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venerdì 24 novembre 2023

CONSULENZA E ASSISTENZA STRAGIUDIZIALE: IL COMPENSO DELL'AVVOCATO

 





IL COMPENSO DELL'AVVOCATO PER LA CONSULENZA E L'ASSISTENZA STRAGIUDIZIALE

 

Particolarmente dibattuta e spesso fonte di controversie tra avvocati e clienti è la questione relativa al diritto al compenso maturato per l’attività stragiudiziale, ossia quella che viene svolta nell’interesse della parte assistita al di fuori di un contenzioso giudiziario, civile o penale.

Vediamo di fare un po’ di chiarezza.

Anzitutto, trattandosi di una prestazione d’opera intellettuale, il diritto al compenso dovuto all’avvocato è regolato in primis dall’art. 2233 c.c., a tenore del quale “il compenso, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice, sentito il parere dell’associazione professionale a cui il professionista appartiene. In ogni caso, la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione”.

Ne segue che il primo criterio per determinare il compenso è l’accordo (se precedentemente stipulato) tra avvocato e parte assistita, in assenza del quale il giudice investito della relativa controversia dovrà fare riferimento ai cosiddetti “parametri forensi” regolati dal D.M. n.55/14 (oggi aggiornato al D.M. n.147 del 13/08/2022), agli usi ed infine al parere dell’associazione professionale cui l’avvocato appartiene.

Quanto alla prova del conferimento dell’incarico, erroneamente taluni ritengono che l’omessa sottoscrizione del “contratto di mandato” escluda il diritto al compenso.

Al contrario, la parte assistita è tenuta a pagare comunque all’avvocato il compenso maturato per l’attività di assistenza e consulenza stragiudiziale, anche quando questa non sia strettamente connessa a quella successiva giudiziale, non essendo necessaria per la sua liquidazione la sottoscrizione di un contratto ad hoc.

Ed infatti, mentre per la liquidazione del compenso maturato nella fase giudiziale occorre il conferimento da parte del cliente della cosiddetta “procura alle liti”, per l’espletamento dell’attività stragiudiziale il conferimento dell’incarico può essere dato in qualsiasi forma idonea a manifestare la volontà della parte assistita di ricorrere all’attività del professionista: addirittura per l’avvocato è ammessa la prova del conferimento dell’incarico per mezzo di testimoni o ricorrendo a presunzioni semplici.

Anche una semplice mail spedita dalla parte assistita all’avvocato può costituire la prova documentale del conferimento dell’incarico.

In quest’ambito la giurisprudenza dei tribunali territoriali e della Corte di Cassazione ha chiarito che (…) il mandato professionale per l’espletamento di attività professionale stragiudiziale non deve essere provato necessariamente con la forma scritta ad substantiam ovvero ad probationem, potendo essere conferito in qualsiasi forma idonea a manifestare il consenso delle parti e potendo il giudice ammettere l’interessato a provare anche per testimoni sia il contratto, sia il suo contenuto (…) (Cass. Civ., Sez. I, sent. n.4705 dd. 25/02/2011; Cass. Civ., Sez. VI, ord. n.3968/17 dd. 14/02/2017; Cass. Civ., Sez. I, ord. n.29614 dd. 16/11/2018; Cass. Civ., Sez. VI, ord. n.3506 dd. 12/02/2020; Corte d’Appello Roma, Sez. III, sent. n.1070 dd. 15/03/2011; Trib. di Trento, Sez. di Cavalese, sent. n.7 dd. 05/02/2013).

Ed ancora: “(…) il rapporto di prestazione d’opera professionale, la cui esecuzione sia dedotta dal professionista come titolo del diritto al compenso, postula l’avvenuto conferimento del relativo incarico in qualsiasi forma idonea a manifestare inequivocabilmente la volontà di avvalersi della sua attività e della sua opera da parte del cliente convenuto per il pagamento di detto compenso. In caso di contestazione del diritto al compenso, la prova dell’avvenuto conferimento dell’incarico può essere data dall’attore con ogni mezzo istruttorio, anche per presunzioni, mentre compete al giudice di merito valutare se, nel caso concreto, questa prova possa o meno ritenersi fornita (…)” (Corte d’Appello di Milano, Sez. II, sent. dd. 19/10/2017).

Ad abundantiam: “(…) in tema di attività professionale svolta da avvocati il mandato sostanziale costituisce un negozio bilaterale (cosiddetto contratto di patrocinio) con il quale il professionista viene incaricato, secondo lo schema negoziale che è proprio del mandato, di svolgere la sua opera professionale in favore della parte. Ne consegue che, ai fini della conclusione del contratto di patrocinio, non è indispensabile il rilascio di una procura ad litem, essendo questa necessaria solo per lo svolgimento dell’attività processuale, e che non è richiesta la forma scritta, vigendo per il mandato il principio di libertà di forma (…) (Cass. Civ., Sez. II, dd. 16/06/2006, n.13963; Cass. Civ., Sez. II, dd. 18/07/2002, n.10454).

Altrettanto erroneamente taluni ritengono che l’omessa consegna alla parte assistita del preventivo scritto costituisca un giustificato motivo per escludere il diritto al compenso.

Anche qui bisogna fare chiarezza partendo dal dato normativo.

L’art. 27 comma 2 del Codice Deontologico Forense dispone che “l’avvocato deve informare il cliente e la parte assistita sulla prevedibile durata del processo e sugli oneri ipotizzabili; deve inoltre, se richiesto, comunicare in forma scritta, a colui che conferisce l’incarico professionale, il prevedibile costo della prestazione”.

Che cosa accade, allora, se il professionista non rilascia il preventivo al cliente che gliene ha fatto richiesta?

Attualmente non esiste una norma chiara, di tipo sanzionatorio, che preveda specifiche conseguenze se non viene rilasciato il preventivo precedentemente richiesto; attualmente esistono due orientamenti in giurisprudenza che si possono riassumere così:

a) un primo orientamento ritiene che l’assenza del preventivo determini la nullità del contratto tra parte assistita e professionista, col conseguente venir meno del diritto al compenso;

b) un secondo orientamento ritiene, invece, che l’assenza del preventivo non incide sulla validità del contratto e sul diritto al compenso.

A parere di chi scrive, in assenza di una specifica norma sanzionatoria e visto il tenore letterale dell’art. 27 comma 2 del C.d.F. sopra citato, anche in assenza del preventivo il contratto tra professionista e parte assistita resta valido, ragion per cui nel caso di una controversia la determinazione del compenso dovrà avvenire da parte dell’Autorità Giudiziaria applicando i parametri medi di cui al D.M. 55/14 e ss. mm.

Infine, quale strada deve percorrere l’avvocato per ottenere dall’Autorità Giudiziaria la liquidazione del compenso maturato per l’attività stragiudiziale e la condanna al pagamento a carico della parte assistita?

Per l’attività di assistenza e consulenza stragiudiziale le strade alternative sono due:

1)     ricorso per ingiunzione di pagamento in presenza di un riconoscimento di debito della parte assistita ovvero previo parere di congruità della parcella, espresso dal consiglio dell’ordine di appartenenza dell’avvocato;

2)     ricorso secondo il nuovo rito semplificato (artt. 281 undecies e ss. c.p.c., Riforma Cartabia) indirizzato al Giudice di Pace ovvero al Tribunale nel cui circondario risiede la parte assistita (foro del consumatore), a seconda del valore di lite controverso.

Invece, Per l’attività giudiziale l’avvocato ha sempre due possibili strade alternative tra loro:

1)     ricorso per ingiunzione di pagamento in presenza di un riconoscimento di debito della parte assistita ovvero previo parere di congruità della parcella espresso dal consiglio dell’ordine di appartenenza dell’avvocato;

2)      ricorso “speciale” disciplinato dagli artt. 3, 4 e 14 del D. Lgs. n.150/2011 da indirizzare all’ufficio giudiziario che per ultimo (in caso di più gradi di giudizio) ha conosciuto la causa dalla quale la lite sul compenso trae origine.

A tale ultimo riguardo, la Corte di Cassazione (sent. n. 4485 del 2018 e n. 4247 del 2020) ha affermato che in seguito all'introduzione dell'art. 14 del D.lgs. n.150/2011, le controversie previste dall’art. 28 della Legge n.794/1942 e l'opposizione proposta a norma dell'art. 645 c.p.c. contro il decreto ingiuntivo inerente onorari, diritti o spese degli avvocati, sono regolate dal rito sommario di cognizione di cui al citato decreto.

La competenza appartiene all’ufficio giudiziario presso il quale l’avvocato ha svolto la propria opera, salvo che prevalga il foro del consumatore.

Addirittura, la Corte di Cassazione con la sent. n.8929 del 29/03/2023 ha affermato che il Giudice di Pace, adito per il processo in cui l'avvocato ha prestato la propria opera, è competente a decidere le controversie in materia di liquidazione degli onorari previste dall’art. 28 della L. n. 794 del 1942, secondo il rito di cui all’art. 14 del D.Lgs. n. 150 del 2011, in quanto la riserva di collegialità non costituisce un tratto essenziale di questo procedimento, come del resto conferma la scelta in favore del tribunale in composizione monocratica, operata con il D.Lgs. n. 149/2022, che ha modificato la formulazione dell’art. 14, secondo comma del D. lgs. n. 150/2011.

 

(a cura di Avv. Luca Maria Conti)


martedì 29 dicembre 2020

CONDOMINIO: LE DELIBERE ASSEMBLEARI NULLE

 





CONDOMINIO

LE DELIBERE ASSEMBLEARI NULLE

 

 

 

All’annullamento delle delibere assembleari provvede l’art. 1137 c.c., secondo il quale contro le delibere assembleari che violano la legge o il regolamento di condominio può essere promossa impugnazione dal condomino assente, da quello presente ma dissenziente, oppure ancora da quello presente ed astenuto.

 

Il termine per impugnare la delibera assembleare è di 30 gg. nei casi “delibera annullabile”, mentre è imprescrittibile (e dunque può essere proposto in ogni tempo) l’impugnazione delle “delibere nulle”.

 

Il termine di 30 gg. per l’impugnazione delle delibere annullabili decorre per i condomini presenti in assemblea dal giorno stesso in cui l’assemblea si è tenuta, mentre per gli assenti decorre dal giorno in cui la delibera gli è stata comunicata, momento che di regola coincide con la consegna da parte dell’amministratore del verbale d’assemblea tramite lettera raccomandata, tramite p.e.c. oppure tramite plico depositato in portineria.

 

Ma come distinguere tra delibere “nulle” e delibere “annullabili”?

 

In linea di massima sono sicuramente “nulle” le delibere che perseguono un oggetto illecito o impossibile, oppure che violano norme imperative esorbitando i poteri dell’assemblea siccome individuati dall’art. 1135 c.c.

 

Viceversa sono considerate “annullabili” quelle delibere che, pur violando la legge o il regolamento di condominio, sono state adottate in materie su cui l’assemblea era legittimata ad esprimere il proprio voto.

 

Vediamo di seguito alcuni casi pratici di NULLITA’, ossia di delibere che il condomino assente oppure presente ma dissenziente (o astenuto) può impugnare in qualsiasi tempo, senza incorrere in alcuna decadenza.

 

 

Cass. civ. Sez. VI - 2 Ord., 08/06/2020, n. 10845

E' nulla la delibera dell'assemblea di condominio che ratifichi una spesa assolutamente priva di inerenza alla gestione condominiale, come, ad esempio, quella che concerne la manutenzione di beni di proprietà esclusiva dei singoli condomini, quali ad esempio i balconi, che appartengono al proprietario dell’appartamento cui ineriscono e non al condominio.

 

Cass. civ. Sez. II, 30/08/2019, n. 21909

E’ nulla la delibera dell'assemblea che approva l'installazione dell'ascensore che non raggiunga l'ultimo piano, in quanto gli impedisce un uso pieno di una parte comune ed incide anche sul valore della sua proprietà esclusiva.

 

 

Cass. civ. Sez. II, 13/06/2019, n. 15932

E' nulla la delibera assembleare che addebita le spese di riscaldamento ai condomini proprietari di locali, che non sono serviti dall'impianto di riscaldamento centralizzato.

 

Cass. civ. Sez. II, 16/04/2019, n. 10586

E’ nulla, anche se assunta all'unanimità dei condomini, la delibera che modifichi il criterio legale di ripartizione delle spese stabilito dall'art. 1126 c.c., senza che i condomini abbiano manifestato l'espressa volontà di stipulare un negozio dispositivo dei loro diritti in tal senso, mentre la delibera che – invece - ha ripartito le spese in modo errato è solo annullabile.

 

Cass. civ. Sez. II Sent., 31/08/2017, n. 20612 (rv. 645238-02)

E’ nulla la delibera condominiale che accerti, a maggioranza e non all’unanimità, l'ambito dei beni comuni e l'estensione delle proprietà esclusive in deroga all'articolo 1117 c.c., perché inidonea a comportare l'acquisto a titolo derivativo di tali diritti, occorrendo al contrario l'accordo di tutti i comproprietari espresso in forma scritta.

 

Cass. civ. Sez. II Sent., 04/08/2017, n. 19651 (rv. 645851-01)

E’ nulla la delibera condominiale che, adottata a maggioranza ed in deroga al criterio legale di ripartizione delle spese (criterio basato sul consumo effettivo oppure sulle tabelle millesimali), ripartisca in parti uguali quelle di esercizio dell'impianto di riscaldamento centralizzato per impossibilità dell'oggetto, giacché tale statuizione eccede le attribuzioni dell'assemblea e pertanto richiede, per la propria approvazione, l'accordo unanime di tutti i condomini, quale espressione della loro autonomia negoziale.



Cass. civ. Sez. II, 23/03/2016, n. 5814

È nulla, anche se assunta all'unanimità dei presenti votanti, la delibera dell'assemblea condominiale che modifichi il criterio legale di ripartizione delle spese di riparazione del lastrico solare come stabilito dall'art. 1226 c.c., in assenza di espressa manifestazione, da parte dei condomini, della volontà di stipulare un negozio dispositivo dei loro diritti in tal senso.

 

Cass. civ. Sez. II, 09/10/2014, n. 21343

Va ritenuta nulla la delibera condominiale che, ancorché approvata all'unanimità, ponga a carico del condominio le spese di rifacimento dei balconi, che costituiscono opere di natura individuale e non comuni.

 

 

Cass. civ. Sez. II Sent., 30/04/2013, n. 10196

È nulla la delibera dell'assemblea di condominio adottata a maggioranza dei presenti, che stabilisca il tasso degli interessi moratori a carico dei condomini in caso di omesso o ritardato pagamento degli oneri condominiali, potendo una siffatta disposizione essere inserita soltanto in un regolamento condominiale di natura contrattuale, approvato all'unanimità e non a maggioranza.

 

 

Cass. civ. Sez. II, 24/07/2012, n. 12930

E’ nulla la delibera assembleare di installazione dell'impianto di ascensore, approvata ed adottata nell'interesse comune, allorché essa implichi la violazione dei diritti anche di un solo condomino sulle parti di sua esclusiva proprietà.


Cass. civ. Sez. II Sent., 24/07/2012, n. 12930 (rv. 623476)

E’ nulla la delibera assembleare, la quale ancorché adottata con la maggioranza prevista dalla legge in materia di “superamento delle barriere architettoniche all’interno di edifici privati” (nella specie, l'installazione di un impianto di ascensore nell'interesse comune), sia lesiva dei diritti di un condomino sulle parti di sua proprietà esclusiva, in quanto vietata dall’art. 1120 c.c.

 

Cass. civ. Sez. VI, 03/04/2012, n. 5331

E’ nulla, per violazione del diritto individuale del singolo condomino sulle parti comuni dell’edificio, la delibera assembleare che vieti al predetto condomino di rinunziare all'uso del riscaldamento centralizzato e di distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall'impianto termico comune, fermo il suo obbligo di pagamento delle spese per la conservazione dell'impianto.

 

Cass. civ. Sez. II Sent., 10/08/2009, n. 18192 (rv. 609155)

E’ nulla la delibera dell'assemblea di condominio che ratifichi una spesa assolutamente priva di inerenza alla gestione condominiale, senza che possa aver rilievo in senso contrario il fatto che la spesa sia modesta in rapporto all'elevato numero di condomini e all'entità complessiva del rendiconto.

 

Cass. civ. Sez. II, 25/01/2007, n. 1626 (rv. 595735)

E’ nulla, per impossibilità dell'oggetto, la delibera condominiale che pregiudichi la sicurezza del fabbricato mediante la copertura di spazi comuni aventi la destinazione di areare le unità immobiliari dei singoli condomini che su di esso prospettano, senza l'adozione di misure sostitutive atte ad assicurare un ricambio d'aria adeguato alle necessità anche potenziali di dette unità.

 

Cass. civ. Sez. II, 17/07/2006, n. 16228 (rv. 591439)

Poiché il diritto di ciascun condomino sulle parti di proprietà comune può trovare limitazioni soltanto in forza del titolo di acquisto o di convenzioni, la delibera assembleare che, nel destinare un'area comune a parcheggio di autovetture, ne disciplini l'uso escludendo uno dei condomini, è nulla se il relativo verbale non è sottoscritto da tutti i condomini, atteso che la relativa determinazione, modificando il regolamento condominiale, produce vincoli di natura reale su beni immobili ed è, pertanto, soggetta all'onere della forma scritta "ad substantiam".

 

Cass. civ. Sez. III, 24/05/2004, n. 9981

E’ nulla la delibera condominiale che persegua un determinato scopo nell'interesse comune o per adempiere a un obbligo di legge ma in violazione del diritto di proprietà esclusivo del singolo condomino.

 

Cass. civ. Sez. II, 06/12/2001, n. 15476

La clausola del regolamento consortile che preveda la partecipazione all'assemblea del super-condominio non già dei singoli condomini, ma dei delegati designati per ciascun esercizio dall'assemblea di ciascun condominio facente parte del complesso, è nulla, ai sensi del combinato disposto degli art. 1138, ultimo comma, e 1136 c.c., con conseguente nullità delle delibere adottate dall'assemblea consortile in tal modo costituita.

 

Cass. civ. Sez. II, 22/12/1999, n. 14461

E' nulla la delibera condominiale se la convocazione non indica il luogo di riunione ed esso è assolutamente incerto per la legittima aspettativa dei medesimi di un luogo diverso dal solito stante l'assoluta inidoneità di quest'ultimo. Infatti, in mancanza di indicazione nel regolamento condominiale della sede per le riunioni assembleari, l'amministratore ha il potere di scegliere quella più opportuna, ma con il duplice limite che essa sia nei confini della città ove è ubicato l'edificio e che il luogo sia idoneo, fisicamente e moralmente, a consentire a tutti i condomini di esser presenti e di partecipare ordinatamente alla discussione.

 

 

 

(a cura di Avv. Luca Conti)




giovedì 3 settembre 2020

INADEMPIMENTO CONTRATTUALE ED ESECUZIONE IN FORMA SPECIFICA

 







L’ESECUZIONE SPECIFICA DELL’OBBLIGO DI

CONCLUDERE UN CONTRATTO

 

Capita spesso che le parti di un contratto, che non hanno interesse a concluderlo immediatamente, si accordino a grandi linee sull’affare per differirne in un secondo momento il prodursi degli effetti definitivi.

Si pensi, per esempio, ai contratti che trasferiscono da un soggetto all’altro diritti reali su beni mobili o immobili: in una compravendita immobiliare le parti possono stipulare un CONTRATTO PRELIMINARE (art. 1351 c.c.) per fissare i punti fondamentali dell’affare (oggetto della cessione, prezzo di vendita, modalità di pagamento e tempi di consegna), rinviando ad un momento successivo la stipula del rogito.

Nel caso appena descritto si suole dire che le parti si obbligano, l’una verso l’altra, a concludere il contratto di compravendita, l’una a pagare il prezzo pattuito per l’acquisto e l’altra a trasferirne il diritto di proprietà consegnandola al promissario acquirente.

Siamo, dunque, in presenza di un doppio step: un CONTRATTO PRELIMINARE che produce solo EFFETTI OBBLIGATORI, ed un ROGITO che produce EFFETTI REALI, ossia il trasferimento da Tizio a Caio del diritto di proprietà o di un altro diritto reale su un determinato bene verso il pagamento di un corrispettivo in denaro.

L’obbligo di concludere in un secondo momento un CONTRATTO DEFINITIVO con effetti reali può discendere da un CONTRATTO PRELIMINARE, piuttosto che da un altro ACCORDO o COMPROMESSO sotto forma di SCRITTURA PRIVATA avente contenuti obbligatori.

Ma cosa accade quando una parte, senza giustificato motivo, si rifiuta di adempiere alla propria obbligazione? Che cosa accade se, a fronte dell’offerta di pagare il prezzo pattuito per l’acquisto, il promittente venditore non si presenta al rogito per la firma?

Anzitutto, poiché di INADEMPIMENTO CONTRATTUALE si tratta, la parte non inadempiente ha diritto di chiedere la RISOLUZIONE DEL CONTRATTO ed il RISARCIMENTO DEL DANNO (art. 1453 c.c.) che ha subito in conseguenza dell’inadempimento dell’altra parte.

Alternativamente il Codice Civile e segnatamente l’art. 2932 c.c. pone a tutela del promissario acquirente un ulteriore strumento: L’ESECUZIONE SPECIFICA DELL'OBBLIGO DI CONCLUDERE UN CONTRATTO.

Da quanto sopra emerge chiaramente che la parte non inadempiente non può esercitare entrambe le azioni, bensì l’una alternativamente all’altra: o si chiede il risarcimento del danno quale diretta conseguenza della risoluzione del contratto, oppure si domanda l’esecuzione in forma specifica.

Recita l’art. 2932 c.c.: se colui che si è obbligato a concludere un contratto non adempie l’obbligazione, l’altra parte qualora sia possibile e non sia escluso dal titolo può ottenere una sentenza di condanna che produca i medesimi effetti del contratto non concluso.

Quindi, nel caso di inadempimento di una delle parti rispetto a quanto stabilito nel contratto preliminare, l’altra parte può fare ricorso all’art. 2932 c.c. e chiedere al Tribunale che pronunci una SENTENZA COSTITUTIVA a sua volta produttiva degli stessi effetti del contratto non concluso: nella sostanza si tratta di promuovere un giudizio ordinario di cognizione, all’esito del quale il Tribunale pronuncerà una sentenza con cui - per esempio - trasferisce al promissario acquirente il diritto di proprietà su di un bene del promittente venditore, che non aveva adempiuto alla propria obbligazione di cederglielo.

Si parla - appunto - di SENTENZA COSTITUTIVA perché va a costituire, modificare od estinguere un rapporto giuridico tra le parti di un contratto ovvero tra i loro eredi o aventi causa.

Affinché la domanda di ESECUZIONE SPECIFICA ex art. 2932 c.c. promossa dalla parte non inadempiente sia accolta dal Tribunale occorre che ricorrano tre requisiti:

1)     Che la parte non inadempiente abbia eseguito o promesso di eseguire la propria prestazione;

2)     Che il pronunciamento di una sentenza costitutiva sia possibile (perché è bene evidente che se nel frattempo l’oggetto del contratto è perito ovvero è stato ceduto a terzi, non se ne potrà più domandare l’esecuzione in forma specifica);

3)     Che il rimedio previsto dall’art. 2932 c.c. non si escluso dal titolo (per esempio, non si può fare ricorso a questo rimedio se nel contratto preliminare le parti hanno espressamente escluso di fare ricorso a questo strumento).

 

Quanto al requisito sub n.2 occorre però fare delle precisazioni.

Se l’oggetto del contratto era un bene mobile registrato (autoveicolo, motoveicolo, imbarcazione, nave, etc.) ovvero un bene immobile e si è proceduto alla REGISTRAZIONE DEL CONTRATTO PRELIMINARE, i diritti del promissario acquirente prevarranno sui diritti eventualmente acquisiti da terzi e pertanto potrà essere validamente esperito il rimedio previsto dall’art. 2932 c.c.

Se, invece, il contratto preliminare NON è stato registrato, allora prevarranno i diritti acquisiti da terzi e trascritti in epoca successiva al preliminare, ma antecedente alla domanda giudiziale ex art. 2932 c.c., sicché alla parte non inadempiente non resterà che chiedere il solo RISARCIMENTO DEL DANNO.

Inoltre, ai fini dell’accoglimento della domanda di ESECUZIONE SPECIFICA ex art. 2932 c.c. è necessario che entrambe le parti contraenti avessero la capacità legale di concludere un contratto.

L’incapacità legale di contrarre esattamente come l’assenza della forma richiesta ex lege per stipulare un determinato contratto (art. 1351 c.c.) pregiudicano il ricorso alla tutela prevista dall’art. 2932 c.c.

L’incapacità di contrarre subentrata in epoca successiva alla stipulazione del CONTRATTO PRELIMINARE non integra invece un’ipotesi di impossibilità sopravvenuta della prestazione ed in caso di inadempimento di una delle parti la parte non inadempiente potrà fare validamente ricorso alla tutela prevista dall’art. 2932 c.c.

Inoltre, NON è possibile fare ricorso all’esecuzione in forma specifica, quando il contratto preliminare non determina in modo chiaro ed analitico tutti gli aspetti essenziali di quello che sarà il contenuto del contratto definitivo (ad esempio, nella compravendita immobiliare devono essere precisamente indicati l’oggetto, il prezzo di vendita, le modalità di pagamento ed il tempo della consegna del bene), nei contratti con effetti reali (il rimedio è esperibile solo limitatamente ad accordi negoziali producenti un effetto obbligatorio), ed infine quando la prestazione è divenuta materialmente o giuridicamente impossibile.

In tali ultimi casi la parte non inadempiente potrà solo domandare la risoluzione del contratto ed il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1453 c.c.

Qualora il rimedio previsto dall’art. 2932 c.c. sia materialmente e giuridicamente possibile e non escluso dal titolo, la domanda giudiziale finalizzata all’ottenimento di una sentenza costitutiva dovrà essere trascritta nei pubblici registri ai sensi dell’art. 2652 c.c. tutte le volte che ha per oggetto i diritti menzionati dall’art. 2643 c.c. La trascrizione assolve - come spiegato sopra - lo scopo di evitare che nel tempo occorrente per ottenere la citata sentenza costitutiva soggetti terzi possano acquisire validamente dei diritti sul bene rivendicato e così rendere del tutto inutile la promossa azione di ESECUZIONE IN FORMA SPECIFICA.

(a cura di Avv. Luca Conti)




venerdì 28 agosto 2020

CONTRATTO DI COMODATO E SPESE STRAORDINARIE







CONTRATTO DI COMODATO E SPESE STRAORDINARIE

A CHI NE COMPETE IL PAGAMENTO?

 

 

 

Il contratto di comodato è un contratto tipico, disciplinato dagli artt. 1803 e ss. del Codice Civile.

 

E’ un contratto essenzialmente gratuito, in base al quale il comodante consegna un bene mobile o immobile al comodatario, affinché questi se ne serva per un determinato tempo secondo la sua propria destinazione economica. Il periodo di tempo può essere stabilito nel contratto oppure può essere a tempo indeterminato, nel qual caso però il comodatario sarà tenuto a restituire il bene non appena il comodante gliene fa richiesta.

 

Il contratto di comodato non richiede la forma scritta anche quando ha per oggetto un bene immobile e non necessita di registrazione; la forma scritta, tuttavia, è richiesta ad probationem quando l’oggetto del comodato sia un bene immobile conferito ad un’azienda.

 

Tra gli obblighi del comodatario c’è quello di conservare il bene ricevuto secondo la diligenza del buon padre di famiglia ed in conformità all'uso cui è destinato, sostenendo anche le spese ordinarie per la sua conservazione.

 

Un discorso a parte meritano invece le cosiddette SPESE STRAORDINARIE: a chi ne compete il pagamento?

 

A questa domanda soccorre l’art. 1808 c.c.

Trattandosi di un contratto essenzialmente gratuito, tutte le spese - sia ordinarie sia straordinarie - sono a carico del comodatario, ossia a carico del soggetto che si serve della cosa.

 

Tuttavia, se le SPESE STRAORDINARIE sono NECESSARIE ed URGENTI per la sua conservazione, oppure per consentire al comodatario di continuare a servirsi della cosa in conformità al contratto ed alla sua destinazione economica, allora SOLO IN QUESTO CASO le spese sono a carico del comodante.

 

Qualora il COMODANTE si rifiutasse di pagarle spontaneamente, il comodatario potrà scegliere di anticiparle di tasca propria, ripetendone poi l’importo corrispondente nei confronti del comodante, promuovendo una causa civile ai sensi dell’art. 1808 comma II c.c.

 

E’ tuttavia esclusa, ai fini della ripetizione del costo degli interventi, l’azione generale di arricchimento senza causa, che qualora fosse promossa incorrerebbe in una declaratoria di inammissibilità.

 

Pertanto, l’unico modo per vedersi rimborsato l’importo delle spese sostenute per interventi di manutenzione straordinaria, è di esercitare l’azione civile ai sensi della norma testè citata, e sempre a condizione che gli interventi abbiano i requisiti della NECESSITA’ e dell’URGENZA.

 

 

Si riportano di seguito alcuni precedenti di giurisprudenza sul punto in questione:

 

Cass. civ. Sez. I Ord., 14/06/2018, n. 15699

Il comodatario che, al fine di utilizzare la cosa, debba affrontare spese di manutenzione straordinaria (non riconducibili alla categoria delle spese straordinarie necessarie e urgenti per la conservazione della cosa) può liberamente scegliere se provvedervi o meno, ma, se decide di affrontarle, lo fa nel suo esclusivo interesse e non può conseguentemente, pretenderne il rimborso dal comodante. Ne consegue che se un genitore concede un immobile in comodato per l'abitazione della costituenda famiglia, egli non è obbligato al rimborso delle spese, né necessarie né urgenti, sostenute da uno dei coniugi comodatari durante la convivenza familiare per la migliore sistemazione dell'abitazione coniugale.

 

Cass. civ. Sez. I Ord., 14/06/2018, n. 15699 (rv. 649275-01)

COMODATO - Comodatario - Uso della cosa - Spese spese di manutenzione straordinaria non riconducibili alla categoria delle spese straordinarie e urgenti - Diritto al rimborso da parte del comodatario - Esclusione - Fondamento - Fattispecie

Il comodatario, che al fine di utilizzare la cosa debba affrontare spese di manutenzione straordinaria, può liberamente scegliere se provvedervi o meno, ma, se decide di affrontarle, lo fa nel suo esclusivo interesse e non può, salvo che si tratti di spese necessarie ed urgenti, pretenderne il rimborso dal comodante, non essendo quest'ultimo tenuto, in ragione dell'essenziale gratuità del contratto, a conservare la qualità del godimento della cosa, né a far sì che la stessa sia idonea all'uso cui il comodatario intende destinarla. (Nella specie, la S.C., decidendo nel merito, ha disatteso la pretesa del comodatario di insinuare al passivo del fallimento le spese sostenute per la ristrutturazione di un immobile concesso in comodato dal socio illimitatamente responsabile della società fallita ed adibito dal comodatario a casa coniugale). (Cassa e decide nel merito, TRIBUNALE BENEVENTO, 05/03/2013)

 

 

Cass. civ. Sez. III, 12/05/2017, n. 11771

Al comodatario non sono rimborsabili le spese straordinarie non necessarie ed urgenti sostenute per conto del comodante, anche se comportino miglioramenti della res.

 

 

Cass. civ. Sez. III Sent., 30/06/2015, n. 13339

La disposizione dell'art. 1808 c.c., esclude il diritto del comodatario al rimborso delle spese sostenute per servirsi della cosa (comma 1), prevedendo un'unica eccezione per le spese straordinarie occorse per la conservazione della cosa, sempreché le stesse siano state necessarie ed urgenti (comma 2), non spetta alcun rimborso (neppure nella forma dell'indennità o dell'indennizzo) per esborsi che, ancorché abbiano determinato un miglioramento, non siano risultati necessari per far fronte ad improcrastinabili esigenze di conservazione della cosa.

 

 

Cass. civ. Sez. II Sent., 27/01/2012, n. 1216

Chi concede un immobile in comodato per l'abitazione della costituenda famiglia non è obbligato al rimborso delle spese non necessarie né urgenti, sostenute da un coniuge durante la convivenza familiare per la migliore sistemazione dell'abitazione coniugale, in quanto il comodatario il quale, al fine di utilizzare la cosa, debba affrontare spese di manutenzione anche straordinarie, può liberamente scegliere se provvedervi o meno, ma, se decide di affrontarle, lo fa nel suo esclusivo interesse e non può, conseguentemente, pretenderne il rimborso dal comodante.

 

 

Cass. civ. Sez. III Sent., 29/09/2004, n. 19568 (rv. 577424)

L'azione di arricchimento senza causa, avendo natura residuale, non è legittimamente esperibile qualora il danneggiato abbia la facoltà di esercitare un'altra azione tipica nei confronti dell'arricchito onde evitare il pregiudizio economico paventato. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva dichiarato inammissibile l'azione di arricchimento senza causa proposta al fine di richiedere il rimborso delle spese straordinarie, necessarie ed urgenti sostenute in relazione ad un bene immobile oggetto di un contratto di comodato tra le parti, che l'attore sosteneva dissimulasse in realtà un contratto di locazione).

 

 

(a cura di Avv. Luca Conti)