RISARCIMENTO DANNI: IL DANNO CAUSATO DA ANIMALI





IL DANNO CAUSATO DA ANIMALI
IN CUSTODIA (art. 2052 c.c.)

Qualsiasi danno ingiusto merita di essere risarcito. Un danno è ingiusto quando è frutto della lesione di un diritto e della violazione di norme di legge, siano esse civili o penali.
Un danno può avere, a seconda dei casi, un contenuto patrimoniale (danno emergente e/o lucro cessante) oppure non patrimoniale (danno biologico e morale), può derivare dall’inadempimento totale o parziale di un contratto, oppure dalla violazione del più generale principio di neminem laedere, ossia dal divieto di assumere condotte illecite lesive degli altrui diritti.
Il più valido approccio ad una causa di risarcimenti danni non può prescindere da un’accurata valutazione ex ante dei presupposti dell’azione legale, ossia dall’individuazione del nesso causale che lega la condotta del responsabile all’evento dannoso che ne è la conseguenza, e dalla quantificazione del danno tramite perizia di parte o accertamento tecnico preventivo.
In questa sezione ci occupiamo del danno procurato da animali, normato dall’art. 2052 c.c.

RIFERIMENTI NORMATIVI
Dispone l’art. 2052 c.c. che il proprietario di un animale ovvero chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse fuggito o smarrito, salvo che provi il caso fortuito.
L’art. 2056 c.c., invece, dispone che il risarcimento dovuto al danneggiato si deve determinare secondo le disposizioni di cui agli artt. 1223, 1226 e 1227 c.c.
Il lucro cessante è valutato dal Giudice con equo apprezzamento, tenuto conto delle circostanze del caso.
L’art. 2052 c.c. disciplina la responsabilità per danni causati a terzi da animali di cui si è proprietari o di cui si ha un possesso qualificato.
Il proprietario o possessore di un animale che ha cagionato un danno a terzi è oggettivamente responsabile degli stessi ed è tenuto a risarcirli (patrimoniali e non patrimoniali, biologico e morale), salvo che possa provare il caso fortuito.
Trattasi di una fattispecie di responsabilità oggettiva” (la giurisprudenza in verità la ritiene fondata su una presunzione relativa di colpa a carico del proprietario o di chi custodisce l’animale) ed è slegata da comportamenti commissivi od omissivi del proprietario / possessore dell’animale.
Il soggetto danneggiato dovrà solo provare il nesso di causalità tra il danno subìto ed il comportamento dell’animale che lo ha provocato.


LA RISARCIBILITA’ DEL DANNO

Al contrario il proprietario o possessore dell’animale, per andare esente da responsabilità, dovrà provare che il danno è conseguenza del caso fortuito”, ossia di un fatto del tutto imprevisto ed imprevedibile, sottratto alla sua sfera di controllo e che è risultato determinante nella causazione del danno (artt. 1218 e 1256 c.c.).
I danni risarcibili sono quelli che dipendono da un fatto autonomo dell’animale a prescindere dalla guida o da un comando dell’uomo.
I danni risarcibili possono essere patrimoniali e/o non patrimoniali, biologico e morale. Si pensi - appunto - alla morsicatura di un cane: il soggetto danneggiato potrà pretendere dal padrone del cane ovvero da chi ne ha la custodia non solo il danno patrimoniale conseguente alle spese mediche sostenute, ma potrà pretendere anche il lucro cessante, ossia il mancato guadagno durante il periodo di convalescenza, il danno biologico (perdita di funzionalità totale o parziale dell’arto menomato e l’eventuale danno estetico) ed il danno morale.
Nella valutazione del danno il giudice dovrà quindi fare riferimento agli artt. 1223 c.c. (sul risarcimento del danno in generale), 1226 c.c. (sulla valutazione equitativa del danno) e 1227 c.c. (eventuale concorso di colpa del danneggiato).
L’art. 1227 c.c. è rilevante nella valutazione dell’entità del danno risarcibile, perché se l’avente diritto al risarcimento con la propria condotta ha contribuito alla causazione del danno, questo sarà ridotto in misura corrispondente; mentre secondo l’art. 1227 c.c. ultimo comma l’indennizzo è escluso per tutti i danni che il danneggiato avrebbe potuto evitare usando la normale diligenza.


PRECEDENTI DI GIURISPRUDENZA

La giurisprudenza ritiene che in tema di responsabilità ai sensi dell’art. 2052 c.c. il proprietario di un animale risponde sulla base non di un proprio comportamento o di una propria attività, ma sulla base della mera relazione (di proprietà o di uso) intercorrente fra lui e l'animale, nonché del nesso di causalità sussistente fra il comportamento di quest'ultimo e l'evento dannoso. Spetta, quindi, all'attore la prova dell'esistenza del rapporto eziologico tra l'animale e l'evento lesivo, mentre il convenuto a giudizio, per liberarsi dalla responsabilità, dovrà provare non già di essere esente da colpa, bensì l'esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale (Corte di Appello di Potenza dd. 28/11/2017, n.642)In senso conforme si veda Corte di Cassazione, sez. III, dd. 16/04/2015, n. 7703.

In tema di caso fortuito, precisa il Tribunale di Modena (sentenza dd. 21/03/2012 n.532) che la presunzione di responsabilità a carico del proprietario o detentore dell’animale (fondata non sulla colpa, ma sul rapporto di fatto con l’animale stesso) è superabile solo con la prova del caso fortuito, ossia dell’intervento di un fattore esterno (ivi compreso il fatto del terzo e il fatto colposo del danneggiato stesso), che abbia avuto efficacia causale esclusiva nella produzione del danno e quindi idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra il comportamento dell’animale e l’evento lesivo.

Ritiene il Tribunale di Salerno (sentenza dd. 05/05/2016, n.1980) che la responsabilità di cui all’'art. 2052 c.c. sia oggettiva, la quale grava non solo sul proprietario dell’animale, ma su tutti coloro che hanno la custodia dello stesso, e che il riferimento va a qualsiasi soggetto che abbia un effettivo potere di governo sull'animale.

Per quanto riguarda la distribuzione della responsabilità tra proprietario e custode dell’animale, la Corte di Appello di Campobasso (sentenza dd. 25/07/2017 n.285) precisa che la responsabilità del proprietario dell'animale prevista dall’art. 2052 c.c., essendo alternativa rispetto a quella del soggetto che lo ha in uso o in custodia, è esclusa in tutti i casi in cui il danno sia cagionato mentre l'animale, in virtù di un rapporto anche di mero fatto, sia utilizzato da altri o sia da questi tenuto in custodia, con il consenso del proprietario. La responsabilità del custode, inoltre (come quella del proprietario) è di natura oggettiva, conseguente al mero rapporto di fatto con l'animale e non dipendente da una sua colpa o dolo.

A questo riguardo, la Corte di Cassazione sez. III (sentenza dd. 22/12/2015, n. 25738) ha confermato che in tema di danno cagionato da animali, l'art. 2052 c.c. prevede, alternativamente e senza vincolo di solidarietà, la responsabilità del proprietario dell'animale ovvero quella dell'utilizzatore, evenienza questa ipotizzabile solo allorché il proprietario si sia spogliato, in fatto o in diritto, del governo dell'animale. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito che - in relazione ai danni conseguiti ad un sinistro mortale, verificatosi in un maneggio nel corso di una lezione di equitazione - aveva ritenuto unica responsabile l'istruttrice, proprietaria del pony, svolgendo essa la propria attività in piena autonomia rispetto al club ippico).

In tema di morsicatura provocata da un cane sotto la custodia di un dogsitter, la Corte di Cassazione (sentenza dd. 08/05/2018, n. 20102) ha rigettato il ricorso di un dogsitter, che era stato condannato dal Giudice di Pace a risarcire il danno provocato ad un passante, affermando che la posizione di garanzia assunta dal detentore di un cane impone l’obbligo di controllare e di custodire l’animale adottando ogni cautela per evitare e prevenire le possibili aggressioni a terzi anche all’interno dell’abitazione. La pericolosità del genere animale, ricorda la Corte, non è infatti limitata agli animali feroci ma può sussistere anche in relazione ad animali domestici o di compagnia.
Inoltre, l’obbligo di custodia dell’animale prescinde dalla formale appartenenza, così come risultante dalla registrazione all’anagrafe canina o dal microchip. L’obbligo sorge ogniqualvolta sia riscontrabile una relazione anche di semplice detenzione tra l’animale e la persona poiché l’art. 672 c.p. collega il dovere di non lasciare libero l’animale o di custodirlo con le debite cautele al suo possesso, da intendere come detenzione anche solo materiale di fatto, non essendo necessario un rapporto di proprietà in senso civilistico.

Per quanto riguarda, invece, la diversa fattispecie di danni cagionati da animali randagi, la Corte di Cassazione sez. III (sentenza dd. 31/07/2017, n. 18954) precisa che essa deve ritenersi disciplinata dalle regole generali di cui all'art. 2043 c.c. e non dalle regole di cui all'art. 2052 c.c., che non sono applicabili - così come pacificamente si ritiene per l'analoga fattispecie dei danni causati dagli animali selvatici - in considerazione della natura stessa di detti animali e dell'impossibilità di ritenere sussistente un rapporto di proprietà o di uso in relazione ad essi, da parte degli enti pubblici preposti alla gestione del fenomeno del randagismo.

(a cura di Avv. Luca Conti)


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