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DIRITTO CIVILE - DIRITTO DI FAMIGLIA - SEPARAZIONI E DIVORZI - DIRITTI DELLE PERSONE - RESPONSABILITA' SANITARIA - DIRITTI DEI CONSUMATORI - CONTRATTUALISTICA - PRATICHE DI RISARCIMENTO DANNI - RECUPERO CREDITI - SUCCESSIONI - VERTENZE CONDOMNIALI - CIRCOLAZIONE DI VEICOLI, IMBARCAZIONI E NATANTI - APPALTI - DIFESA PENALE

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giovedì 7 novembre 2019

LA MEDIAZIONE OBBLIGATORIA






LA MEDIAZIONE OBBLIGATORIA


1) Introduzione alla "mediazione obbligatoria": la formulazione originaria dell'art. 5 del Decreto Legge n.28/2010.

2) La nuova mediazione obbligatoria dopo il Decreto Legge "del fare".

3) Altre novità introdotte dal Decreto Legge “del fare”.


*****

1) La formulazione originaria dell'art. 5 D.L. 28/2010.
1. Chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa ad una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto preliminarmente ad esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal D. Lg.s dd. 8/10/2007 n.179 ovvero il procedimento istituito in attuazione dell'articolo 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al D. Lgs. 1/9/1993 n.385 e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. L'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'art. 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non e' stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Il presente comma non si applica alle azioni previste dagli articoli 37 e 140, nonché 140 bis del Codice del Consumo.

2. Fermo quanto previsto dal comma 1 e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, il giudice, anche in sede di giudizio  di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti, può invitare le stesse a procedere alla mediazione. L'invito deve essere rivolto alle parti prima dell'udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non e' prevista, prima della discussione della causa. Se le parti aderiscono all'invito, il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'art. 6 e, quando la mediazione non è già stata avviata, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione.

3. Lo svolgimento della mediazione non preclude in ogni caso la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari, ne' la trascrizione della domanda giudiziale.

4. I commi 1 e 2 non si applicano:
a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione;
b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all'art. 667 c.p.c.
c) nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all'art. 703 comma III c.p.c.
d) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all'esecuzione forzata;
e) nei procedimenti in camera di consiglio;
f) nell'azione civile esercitata nel processo penale.

5. Fermo quanto previsto dal comma 1 e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, se il contratto, lo statuto ovvero l'atto costitutivo dell'ente prevedono una clausola di mediazione o conciliazione e il tentativo non risulta esperito, il giudice o l'arbitro, su eccezione di parte, proposta nella prima difesa, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione e fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'art. 6. Allo stesso modo il giudice o l'arbitro fissa la successiva udienza quando la mediazione o il tentativo di conciliazione sono iniziati, ma non conclusi. La domanda è presentata davanti all'organismo indicato dalla clausola, se iscritto nel registro, ovvero, in mancanza, davanti ad un altro organismo iscritto, fermo il rispetto del criterio di cui all'art. 4 comma I. In ogni caso, le parti possono concordare, successivamente al contratto o allo statuto o all'atto costitutivo, l'individuazione di un diverso organismo iscritto.

6. Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all'art. 11 presso la segreteria dell'organismo.



2) La nuova mediazione obbligatoria dopo il Decreto Legge "del fare".
Tra i vari interventi legislativi del Governo Letta in favore del processo civile, il Decreto Legge n.69/13 meglio noto come il D.L. "del fare" ha introdotto importanti novità per quanto riguarda la mediazione obbligatoria, già disciplinata dall'art. 5 del D.L. n.28/2010, successivamente abrogata ed ora ripristinata con alcune novità.

La mediazione obbligatoria è stata ripristinata decorsi trenta giorni dall'approvazione delle Legge di conversione del Decreto Legge "del fare" a propria volta approvata nei sessanta giorni successivi al 22/06/2013, corrispondente alla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del testo del decreto.

Il Decreto Legge "del fare" ha apportato una rilevante modifica al testo dell'art. 5 comma I del D.L. n.28/2010: infatti, sono state escluse dalla mediazione obbligatoria le cause di risarcimento del danno provocato dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, contrariamente a quanto previsto nell'originaria formulazione (vedi sopra).

Pertanto, ad oggi la mediazione obbligatoria quale condizione di procedibilità per l'esperimento dell'azione in giudizio è limitata alle controversie in materia di: 

1) condominio; 
2) diritti reali; 
3) divisione; 
4) successione ereditaria; 
5) patti di famiglia;
6) locazione; 
7) comodato; 
8) affitto di azienda; 
9) responsabilità sanitaria; 
10) diffamazione a mezzo stampa; 
11) contratti assicurativi, bancari e finanziari.

Restano, dunque, escluse le sole controversie in materia di risarcimento del danno provocato dalla circolazione di veicoli e natanti: una scelta che se per un verso potrebbe anche apparire un bene, considerata la delicatezza e per molti aspetti il tecnicismo della materia (essendo capitato non di rado di imbattersi in organismi di mediazione non sempre competenti), per un altro verso sembrerebbe  invece una scelta dannosa, considerata la mole di cause di questo tipo che intasano le aule di giustizia. A questo punto, vista la scelta opinabile del Legislatore, per la stessa ragione sarebbe stato preferibile escludere dalla mediazione obbligatoria anche le controversie in materia di "responsabilità sanitaria".

Curiosamente, però, restano assoggettate alla mediazione obbligatoria le controversie aventi per oggetto i contratti assicurativi: una scelta che a prima vista sembrerebbe un controsenso rispetto alla scelta sopra descritta, essendo queste controversie pur sempre attinenti alla materia della R.C. auto ed alle cause di risarcimento del danno provocato dalla circolazione di veicoli e natanti. 

Si pensi - ad esempio - ad una causa di risarcimento danni conseguenti ad un sinistro stradale, che vedesse quale contraddittore processuale anche la Compagnia di Assicurazione del responsabile, citata non solo dal danneggiato ma anche (ed appositamente) dal responsabile del sinistro per inadempimento contrattuale: una chiamata in causa giustificata per ipotesi all'omessa ovvero all'insufficiente manleva del sinistro.

Nel caso appena citato, la causa civile dovrebbe seguire necessariamente due strade: il giudizio afferente l'accertamento del danno in punto an debeatur ed in punto quantum dovrebbe seguire il normale iter giudiziale, mentre il contenzioso tra l'assicurato (e responsabile del sinistro) e l'assicuratore dovrebbe seguire preliminarmente la via della mediazione obbligatoria. Le conseguenti difficoltà di questa scelta improvvida del Legislatore appaiono evidenti: il Giudice, non potendo scindere la causa e le relative domande, dovrebbe sospendere il giudizio civile di accertamento/risarcimento promosso dal danneggiato, in attesa che sia definito preliminarmente il contenzioso tra il responsabile del sinistro e la compagnia di assicurazione.

Un altro aspetto importante della riforma riguarda la cd. "mediazione ex officio" relativa a tutte quelle controversie in cui non è prevista la mediazione obbligatoria: nel testo originario dell'art. 5 si prevedeva che il Giudice potesse suggerire alle parti il percorso della mediazione, le quali parti però dovevano prestare il loro consenso.

Al contrario, oggi col Decreto Legge "del fare" l'adesione o consenso delle parti al suggerimento del Giudice sparisce del tutto: in qualsiasi momento il Giudice (prima dell'udienza di precisazione delle conclusioni) può deferire le parti davanti ad un organismo di mediazione per tentare la conciliazione della lite, senza dover raccogliere il loro preventivo consenso; in tal caso la mediazione ex officio diviene condizione di procedibilità.

Tra le procedure sottratte alla mediazione obbligatoria restano quelle per ingiunzione di pagamento, almeno finché in sede di opposizione a d.i. (art. 645 c.p.c.) non siano stati adottati i provvedimenti previsti dall'art. 648 c.p.c. nel corso della prima udienza.
Quanto precede vale anche per il recupero forzoso (tramite ricorso per ingiunzione di pagamento) delle spese condominiali non assolte dai condomini: anche queste controversie, però, saranno assoggettate a mediazione obbligatoria nel momento in cui il condomino moroso impugnasse l'ingiunzione con lo strumento dell'opposizione ex art. 645 c.p.c. e dopo l'adozione dei provvedimenti previsti dall'art. 648 c.p.c.

Altrettanto dicasi per la procedura di convalida di sfratto.

Tra le materie, viceversa, comprese nella mediazione obbligatoria c'è l'impugnazione delle delibere assembleari. 
In questo caso, poiché il termine per promuovere la causa giudiziale è di appena trenta giorni dall'adozione della delibera ovvero dalla sua comunicazione al condomino assente, per evitare decadenze si suggerisce di promuovere comunque la causa, fissando un termine di comparizione per il convenuto superiore a quello minimo previsto dall'art.163 bis c.p.c. (ad esempio di 120 gg. o più) e nel frattempo promuovere la procedura di mediazione: il vantaggio di questa soluzione consiste nel fatto che già in occasione della prima udienza l'attore potrà dare atto al Giudice dell'intervenuta cessazione della materia del contendere, perché nel frattempo si è perfezionato l'accordo conciliativo, ovvero esibire il verbale di conciliazione negativo, per superare l'eccezione di improcedibilità sollevata ex officio dal Giudice ovvero dalla controparte.
Resta inteso, tuttavia, che in pendenza di mediazione il termine di trenta giorni per promuovere l'azione giudiziale resta sospeso.

Un'altra novità riguarda il termine per il completamento della procedura di mediazione, che diminuisce da quattro a tre mesi. 

Prima di iniziare la procedura di mediazione, il mediatore dà comunicazione all'altra parte della domanda di mediazione e domanda se intende aderire; se l'altra parte dichiara di non aderire alla proposta di mediazione, se ne redige un verbale negativo che l'attore (nel giudizio civile) potrà utilizzare per superare l'eccezione preliminare della condizione di procedibilità.

E per venire incontro alle richieste di certa avvocatura, poco incline ad aderire alla mediazione e perdere così i propri privilegi nel giudiziale (da qui il noto adagio "causa che pende causa che rende") il legislatore ha previsto espressamente che il verbale di conciliazione, per essere omologato, debba essere sottoscritto oltre che dalle parti anche dai rispettivi avvocati.

In vero, il D.L. n.69/2013 non prevede espressamente che le parti debbano essere assistite dai propri Legali dinnanzi all'organismo di mediazione; ma la presenza necessaria degli avvocati si desume implicitamente proprio dall'espressa previsione di omologazione del verbale con le loro firme.

Un'altra novità importante riguarda la proprio categoria degli avvocati, che sono stati equiparati a  "mediatori di diritto". Definizione quanto mai criptica quella che precede, visto che non è previsto un aggiornamento obbligatorio costante e l'avvocato che intendesse fare il mediatore non potrebbe farlo autonomamente, ma dovrebbe iscriversi ad un organismo ad hoc e seguire un corso di formazione professionale.

Resta fermo invece l'obbligo di far sottoscrivere alla parte assistita, all'atto del conferimento dell'incarico professionale, la nota informativa sulla mediazione obbligatoria già prevista dal D.L. n.28/2010.

In sede giudiziale, il mancato esperimento del tentativo di mediazione (nelle materie soggette a mediazione obbligatoria) deve essere eccepito dal Giudice ovvero dalla parte convenuta entro e non oltre la prima udienza: se il Giudice rileva il mancato esperimento della mediazione, dichiara l'improcedibilità della causa.

Nelle cause di opposizione a decreto ingiuntivo il mancato esperimento del tentativo di mediazione obbligatoria può avere gravissime conseguenze per l'opponente: infatti, se si rientra in quelle materie per cui ex lege la mediazione è obbligatoria, l'opponente oltre a promuovere la causa di opposizione deve anche tentare la conciliazione; in difetto, il Giudice potrebbe rilevare d'ufficio il vizio e dichiarare improcedibile l'opposizione, con la conseguenza che il decreto ingiuntivo diventerebbe definitivo.

Per altro verso, anche nelle materie non ricomprese tra quelle previste dall'art. 5 comma I D.L. 28/2010, la mediazione può diventare condizione di procedibilità della causa giudiziale attraverso lo strumento della cd. mediazione ex officio: se il Giudice decide di rimettere le parti dinnanzi ad un organismo di mediazione e queste non provvedono, all'atto della ripresa della causa, egli potrebbe anche dichiarare l'improcedibilità del contenzioso. Una modifica, quella che precede, che non pare affatto in sintonia con le finalità della mediazione, visto che le parti potrebbero essere del tutto esautorate dalla facoltà di poter disporre o meno della mediazione anche in quelle materie non ricomprese nell'art. 5 comma I.

Come si è detto, il termine per ultimare la mediazione è di tre mesi. La mancata adesione di una delle parti alla mediazione ovvero il mancato accoglimento senza giustificato motivo (da intendersi come motivo oggettivo) della soluzione proposta dal mediatore, può costituire argomento di prova da parte del Giudice, che in funzione di quanto precede ha il potere di condannare il soccombente anche al pagamento di una ulteriore somma corrispondente all'importo del C.U.


3) Le altre novità del Decreto Legge “del fare”.
Sono state inserite alcune modifiche al codice di procedura civile, e segnatamente (tra le tante) agli artt. 185 bis e 645-648 c.p.c.

L'art. 185 bis c.p.c. è una norma del tutto nuova, che fa seguito all'art. 185 c.p.c.: grazie a questo articolo s'introduce nel codice di procedura civile l'obbligo per il Giudice di formulare sin dalla prima udienza e fino all'udienza di precisazione delle conclusioni una proposta di conciliazione che deve essere messa a verbale; anche in questo caso, la mancata adesione senza giustificato motivo alla proposta di conciliazione formulata dal Giudice può essere valutata come argomento di prova ai fini della decisione finale; all'udienza fissata per la discussione della proposta non è obbligatoria la presenza delle parti, basta la presenza degli avvocati, che però devono avere ricevuto procura in tal senso.


All'art. 645 c.p.c. è ora previsto che, qualora l'opponente abbia fissato una prima udienza molto in là nel tempo e ben oltre i termini minimi di legge (con evidenti intenti dilatori) il convenuto / opposto può chiedere al Giudice (Presidente del Tribunale ovvero al G.I. se già nominato) l'anticipazione della prima udienza, ed il Giudice è tenuto a fissargliela non oltre il 30° giorno dal termine minimo a comparire (dunque entro e non oltre 120 gg. dalla notifica dell'atto di opposizione).

All'art. 648 c.p.c. è ora previsto obbligatoriamente che il provvedimento sulla richiesta di provvisoria esecutorietà del D.I. opposto deve essere adottato direttamente nel corso della prima udienza di trattazione dell'opposizione, cosa che imporrà ai Giudici di leggere attentamente le carte processuali già dai primissimi atti introduttivi, senza possibilità di avvalersi della cd. "riserva".

(a cura di Avv. Luca Conti)





L'ISTANZA DI VENDITA / ASSEGNAZIONE DEI BENI PIGNORATI





RIFERIMENTI NORMATIVI E FORMULARIO


Art. 529 c.p.c. (istanza di vendita o di assegnazione).
Decorso il termine di cui all'art. 501 c.p.c., il creditore pignorante ed ognuno dei creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo (art. 474 c.p.c.) possono chiedere la distribuzione del denaro e la vendita di tutti gli altri beni.
Dei titoli di credito e delle altre cose, il cui valore risulta dal listino di borsa o di mercato, possono chiedere anche l'assegnazione.
Al ricorso si deve unire il certificato d'iscrizione dei privilegi gravanti sui mobili pignorati.

Art. 530 c.p.c. (provvedimento per l'assegnazione o per l'autorizzazione della vendita). 
Sull'istanza di cui all'articolo precedente il giudice dell'esecuzione fissa l'udienza per l'audizione delle parti.
All'udienza le parti possono fare osservazioni circa l'assegnazione e circa il tempo e le modalità della vendita e debbono proporre, a pena di decadenza, le opposizioni agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.), se non sono già decadute dal diritto di proporle.
Se non vi sono opposizioni o se su di esse si raggiunge l'accordo delle parti comparse, il giudice dell'esecuzione dispone con ordinanza l'assegnazione o la vendita.
Se vi sono opposizioni il giudice dell'esecuzione le decide con sentenza e dispone con ordinanza l'assegnazione o la vendita.
Qualora ricorra l'ipotesi prevista dal secondo comma dell'art. 525 c.p.c. e non siano intervenuti creditori fino alla presentazione del ricorso, il giudice dell'esecuzione provvederà con decreto per l'assegnazione o la vendita; altrimenti provvederà a norma dei commi precedenti, ma saranno sentiti soltanto i creditori intervenuti nel termine previsto dal secondo comma dell'art. 525 c.p.c.
Il giudice dell'esecuzione può stabilire che il versamento della cauzione, la presentazione delle offerte, lo svolgimento della gara tra gli offerenti e l'incanto, ai sensi degli artt. 532, 534 e 534 bis c.p.c., nonché il pagamento del prezzo, siano effettuati con modalità telematiche.
In ogni caso il giudice dell'esecuzione può disporre che sia effettuata la pubblicità prevista dall'art. 490 secondo comma c.p.c., almeno dieci giorni prima della scadenza del termine per la presentazione delle offerte o della data dell'incanto.




TRIBUNALE DELLE ESECUZIONI DI ... omissis ...
G.E. dott. ... omissis ...

Istanza di vendita (o di assegnazione) dei beni pignorati


Nell'interesse di: TIZIO, nato a ... omissis ... il ... omissis ... e residente a ... omissis ... in proprio (ovvero) in qualità di legale rappresentante p.t. della società ... omissis ... con sede legale a ... omissis ... c.f. / p.i. ... omissis ... rappresentato e difeso dall’avvocato ... omissis ... del Foro di ... omissis ...  presso il cui Studio Legale a ... omissis ... è elettivamente domiciliato, giusta procura alle liti rilasciata in calce al presente atto su separato documento informatico ai sensi dell’art.83 comma III c.p.c.

Debitore esecutato: CAIO, nato a ... omissis ... il ... omissis ... e residente a ... omissis in proprio (ovvero) in qualità di legale rappresentante p.t. della società ALPHA avente sede legale a ... omissis ... c.f. / p.i. ... omissis ... 

*****
                                                       
Ill.mo Signor Giudice del Tribunale delle Esecuzioni di ... omissis ...

PREMESSO

1) che in data ... omissis ... veniva notificato al debitore esecutato un atto di precetto dd. ... omissis ... recante l’intimazione di pagare il credito complessivamente precettato pari ad € ... omissis ... in forza del titolo esecutivo costituito da ... omissis ...;

2) che nessun pagamento ha fatto seguito alla notifica del precetto;

3) che in data ... omissis ... veniva eseguito in località ... omissis ... un pignoramento mobiliare diretto sui beni del debitore;

4) che venivano assoggettati a pignoramento i beni mobili meglio descritti nell'allegato verbale di pignoramento dd. … omissis … per un valore complessivo stimato di € ... omissis ... ;

5) che per la soddisfazione del credito complessivamente precettato, oltre alla rifusione delle spese della procedura esecutiva, occorre procedere alla vendita dei beni pignorati.

*****

Tutto ciò premesso, il sottoscritto procuratore nella Sua qualità ut supra e ad istanza del creditore procedente come in atti meglio generalizzato, visti gli artt. 529 e ss. c.p.c. rivolge

ISTANZA

alla S.V. Ill.ma affinché, previa fissazione dell’udienza per la comparizione delle parti dinnanzi a Sé, voglia disporre la vendita dei beni pignorati, con espressa riserva di chiederne in quella sede l’assegnazione al creditore istante, previa verifica dello stato di conservazione / condizioni e stato di funzionamento dei suddetti.

Si allegano alla presente istanza:

1) Titolo esecutivo in originale;

2) Atto di precetto in originale;

3) Verbale di pignoramento mobiliare in originale.

Con riserva di ulteriormente dedurre produrre ed eccepire.

Per comunicazioni di Cancelleria e notificazioni: per ogni comunicazione si indica il numero di fax (+39) ... omissis ... ovvero l'indirizzo di posta elettronica certificata ... omissis ...

Con Osservanza.

Milano, lì ___ / ___ / 2019.

Avv. _________________

(a cura di Avv. Luca Conti)





martedì 29 ottobre 2019

RESPONSABILITA' SANITARIA: INFEZIONE NOSOCOMIALE E DIRITTO AL RISARCIMENTO DEL DANNO ALLA SALUTE





INFEZIONE NOSOCOMIALE E DIRITTO DEL PAZIENTE AL RISARCIMENTO DEL DANNO ALLA SALUTE

La RESPOSANBILITA’ SANITARIA trae origine da quello che viene comunemente definito come “CONTRATTO ATIPICO DI SPEDALITA”, che lega il paziente al professionista ovvero alla struttura sanitaria cui si è rivolto in cerca di cure.
Questo tipo di responsabilità sussiste ogni volta che viene dimostrato il NESSO CAUSALE tra la LESIONE DEL DIRITTO ALLA SALUTE del paziente e la condotta colposa od omissiva dell'operatore sanitario, in concomitanza o meno con le inefficienze e carenze di una struttura sanitaria.
Il concetto di RESPONSABILITA’ SANITARIA si riferisce, in particolare, alle azioni ovvero alle omissioni di un sistema più o meno complesso di persone, in cui il soggetto contrattualmente debole e che merita tutela è quello  destinatario di prestazioni mediche di ogni tipo (diagnostiche, preventive, ospedaliere, terapeutiche, chirurgiche, estetiche, assistenziali, ecc.) svolte da medici e personale con diversificate qualificazioni, quali infermieri, assistenti sanitari, tecnici di radiologia medica, tecnici di riabilitazione e così via.
Una delle più frequenti fonti di responsabilità in capo ad operatori e strutture sanitarie riguarda le cosiddette INFEZIONI NOSOCOMIALI (I.C.A.), ossia quelle infezioni che il paziente contrae durante la degenza in ospedale e che, secondo la prevalente letteratura scientifica, si manifestano in un arco di tempo che va da un minimo di 48h. fino ad un massimo di 30 gg. dal trattamento ricevuto.
Nell’ambito di una causa risarcitoria, il paziente che si rivolge all’Autorità Giudiziaria per chiedere il risarcimento del danno alla salute quale conseguenza di un’infezione nosocomiale, è tenuto a provare le seguenti circostanze:

a)     il contratto di spedalità intercorso con la struttura cui si è rivolto in cerca di cure;
b)    l’avere contratto un’INFEZIONE di tipo NOSOCOMIALE;
c)     il NESSO DI CAUSALITA’ tra l’ingiusto DANNO ALLA SALUTE e l’INESATTO ADEMPIMENTO (da parte dell’operatore e/o della struttura) delle obbligazioni assunte con la stipulazione del contratto di spedalità.

Sempre secondo la prevalente letteratura scientifica, uno dei primari e più comuni agenti infettivi presenti negli ospedali è lo STAPHYLOCOCCUS AUREUS : non si tratta di un batterio per così dire raro o particolare, quanto piuttosto da uno tra i più comuni, tanto da essere presente nella maggior parte dei soggetti adulti.
Se il batterio, che statisticamente provoca la maggior parte delle INFEZIONI NOSOCOMIALI è anche il più comune, significa che al di là dei protocolli scritti su carta, la struttura sanitaria è tenuta ad adottare ogni tipo di precauzione che la scienza mette a disposizione per prevenire ed evitare quanto possibile il propagarsi delle infezioni.

Pertanto, nell’ambito di una CAUSA CIVILE DI DANNO conseguente ad infezione nosocomiale, è primario dovere della struttura di FORNIRE LA PROVA LIBERATORIA del proprio buon operato, documentando di avere adottato qualsiasi misura utile che la scienza mette a disposizione per prevenire l’infezione; se questa prova liberatoria manca, secondo criteri probabilistici la struttura deve essere chiamata a rispondere dell’INGIUSTO DANNO ALLA SALUTE provocato al paziente.
Infatti, una volta accertato che l’origine dell’infezione è nosocomiale a seguito di perizia di parte o di accertamento tecnico preventivo, alla luce dei principi che regolano la ripartizione dell’onere probatorio, incombe solo sulla struttura sanitaria la prova di avere adottato tutte le misure utili a garantire la corretta sanificazione dell’ambiente, ossia provare che l’infezione non rientrava più tra le complicanze prevedibili ed evitabili.

E non è sufficiente affermare, da parte della struttura, di aver eseguito la profilassi e di aver provveduto a sterilizzare gli ambienti e/o gli strumenti medici.
La prevenzione delle infezioni ospedaliere richiede, infatti, un sistema integrato, che prevede una serie di interventi multidisciplinari e multifattoriali che va ben oltre la sola somministrazione della profilassi antibiotica e sterilizzazione delle sale operatorie, quali ad esempio: a) riduzione della trasmissione dei microrganismi fra pazienti nei reparti durante l’assistenza diretta avvalendosi di adeguato lavaggio delle mani, uso di guanti, dispositivi di protezione individuale e pratica asettica appropriata, strategie di isolamento, pratiche di sterilizzazione e disinfezione, e lavanderia; b) controllo del rischio di infezione e igiene ambientale; c) protezione dei pazienti con utilizzo appropriato della profilassi antibiotica, nutrizione e vaccinazione; d) limitazione del rischio di infezioni endogene riducendo le procedure invasive e promozione dell’uso degli antibiotici; e) sorveglianza delle infezioni; f) identificazione e controllo delle epidemie; g) prevenzione delle infezioni negli operatori sanitari; h) miglioramento nelle pratiche di assistenza; i) educazione continua dei sanitari con mirati interventi di aggiornamento professionale in questo campo.

Si può - pertanto - affermare che, ove manchi la PROVA LIBERATORIA delle suesposte circostanze, la struttura sanitaria deve essere ritenuta RESPONSABILE DEL DANNO ALLA SALUTE DEL PAZIENTE e condannata a risarcirne il danno subito.

 A conforto di quanto sopra esposto la prevalente giurisprudenza afferma che  (…) è ascrivibile alla struttura sanitaria la responsabilità per infezione nosocomiale contratta dal paziente nel corso di un intervento chirurgico, con conseguente obbligazione risarcitoria di tutte le conseguenze negative occorse al paziente per il peggioramento delle proprie condizioni di salute, per effetto della contrazione della predetta infezione (…) ed ancora (…) una volta accertato che il paziente ha contratto una infezione di tipo nosocomiale, in virtù dei principi che regolano la ripartizione dell’onere della prova incombe sulla struttura ospedaliera l’onere di provare di avere adottato tutte le misure utili e necessari ad evitare la contaminazione del paziente (…)(Trib. Milano Sez. I dd. 12/05/20415 n.5984; Trib. Roma, Sez. XIII, dd. 26/11/2014; Tribunale di Roma, Sez. XIII, dd. 27/09/2018).


(a cura di avv. Luca Conti)

venerdì 25 ottobre 2019

DIVORZIO: PAGAMENTO DIRETTO DELL'ASSEGNO DIVORZILE O DI MANTENIMENTO DA PARTE DEL DATORE DI LAVORO





COSA FARE SE L’EX CONIUGE NON PAGA

L’ASSEGNO DIVORZILE O

L’ASSEGNO DI MANTENIMENTO PER I FIGLI



Il divorzio è l’istituto giuridico che consente ai coniugi di sciogliere il vincolo matrimoniale, sia esso civile oppure religioso, ed è regolato dalla legge n.898 del 01/12/1970.

Il coniuge economicamente più disagiato, che non sia in grado per comprovate difficoltà oggettive di garantirsi autonomamente i mezzi di sostentamento, può rivolgere al Tribunale la domanda di corresponsione del ASSEGNO DIVORZILE ai sensi dell’art. 5 comma 6 della legge 898/1970, mentre ai sensi del successivo art. 6 legge 898/1970 può fare domanda di corresponsione del ASSEGNO DI MANTENIMENTO in favore dei figli non economicamente autosufficienti.

L’attribuzione all’ex coniuge dell’assegno divorzile è regolata dall’art.5 comma 6 della legge 898/1970:con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”.

L'attribuzione ai figli dell'assegno di mantenimento è invece regolata dall'art.6 delle legge 898/1970: " l'obbligo ai sensi degli artt. 315 bis e 316 bis c.c. di mantenere, educare ed istruire i figli nati o adottati durante il matrimonio di cui sia stato pronunciato lo scioglimento o la cessazione degli effettivi civili permane anche nel caso di passaggio a nuove nozze di uno o di entrambi i genitori. Il Tribunale che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio applica riguardo ai figli le disposizioni contenute nel capo II del titolo IX libro primo del Codice Civile". 

Tanto detto, quale rimedio ha a propria disposizione il beneficario dell'assegno contro l'inadempimento dell'obbligato?

Ai sensi dell'art. 8 comma 3 legge 898/1970 il beneficiario dell'assegno divorzile o di mantenimento per i figli può "invitare" il datore di lavoro dell'obbligato a pagarglielo direttamente, prelevandolo dalla busta paga nel limite massimo del 50% della stessa.

A questo fine si deve osservare la seguente procedura:

1) il beneficiario, tramite il proprio avvocato, deve prima costituire in mora il debitore principale (l'ex coniuge inadempiente) tramite lettera raccomandata A/R.

2) A fronte del protrarsi dell'inadempimento per almeno 30 gg., il beneficiario dell'assegno notifica al datore di lavoro - tramite il proprio avvocato -  l'invito previsto dall'art. 8 legge 898/1970 unitamente alla copia conforme del provvedimento che dispone l'assegno divorzile o di mantenimento per i figli, concedendo al datore di lavoro il termine di 15 gg. per procedere al pagamento. Di detto invito deve essere data comunicazione all'obbligato principale, ma a parere dello scrivente avvocato sarebbe più opportuno procedere ad una doppia notifica dell'invito.

3) Se anche il datore di lavoro si sottrae al pagamento diretto, il beneficiario ha un'azione esecutiva diretta nei suoi confronti, tramite pignoramento. Prima di procedere in tal senso occorre, però, notificare al datore di lavoro copia del provvedimento che dispone l'assegno munita di formula esecutiva e pedissequo atto di precetto.

4) Si discute in dottrina se l'invito di cui all'art. 8 riguardi solo le sentenze pronunciate all'esito della causa di divorzio, o anche altri provvedimenti (ordinanze e decreti) resi in itinere: nel silenzio della legge che si limita a parlare di "provvedimenti", la risposta sembrerebbe affermativa, anche perché scopo della norma in parola è quella di offrire al beneficario dell'assegno la più rapida tutela per via stragiudiziale a fronte dell'inadempimento da parte dell'ex coniuge.



INVITO AL DATORE DI LAVORO
ai sensi dell’art.8 co.3 legge 898/70 e ss. mm.

Creditrice istante: TIZIA, nata a … omissis … il … omissis … e residente a … omissis … C.F. … omissis … , rappresentata e difesa dall’Avv. … omissis … presso il cui Studio Legale è elettivamente domiciliata, giusta procura alle liti rilasciata in calce al ricorso per lo scioglimento del matrimonio di data … omissis …

Debitore obbligato: CAIO, nato a … omissis … il … omissis … e residente a … omissis … C.F. … omissis …

Terzo datore di lavoro: società GAMMA SRL, in persona del legale rappresentante p.t., con sede legale a … omissis … , p.i. … omissis …

Provvedimento A.G.: sentenza divorzio n. … di data … omissis … (oppure) ordinanza di data … omissis … pronunciata nella causa di divorzio sub RG … omissis …

PREMESSO

1) che col retroesteso provvedimento del Tribunale di … omissis … n…. di data … omissis … pronunciato nella causa per divorzio sub RG … omissis …, il Giudice stabiliva un assegno divorzile a favore di TIZIA pari ad € … omissis … mensili ed un assegno di mantenimento per i figli non economicamente autosufficienti pari a complessivi € … omissis … mensili;

2) che pertanto il totale da pagare mensilmente ammonta ad € … omissis …;

3) che a fronte dell’inadempimento dell’obbligato CAIO, in data … omissis … il sottoscritto procuratore lo costituiva in mora tramite lettera raccomandata A/R n. … omissis …  ricevuta il … omissis …, intimandogli il pagamento del dovuto entro e non oltre 30 gg.;

4) che a tutt’oggi la morosità persiste;

5) che ai sensi dell’art.8 co.3 della legge 898/70 e ss. mm. la beneficiaria dell’assegno divorzile e/o di mantenimento per i figli non economicamente autosufficienti può rivolgersi direttamente al datore di lavoro per ottenere la rimessa diretta di quanto dovuto in forza del titolo accluso al presente invito, entro i limiti consentiti dalla legge pari al 50% della retribuzione.

Tutto ciò premesso, TIZIA come in epigrafe meglio generalizzata, rappresentata, difesa e domiciliata ut supra

INVITA

la società GAMMA SRL, in persona del legale rappresentante p.t., con sede legale a … omissis …, p.i. … omissis …, a corrispondere direttamente alla medesima istante quanto stabilito nell’accluso provvedimento del Tribunale di … omissis …  entro i limiti consentiti dalla legge, assegnando al terzo il termine di 15 gg. dal ricevimento del presente invito per l’adempimento, con avvertenza che in difetto di pagamento nel termine assegnato si procederà ad esecuzione forzata ai sensi di legge.

Milano (MI), lì ____________ 2019.
Avv. ________________________

(a cura di avv. Luca Conti)