca dell'amministratore sono una prerogativa dell'assemblea condominiale, alla quale può sopperire l’Autorità Giudiziaria (previo ricorso indirizzato al Tribunale) nel caso in cui la stessa assemblea non sia in grado di provvedervi (ad esempio per mancanza del numero legale di votanti, si ricordi che per nominare / revocare un amministratore occorre il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti in assemblea a loro volta rappresentativi di almeno 500 millesimi).

Inoltre, l'amministratore è tenuto a convocare l'assemblea ordinaria entro sei mesi dalla data di chiusura dell'esercizio annuale per l'approvazione del consuntivo di gestione e del preventivo di spesa per l'anno successivo, nonché entro lo stesso termine deve promuovere le azioni necessarie nei confronti dei condomini morosi, sempre al fine di non pregiudicare le ragioni di credito dell'intera compagine condominiale.

Le delibere assembleari regolarmente approvate vincolano anche la minoranza dissenziente (art. 1137 comma I c.c.).

Contro le delibere assembleari contrarie alla legge ovvero al regolamento di condominio, i condomini assenti, dissenzienti o astenuti possono fare ricorso all'autorità giudiziaria nel termine di 30 giorni (art. 2964 c.c.), che decorrono per i dissenzienti e gli astenuti dalla data della delibera, mentre per gli assenti dalla data di comunicazione del verbale (art. 1137 c.c.).
Viceversa, l'azione di nullità delle delibere assembleari (cui il condomino può fare ricorso quando l'assemblea ha deliberato al di fuori delle proprie attribuzioni, art. 1135 c.c.) è imprescrittibile e può essere promossa da ogni condomino in qualsiasi tempo.
Per costante Giurisprudenza sono da considerarsi nulle le delibere adottate dall'assemblea, allorché non siano state rispettate tutte le formalità per la convocazione dei condomini: quindi, anche l'omessa convocazione di un solo condomino, può avere come conseguenza la nullità delle delibere adottate dall'assemblea.

Quanto alla partecipazione dei condomini in assemblea, con la legge n.220/2012 è divenuta obbligatoria la
 DELEGA SCRITTA e nei condomini con più di 20 partecipanti; il delegato non potrà rappresentare più di 1/5 dei partecipanti al condominio, a loro volta rappresentativi di non oltre 1/5 del valore millesimale dell'intero edificio.


(a cura di avv. Luca Conti).






RISARCIMENTO DANNI: IL DANNO CAUSATO DA ANIMALI





IL DANNO CAUSATO DA ANIMALI
IN CUSTODIA (art. 2052 c.c.)

Qualsiasi danno ingiusto merita di essere risarcito. Un danno è ingiusto quando è frutto della lesione di un diritto e della violazione di norme di legge, siano esse civili o penali.
Un danno può avere, a seconda dei casi, un contenuto patrimoniale (danno emergente e/o lucro cessante) oppure non patrimoniale (danno biologico e morale), può derivare dall’inadempimento totale o parziale di un contratto, oppure dalla violazione del più generale principio di neminem laedere, ossia dal divieto di assumere condotte illecite lesive degli altrui diritti.
Il più valido approccio ad una causa di risarcimenti danni non può prescindere da un’accurata valutazione ex ante dei presupposti dell’azione legale, ossia dall’individuazione del nesso causale che lega la condotta del responsabile all’evento dannoso che ne è la conseguenza, e dalla quantificazione del danno tramite perizia di parte o accertamento tecnico preventivo.
In questa sezione ci occupiamo del danno procurato da animali, normato dall’art. 2052 c.c.

RIFERIMENTI NORMATIVI
Dispone l’art. 2052 c.c. che il proprietario di un animale ovvero chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse fuggito o smarrito, salvo che provi il caso fortuito.
L’art. 2056 c.c., invece, dispone che il risarcimento dovuto al danneggiato si deve determinare secondo le disposizioni di cui agli artt. 1223, 1226 e 1227 c.c.
Il lucro cessante è valutato dal Giudice con equo apprezzamento, tenuto conto delle circostanze del caso.
L’art. 2052 c.c. disciplina la responsabilità per danni causati a terzi da animali di cui si è proprietari o di cui si ha un possesso qualificato.
Il proprietario o possessore di un animale che ha cagionato un danno a terzi è oggettivamente responsabile degli stessi ed è tenuto a risarcirli (patrimoniali e non patrimoniali, biologico e morale), salvo che possa provare il caso fortuito.
Trattasi di una fattispecie di responsabilità oggettiva” (la giurisprudenza in verità la ritiene fondata su una presunzione relativa di colpa a carico del proprietario o di chi custodisce l’animale) ed è slegata da comportamenti commissivi od omissivi del proprietario / possessore dell’animale.
Il soggetto danneggiato dovrà solo provare il nesso di causalità tra il danno subìto ed il comportamento dell’animale che lo ha provocato.


LA RISARCIBILITA’ DEL DANNO

Al contrario il proprietario o possessore dell’animale, per andare esente da responsabilità, dovrà provare che il danno è conseguenza del caso fortuito”, ossia di un fatto del tutto imprevisto ed imprevedibile, sottratto alla sua sfera di controllo e che è risultato determinante nella causazione del danno (artt. 1218 e 1256 c.c.).
I danni risarcibili sono quelli che dipendono da un fatto autonomo dell’animale a prescindere dalla guida o da un comando dell’uomo.
I danni risarcibili possono essere patrimoniali e/o non patrimoniali, biologico e morale. Si pensi - appunto - alla morsicatura di un cane: il soggetto danneggiato potrà pretendere dal padrone del cane ovvero da chi ne ha la custodia non solo il danno patrimoniale conseguente alle spese mediche sostenute, ma potrà pretendere anche il lucro cessante, ossia il mancato guadagno durante il periodo di convalescenza, il danno biologico (perdita di funzionalità totale o parziale dell’arto menomato e l’eventuale danno estetico) ed il danno morale.
Nella valutazione del danno il giudice dovrà quindi fare riferimento agli artt. 1223 c.c. (sul risarcimento del danno in generale), 1226 c.c. (sulla valutazione equitativa del danno) e 1227 c.c. (eventuale concorso di colpa del danneggiato).
L’art. 1227 c.c. è rilevante nella valutazione dell’entità del danno risarcibile, perché se l’avente diritto al risarcimento con la propria condotta ha contribuito alla causazione del danno, questo sarà ridotto in misura corrispondente; mentre secondo l’art. 1227 c.c. ultimo comma l’indennizzo è escluso per tutti i danni che il danneggiato avrebbe potuto evitare usando la normale diligenza.


PRECEDENTI DI GIURISPRUDENZA

La giurisprudenza ritiene che in tema di responsabilità ai sensi dell’art. 2052 c.c. il proprietario di un animale risponde sulla base non di un proprio comportamento o di una propria attività, ma sulla base della mera relazione (di proprietà o di uso) intercorrente fra lui e l'animale, nonché del nesso di causalità sussistente fra il comportamento di quest'ultimo e l'evento dannoso. Spetta, quindi, all'attore la prova dell'esistenza del rapporto eziologico tra l'animale e l'evento lesivo, mentre il convenuto a giudizio, per liberarsi dalla responsabilità, dovrà provare non già di essere esente da colpa, bensì l'esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale (Corte di Appello di Potenza dd. 28/11/2017, n.642)In senso conforme si veda Corte di Cassazione, sez. III, dd. 16/04/2015, n. 7703.

In tema di caso fortuito, precisa il Tribunale di Modena (sentenza dd. 21/03/2012 n.532) che la presunzione di responsabilità a carico del proprietario o detentore dell’animale (fondata non sulla colpa, ma sul rapporto di fatto con l’animale stesso) è superabile solo con la prova del caso fortuito, ossia dell’intervento di un fattore esterno (ivi compreso il fatto del terzo e il fatto colposo del danneggiato stesso), che abbia avuto efficacia causale esclusiva nella produzione del danno e quindi idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra il comportamento dell’animale e l’evento lesivo.

Ritiene il Tribunale di Salerno (sentenza dd. 05/05/2016, n.1980) che la responsabilità di cui all’'art. 2052 c.c. sia oggettiva, la quale grava non solo sul proprietario dell’animale, ma su tutti coloro che hanno la custodia dello stesso, e che il riferimento va a qualsiasi soggetto che abbia un effettivo potere di governo sull'animale.

Per quanto riguarda la distribuzione della responsabilità tra proprietario e custode dell’animale, la Corte di Appello di Campobasso (sentenza dd. 25/07/2017 n.285) precisa che la responsabilità del proprietario dell'animale prevista dall’art. 2052 c.c., essendo alternativa rispetto a quella del soggetto che lo ha in uso o in custodia, è esclusa in tutti i casi in cui il danno sia cagionato mentre l'animale, in virtù di un rapporto anche di mero fatto, sia utilizzato da altri o sia da questi tenuto in custodia, con il consenso del proprietario. La responsabilità del custode, inoltre (come quella del proprietario) è di natura oggettiva, conseguente al mero rapporto di fatto con l'animale e non dipendente da una sua colpa o dolo.

A questo riguardo, la Corte di Cassazione sez. III (sentenza dd. 22/12/2015, n. 25738) ha confermato che in tema di danno cagionato da animali, l'art. 2052 c.c. prevede, alternativamente e senza vincolo di solidarietà, la responsabilità del proprietario dell'animale ovvero quella dell'utilizzatore, evenienza questa ipotizzabile solo allorché il proprietario si sia spogliato, in fatto o in diritto, del governo dell'animale. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito che - in relazione ai danni conseguiti ad un sinistro mortale, verificatosi in un maneggio nel corso di una lezione di equitazione - aveva ritenuto unica responsabile l'istruttrice, proprietaria del pony, svolgendo essa la propria attività in piena autonomia rispetto al club ippico).

In tema di morsicatura provocata da un cane sotto la custodia di un dogsitter, la Corte di Cassazione (sentenza dd. 08/05/2018, n. 20102) ha rigettato il ricorso di un dogsitter, che era stato condannato dal Giudice di Pace a risarcire il danno provocato ad un passante, affermando che la posizione di garanzia assunta dal detentore di un cane impone l’obbligo di controllare e di custodire l’animale adottando ogni cautela per evitare e prevenire le possibili aggressioni a terzi anche all’interno dell’abitazione. La pericolosità del genere animale, ricorda la Corte, non è infatti limitata agli animali feroci ma può sussistere anche in relazione ad animali domestici o di compagnia.
Inoltre, l’obbligo di custodia dell’animale prescinde dalla formale appartenenza, così come risultante dalla registrazione all’anagrafe canina o dal microchip. L’obbligo sorge ogniqualvolta sia riscontrabile una relazione anche di semplice detenzione tra l’animale e la persona poiché l’art. 672 c.p. collega il dovere di non lasciare libero l’animale o di custodirlo con le debite cautele al suo possesso, da intendere come detenzione anche solo materiale di fatto, non essendo necessario un rapporto di proprietà in senso civilistico.

Per quanto riguarda, invece, la diversa fattispecie di danni cagionati da animali randagi, la Corte di Cassazione sez. III (sentenza dd. 31/07/2017, n. 18954) precisa che essa deve ritenersi disciplinata dalle regole generali di cui all'art. 2043 c.c. e non dalle regole di cui all'art. 2052 c.c., che non sono applicabili - così come pacificamente si ritiene per l'analoga fattispecie dei danni causati dagli animali selvatici - in considerazione della natura stessa di detti animali e dell'impossibilità di ritenere sussistente un rapporto di proprietà o di uso in relazione ad essi, da parte degli enti pubblici preposti alla gestione del fenomeno del randagismo.

(a cura di Avv. Luca Conti)


domenica 13 ottobre 2019

DIRITTO DI FAMIGLIA: LA SEPARAZIONE GIUDIZIALE DEI CONIUGI







INTRODUZIONE
Il diritto di famiglia, codificato per la prima volta nel 1942, concepiva una famiglia fondata sulla subordinazione della moglie al marito, e fondata sulla discriminazione dei figli naturali nati fuori del matrimonio rispetto ai figli legittimi.
Il primo libro del codice civile venne riformato dalla legge 19 maggio 1957 n.151, che apportò modifiche tese a uniformare le norme ai principi costituzionali. Con questa legge venne riconosciuta la parità giuridica dei coniugi, venne abrogato l'istituto della dote, venne riconosciuta ai figli naturali la stessa tutela prevista per i figli legittimi, venne istituita la comunione dei beni come regime patrimoniale legale della famiglia, la patria potestà del padre venne sostituita dalla potestà di entrambi i genitori (la cosiddetta "potestà genitoriale " oggi sostituita dalla “responsabilità genitoriale”), in particolare nella tutela dei figli.
Più recentemente, il diritto di famiglia è stato riformato dalla legge n.54/2006, che ha istituito l’affidamento condiviso dei figli in sostituzione dell’affidamento esclusivo (oggi scelta residuale) nei casi di separazione e divorzio, rivoluzionando l'assetto dei rapporti genitori-figli così come disciplinato dal codice civile, ed infine dal decreto legislativo n.154/2013 che ha interamente modifica il Titolo IX del codice civile, uniformando la normativa inerente il rapporto di genitorialità rispetto ai figli legittimi, naturali ed adottivi, ponendo questi ultimi al centro dell’attenzione in tutte le controversie in materia di famiglia.
La separazione è quella procedura, di natura consensuale oppure contenziosa (detta anche giudiziale) che conduce ad un provvedimento dell’Autorità Giudiziaria (sotto forma di decreto che omologa le condizioni di separazione stabilite consensualmente dai coniugi, oppure sotto forma di sentenza) che sancisce la separazione senza però porre fine al vincolo matrimoniale, facendo venire la comunione legale dei beni e determinando gli obblighi di mantenimento reciproci ed in favore dei figli.

I RIFERIMENTI NORMATIVI
Art. 706 c.p.c. (la forma della domanda)
[I]. La domanda di separazione personale si propone al tribunale del luogo dell'ultima residenza comune dei coniugi ovvero, in mancanza, del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio, con ricorso che deve contenere l'esposizione dei fatti sui quali la domanda è fondata. 
[II]. Qualora il coniuge convenuto sia residente all'estero, o risulti irreperibile, la domanda si propone al tribunale del luogo di residenza o di domicilio del ricorrente, e, se anche questi è residente all'estero, a qualunque tribunale della Repubblica.
[III]. Il presidente, nei cinque giorni successivi al deposito in cancelleria, fissa con decreto la data dell'udienza di comparizione dei coniugi davanti a sé, che deve essere tenuta entro novanta giorni dal deposito del ricorso, il termine per la notificazione del ricorso e del decreto, ed il termine entro cui il coniuge convenuto può depositare memoria difensiva e documenti. Al ricorso e alla memoria difensiva sono allegate le ultime dichiarazioni dei redditi presentate.
[IV]. Nel ricorso deve essere indicata l'esistenza di figli legittimi, legittimati o adottati da entrambi i coniugi durante il matrimonio.

Art. 156 c.c. (effetti della separazione sui rapporti patrimoniali)  
[I]. Il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall'altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri.
[II]. L'entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell'obbligato.
[III]. Resta fermo l'obbligo di prestare gli alimenti di cui agli artt. 433 e ss. c.c.
[IV]. Il giudice che pronunzia la separazione può imporre al coniuge di prestare idonea garanzia reale o personale se esiste il pericolo che egli possa sottrarsi all'adempimento degli obblighi previsti dai precedenti commi e dall'art. 155 c.c.
[V]. La sentenza costituisce titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale.
[VI]. In caso di inadempienza, su richiesta dell'avente diritto, il giudice può disporre il sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato e ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di danaro all'obbligato, che una parte di esse venga versata direttamente agli aventi diritto.
[VII]. Qualora sopravvengano giustificati motivi il giudice, su istanza di parte, può disporre la revoca o la modifica dei provvedimenti di cui ai commi precedenti.


Art.337 ter c.c. (provvedimenti riguardo ai figli in caso di separazione)  
[I]. Il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.
[II]. Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, nei procedimenti di cui all'art. 337 bis c.c., il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all'interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole, ivi compreso, in caso di temporanea impossibilità di affidare il minore ad uno dei genitori, l'affidamento familiare. All'attuazione dei provvedimenti relativi all'affidamento della prole provvede il giudice del merito e, nel caso di affidamento familiare, anche d'ufficio. A tal fine copia del provvedimento di affidamento è trasmessa, a cura del pubblico ministero, al giudice tutelare.
[III]. La responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all'istruzione, all'educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la responsabilità genitoriale separatamente. Qualora il genitore non si attenga alle condizioni dettate, il giudice valuterà detto comportamento anche al fine della modifica delle modalità di affidamento.
[IV]. Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:
1) le attuali esigenze del figlio.
2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori.
3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore.
4) le risorse economiche di entrambi i genitori.
5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
[V]. L'assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice.
[VI]. Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi.

Art.337 quater c.c. (affidamento dei figli ad uno solo dei genitori ed esercizio della responsabilità genitoriale) 
[I]. Il giudice può disporre l'affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l'affidamento all'altro sia contrario all'interesse del minore.
[II]. Ciascuno dei genitori può, in qualsiasi momento, chiedere l'affidamento esclusivo quando sussistono le condizioni indicate al primo comma. Il giudice, se accoglie la domanda, dispone l'affidamento esclusivo al genitore istante, facendo salvi, per quanto possibile, i diritti del minore previsti dal primo comma dell'art. 337 ter c.c. Se la domanda risulta manifestamente infondata, il giudice può considerare il comportamento del genitore istante ai fini della determinazione dei provvedimenti da adottare nell'interesse dei figli, rimanendo ferma l'applicazione dell'art. 96 c.p.c.
[III]. Il genitore cui sono affidati i figli in via esclusiva, salva diversa disposizione del giudice, ha l'esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale su di essi; egli deve attenersi alle condizioni determinate dal giudice. Salvo che non sia diversamente stabilito, le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi i genitori. Il genitore cui i figli non sono affidati ha il diritto ed il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse.

Art.337 sexies c.c. (assegnazione della dimora coniugale ad uno dei genitori) 
[I]. Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli. Dell'assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l'eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell'art. 2643 c.c.
[II]. In presenza di figli minori, ciascuno dei genitori è obbligato a comunicare all'altro, entro il termine perentorio di trenta giorni, l'avvenuto cambiamento di residenza o di domicilio. La mancata comunicazione obbliga al risarcimento del danno eventualmente verificatosi a carico del coniuge o dei figli per la difficoltà di reperire il soggetto.


IL FORMULARIO DEL RICORSO PER SEPARAZIONE



TRIBUNALE ORDINARIO DI ... omissis ...
Ricorso per la separazione giudiziale dei coniugi

Promosso da: TIZIO nato a ... omissis ... il ... omissis ... e residente a ... omissis ... in Via / P.zza ... omissis ... C.F. ... omissis ... rappresentato e difeso dall'avvocato ... omissis ...  C.F. / p.i. ... omissis ..., presso il cui Studio Legale a ... omissis ... è elettivamente domiciliato, giusta procura alle liti rilasciata in calce al presente atto su separato documento informatico ai sensi dell’art. 83 comma III c.p.c.,

nei confronti di 

CAIA, nata a ... omissis ... il ... omissis ... e residente a ... omissis ... in Via / P.zza ... omissis ... C.F. ... omissis ...

Per comunicazioni di cancelleria e notificazioni: ai sensi dell'art. 170 c.p.c. si indicano il numero di fax ... omissis ... e l'indirizzo p.e.c. ... omissis ...

Ill.mo Sig. Presidente Tribunale di ... omissis ...

PREMESSO

- che TIZIO e CAIA hanno contratto matrimonio secondo il rito concordatario (ovvero) secondo il rito civile in data … omissis … ed annotato nei Registri dell'Ufficio di Stato Civile del Comune di ... omissis ... (doc.1), adottando il regime patrimoniale della comunione dei beni (ovvero) della separazione dei beni;

- che i coniugi hanno fissato la dimora coniugale nel Comune di ... omissis ... in  Via / P.zza … omissis …;

- che dall'unione coniugale sono nati figli … omissis … (doc.2);

- che da tempo sono venuti meno il rapporto di coniugio e la comunanza d'intenti, tali da rendere intollerabile il protrarsi della convivenza;

- che TIZIO, d'accordo con CAIA, ha lasciato il tetto coniugale, trasferendo altrove la propria dimora ed asportando da quella coniugale i propri effetti personali;

- che non è stato possibile raggiungere un accordo condiviso circa l'affidamento, il mantenimento e l'allocazione dei figli e/o sulle questioni di carattere economico tra i coniugi.

*****

Tutto ciò premesso e considerato, il ricorrente TIZIO come in epigrafe meglio generalizzato, rappresentato, difeso e domiciliato ut supra,

RIVOLGE ISTANZA

alla S.V. Ill.ma affinché, letto il presente ricorso ed i documenti ad esso allegati, previa convocazione delle parti in udienza dinnanzi a Sé, esperito il rituale tentativo di conciliazione ed adottati i provvedimenti ritenuti urgenti nell'interessi dei coniugi e dei figli, nonché previa rimessione della causa al designando Signor Giudice Istruttore per l'instaurazione del giudizio di merito, voglia accogliere le seguenti

CONCLUSIONI

Nel merito:
1) pronunciare sentenza di separazione tra TIZIO e CAIA, ordinandone l'annotazione al competente Ufficio di Stato Civile del Comune di ... omissis ... 

2) determinare nella somma non superiore ad € ... omissis ... il contributo mensile che TIZIO sarà tenuto a versare a CAIA mensilmente, somma da accreditarsi in c/c entro e non oltre il giorno cinque di ogni mese e da rivalutarsi annualmente al 100% degli indici ISTAT al consumo decorsi dodici mesi dalla data di pubblicazione della sentenza.

3) determinare nella somma non superiore ad € ... omissis ... ovvero la diversa somma che sarà ritenuta di Giustizia il contributo al mantenimento dei figli posto a carico del padre, somma che sarà versata entro e non oltre il giorno cinque di ogni mese di competenza con accredito diretto in c/c e rivalutabile annualmente al 100% degli indici ISTAT al consumo decorsi dodici mesi dalla data di pubblicazione della sentenza.

4) assegnare la dimora coniugale al padre (ovvero alla madre) in quanto convivente con i figli minorenni, imputando le relative spese di gestione in capo allo stesso assegnatario.

5) disporre l'affidamento condiviso dei figli, con allocazione prevalente a soli fini anagrafici presso TIZIO (ovvero) presso CAIA.

6) regolare come segue il diritto di visita in favore del genitore non convivente: ... omissis ...

7) ripartire al 50% tra i genitori le spese straordinarie per i figli, tra le quali: spese mediche non coperte da S.S.N., spese dentistiche, spese scolastiche e parascolastiche, spese per l’acquisto dei libri di testo, spese universitarie, spese per attività ludiche e ricreative, spese per vacanze, con obbligo di concordarle preventivamente fatte salve quelle necessarie ed urgenti.

In via istruttoria: ammettersi la prova per interpello formale nella persona di CAIA e per testimoni sui fatti dedotti in narrativa. Testi riservati nei termini di Legge.
Ordinare a CAIA di produrre in giudizio le dichiarazioni dei redditi relativi agli ultimi tre periodi d'imposta.

In ogni caso: con vittoria di spese documentate e compenso dell'avvocato patrocinante ai sensi del D.M. n.55/2014 e ss. mm., oltre al rimborso delle spese generali nella misura del 15%, c.p.a. 4%, i.v.a. 22% e successive spese occorrende.

Elenco dei documenti offerti in produzione:
1) Estratto autentico dell'atto di matrimonio;
2) Certificato dello Stato di famiglia;
3) Certificato di nascita e di residenza dei coniugi; 
4) Certificato di nascita e di residenza dei figli;
5-7) le ultime tre dichiarazioni dei redditi presentate da TIZIO.

Dichiarazione di valore: ai sensi del d.p.r. 115/2002 e ss. mm. il presente procedimento sconta un C.U. fisso pari ad € 98,00.

Con osservanza.

Milano, lì _______________ 2019.
Avv. ________________________

(segue la procura alle liti scannerizzata e firmata digitalmente)


(a cura di avv. Luca Conti)