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lunedì 28 ottobre 2024

RECUPERO CREDITI: IL PIGNORAMENTO PRESSO TERZI

 





IL PIGNORAMENTO PRESSO TERZI


Un efficace strumento per il recupero di qualsiasi credito è il pignoramento presso terzi ai sensi degli artt. 543 e ss. c.p.c., ossia il pignoramento di cose e/o di somme di denaro a qualsiasi titolo detenute e dovute da terzi al debitore principale: il creditore, una volta ottenuta la sentenza di condanna (o qualsiasi altro titolo equipollente) del debitore a pagargli la somma di danaro pretesa in pagamento e previa notifica del titolo esecutivo e dell’atto di precetto, in difetto di spontaneo pagamento può procedere col pignoramento presso terzi, che va notificato al debitore esecutato e ai terzi pignorati da parte dell’Ufficio N.E.P. nel cui circondario ha residenza lo stesso debitore.

I terzi pignorati (per esempio, il datore di lavoro piuttosto che la banca d’appoggio del debitore) devono dichiarare di quali cose e/o somme di denaro sono a propria volta debitori nei confronti del debitore principale.

In caso di dichiarazione positiva, la causa di assegnazione delle cose / somme pignorate deve essere iscritta a ruolo entro trenta giorni dall’avvenuta notifica dell'atto di pignoramento; le cose / somme pignorate sono assegnate al creditore procedente dal Giudice delle Esecuzioni.

Si propone di seguito il formulario del nuovo atto di pignoramento presso terzi, così come modificato dalla Riforma Cartabia.



TRIBUNALE DI MILANO

SEZIONE ESECUZIONI MOBILIARI

Atto di pignoramento presso terzi


Creditore pignorante: … … ... …, nato a … … ... … il … … ... … e residente a … … ... … in Via … … ... …  C.F. … … ... …  rappresento e difeso dall’Avv. … … ... … (C.F. … … ... … p.i. … … ... …), presso il cui Studio Legale a … … ... … in Via … … ... … è elettivamente domiciliato, giusta procura alle liti rilasciata in calce al presente atto ai sensi dell’art. 83 co. III c.p.c.

Debitore esecutato: … … ... …, nato … … ... … il … … ... … e residente a … … ... …  in Via … … ... … C.F. … … ... …

Terzi pignorati:

datore di lavoro, in persona del legale rappresentate p.t., con sede a … … ... … in Via … … ... … C.F. / p.i. … … ... …

banca d’appoggio, in persona del legale rappresentate p.t., presso la filiale di … … ... … con sede legale a … … ... …  in … … ... … C.F. / p.i. … … ... …

Per comunicazioni di Cancelleria e notificazioni: ai sensi e per gli effetti dell’art. 170 c.p.c. si indicano l’indirizzo p.e.c. … … ... …  ed il numero di fax (+39) … … ... …

Titolo Esecutivo: sentenza del Tribunale di … … ... … in persona del Giudice dott. … … ... …, n. … … ... …  di data … … ... …, pronunciata nella causa sub RG … … ... … notificata unitamente al pedissequo atto di precetto in data … … ... …


P R E M E S S O

- che col titolo esecutivo accluso al presente atto di precetto, a definizione della causa civile sub … … ... … il Tribunale di … … ... … così provvedeva sulle istanze delle parti … … ... …;

- che nonostante la sentenza e la richiesta di adempimento spontaneo nulla è stato pagato;

- che in data … … ... … venivano notificati al debitore esecutato il titolo esecutivo ed il pedissequo atto di precetto, recante l’intimazione di pagare la somma complessivamente precettata di € … … ... … ;

- che nel frattempo il creditore pignorante ha individuato nel datore di lavoro … … ... …  e nella banca d’appoggio … … ... …  i soggetti terzi a propria volta debitori di cose / somme di denaro debitore esecutato

- che nulla è stato pagato nei termini di legge;

- che, pertanto, si rende necessario di procedere ad esecuzione forzata mediante pignoramento ai sensi dell’art.543 e ss. c.p.c. di tutte le somme dovute e debende, a qualsiasi titolo e/o ragione, in favore del debitore esecutato … … ... … da parte dei terzi pignorati … … ... …  entro i limiti consentiti dalla legge e comunque fino a concorrenza dell’importo di € … … ... … corrispondente al credito complessivamente precettato in data … … ... … aumentato della metà, oltre alla rifusione delle spese legali della procedura esecutiva, tassa di registro sul titolo esecutivo se ed in quanto dovuta, ed accessori fiscali come per legge.

Tutto ciò premesso, il creditore pignorante come in epigrafe meglio generalizzato, rappresentato, difeso e domiciliato ut supra


C I T A

Il debitore esecutato … … ... …, nato a … … ... … il … … ... … e residente a … … ... … in Via … … ... … C.F. … … ... … a comparire avanti il 

TRIBUNALE DI MILANO - SEZ. ESECUZIONI MOBILIARI

Giudice designando, all’udienza fissata per il giorno

… / … / … ore di rito

perché sia presente alla stessa udienza ed ai successivi incombenti.

Con espresso invito rivolto ai terzi pignorati … … ... …  a comunicare la dichiarazione prevista dall’art.547 c.p.c. allo scrivente avvocato mediante lettera A/R ovvero mediante comunicazione indirizzata alla casella di posta elettronica certificata … … ... …  entro e non oltre 10 gg. dalla notificazione del presente atto, con avvertimento che in caso di mancata comunicazione la stessa dovrà essere resa dal terzo comparendo in un'apposita udienza fissata dal G.E. e che, non comparendo o non rendendo detta dichiarazione, il credito pignorato o il possesso di cose di appartenenza del debitore, nell'ammontare o nei termini indicati dal creditore, saranno considerati come non contestati ai fini del procedimento in corso e dell'esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione.

Con avvertimento rivolto al debitore esecutato … … ... … che l’opposizione prevista dall’art. 615 comma II c.p.c. è inammissibile se proposta successivamente alla vendita / assegnazione dei beni pignorati a norma degli artt. 530, 552 e 569 c.p.c. salvo che sia fondata su fatti sopravvenuti, ovvero che l’opponente dimostri di non averla potuta proporre per causa a lui non imputabile.

Elenco delle produzioni documentali:

1) titolo esecutivo … … ... …

2) atto di precetto … … ... …

Dichiarazione di valore: ai sensi del d.p.r. 115/2002 e ss. mm. la presente esecuzione mobiliare sconta un C.U. fisso pari ad € 43.00 / 139.00

Luogo … … ... … lì … … ... …

Avv. … … ... …

 

 


RELAZIONE DI PIGNORAMENTO E 

PEDISSEQUA NOTIFICA

Io sottoscritto Ufficiale Giudiziario, addetto all’Ufficio N.E.P. istituito presso il Tribunale di Milano, ad istanza di … … ... … in epigrafe meglio generalizzato nonché rappresentato, difeso e domiciliato ut supra, visti il titolo esecutivo e l’atto di precetto notificati in data … … ... …

HO PIGNORATO

tutte le somme dovute e debende, per qualsivoglia titolo o ragione, al debitore esecutato … … ... … nato a … … ... …  il … … ... … e residente a … … ... … in … … ... … C.F. … … ... …  da parte del datore di lavoro, in persona del legale rappresentate p.t., con sede a … … ... … in Via … … ... …  c.f. / p.i. … … ... … e della banca d’appoggio, in persona del legale rappresentate p.t., presso la filiale di … … ... … in Via … … ... … c.f. / p.i. … … ... …  entro i limiti consentiti dalla legge e comunque fino a concorrenza dell’importo di € … … ... … corrispondente al credito complessivamente precettato in data … … ... … aumentato della metà, oltre alla rifusione delle spese legali della procedura esecutiva, tassa di registro sul titolo esecutivo se ed in quanto dovuta, ed accessori fiscali come per legge, e contestualmente

HO INGIUNTO

ai sensi dell’art. 492 c.p.c. al debitore esecutato … … ... … ut supra meglio generalizzato di astenersi dal sottrarre a garanzia del credito azionato le somme pignorate per cui si procede,

HO INVITATO

il debitore esecutato ut supra meglio generalizzato ad effettuare la dichiarazione di residenza ovvero l’elezione di domicilio presso la Cancelleria del Giudice delle Esecuzioni di Milano ai sensi dell’art. 492 comma II c.p.c., avvertendolo che in difetto e/o in caso irreperibilità le successive notificazioni / comunicazioni saranno effettuate presso la Cancelleria dello stesso Giudice, contestualmente

HO AVVERTITO

il debitore esecutato che ai sensi dell’art. 495 c.p.c. può chiedere la sostituzione dei beni e/o delle somme pignorate con una somma di denaro pari all’importo dovuto al creditore pignorante comprensiva della sorte capitale, degli interessi legali maturati, delle spese legali nonché di quelle relative all’esecuzione, sempre che a pena di inammissibilità la relativa istanza sia depositata presso la Cancelleria del Giudice delle Esecuzioni prima che sia disposta la vendita o l’assegnazione ai sensi degli artt. 530, 552 e 569 c.p.c., unitamente ad una somma di denaro d’importo non inferiore ad 1/5 al credito per cui è stato eseguito il pignoramento e dei creditori nel frattempo intervenuti,

HO AVVERTITO

il debitore esecutato che ai sensi dell’art. 615 comma II c.p.c. l’opposizione è inammissibile se proposta dopo che è stata disposta la vendita o l’assegnazione a norma degli artt. 530, 552 e 569 c.p.c. salvo che sia fondata su fatti sopravvenuti, ovvero che l’opponente dimostri di non averla potuta proporre per causa a lui non imputabile,

HO INVITATO

il debitore esecutato ai sensi dell’art. 492 comma IV c.p.c. ad indicare ulteriori beni utilmente pignorabili, i luoghi in cui si trovano ovvero la generalità dei terzi debitori, avvertendolo della sanzione prevista per omessa o falsa dichiarazione,

HO INTIMATO

ai terzi pignorati … … … … di non disporre delle somme pignorate senza l’ordine del Giudice delle Esecuzioni pena le conseguenze come per Legge ai sensi dell’art. 546 c.p.c.

HO AVVERTITO

i terzi pignorati … … … …  che in caso di mancata comunicazione della dichiarazione prevista dall'art. 547 c.p.c., la stessa dovrà essere resa comparendo in un'apposita udienza fissata dal G.E. e che, non comparendo o non rendendo detta dichiarazione, il credito pignorato o il possesso di cose di appartenenza del debitore, nell'ammontare o nei termini indicati dal creditore, saranno considerati come non contestati ai fini del procedimento in corso e dell'esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione, ed infine

HO NOTIFICATO   

ad ogni conseguente effetto di legge il retroesteso atto di pignoramento presso terzi di data … … … … rilasciandone copia a: debitore esecutato e terzi pignorati … … … …

 

(a cura di Avv. Luca Conti)


martedì 2 luglio 2024

DIRITTO CONDOMINIALE: RIPARTIZIONE DELLE SPESE PER LA MANUTENZIONE DEL TETTO

 





RIPARTIZIONE DELLE SPESE PER LA

MANUTENZIONE DEL TETTO CONDOMINIALE

 

A chi competono e con quali criteri devono essere ripartite tra i Condomini le spese per la manutenzione o per la sostituzione del tetto condominiale ammalorato?

La risposta non è sempre univoca e occorre distinguere caso per caso.

Anzitutto, occorre partire dal dato normativo ricavabile dall’art.1117 c.c. stante il quale il tetto e il lastrico solare rientrano tra le parti comuni dell’edificio, salvo che non risulti diversamente dal titolo di acquisto. Il che significa in linea di principio che, se si tratta una parte comune, tutti i Condomini devono concorrere al pagamento delle spese tanto in caso di manutenzione quanto in caso di sostituzione integrale del tetto.

Ciò che distingue il tetto dal lastrico solare è essenzialmente che il primo è inclinato e assolve alla funzione di riparare l’edificio dagli agenti atmosferici, mentre il secondo è orizzontale e può assolvere anche diverse funzioni nell’interesse di uno o più Condomini.

Chiarita la diversa funzione del tetto e del lastrico solare, quel che emerge dal dato normativo è che nella generalità dei casi tetto e lastrico solare rientrano tra le parti comuni dell’edificio, sicché ciascun condomino ne è comproprietario pro quota in base ai propri millesimi di proprietà e l’art. 1123 comma I c.c. ne sopporta le spese di manutenzione e di sostituzione in proporzione ai millesimi che detiene.

A questa regola di carattere generale deroga l’ultimo comma dell’art. 1123 c.c., a tenore del quale se un edificio ha – per esempio – più lastrici solari destinati a servirne una sola porzione del fabbricato, le relative spese di manutenzione sono poste a carico del gruppo di condomini che ne trae una utilità e quindi delle unità immobiliari poste al di sotto della verticale del lastrico: è il caso dei supercondomini dove vi sono più corpi di fabbrica e più tetti o lastrici, le cui spese andranno poste a carico delle unità poste al di sotto della loro verticale.

Tuttavia, può accadere che in base al titolo di acquisto il tetto o il lastrico solare appartengano non già all’intero condominio, ma bensì in proprietà esclusiva dell’unità immobiliare sottostante: è il caso degli appartamenti mansardati ricavati dai sottotetti.

In questo caso, per la ripartizione delle spese in caso di manutenzione o di sostituzione del tetto deve farsi riferimento all’art.1126 c.c. a tenore del quale quando l’uso dei lastrici solari o di una parte di essi non è comune a tutti i condomini, quelli che ne hanno l’uso esclusivo sono tenuti a contribuire per 1/3 alla spesa, mentre i restanti 2/3 sono posti a carico di tutti gli altri condomini dell’edificio o di parte di esso, cui il lastrico solare serve in proporzione al valore del piano o della porzione di piano di ciascuno”.

La norma espressamente dedicata al “lastrico solare” è suscettibile di applicazione analogica al tetto quando - come sopra detto - dal titolo di acquisto o dall’atto di provenienza risulti che l’unità mansardata ha la proprietà esclusiva del tetto.

Lo scopo dell’art.1126 c.c. è quello di porre una quota predefinita di spese (1/3 del totale) a carico del Condomino che del lastrico solare (o del tetto in caso di mansarda) fa un uso più intenso, mentre i restanti 2/3 sono posti a carico degli altri Condomini in base ai rispettivi millesimi, giacché la funzione del lastrico solare (così come del tetto) è anche quella di preservare l’edificio dagli agenti atmosferici.

Dalla lettura dell’art.1126 c.c. emerge un ulteriore dato: il legislatore ha fatto esplicito riferimento alle spese di riparazione e di rifacimento; diverso invece è il caso degli interventi destinati ad una migliore coibentazione all’appartamento sottostante il tetto. In tale ultimo caso, la spesa per migliorare la coibentazione andrà posta a carico della sola unità mansardata, trattandosi di un intervento la cui utilità è funzionale solamente a quest’ultima unità e non anche alla altre sottostanti.

In conclusione: si può affermare che nel caso di un tetto in proprietà comune le spese di manutenzione e di rifacimento integrale sono ripartite tra tutti i condomini secondo le tabelle millesimali; viceversa, nel caso di un tetto o di un lastrico in proprietà esclusiva di una sola unità immobiliare, le spese sono da ripartirsi secondo la predetta regola di 1/3 e 2/3; infine, le spese di coibentazione del tetto soprastante l’unità mansardata sono ad esclusivo carico dell’appartamento che del tetto è proprietario e che da esso trae la maggiore utilità.

 

(a cura di Avv. Luca Conti)

 


venerdì 21 giugno 2024

DIRITTO DELLE PERSONE: INTERDIZIONE - INABILITAZIONE - AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO

 



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DIRITTI DELLE PERSONE

INTERDIZIONE - INABILITAZIONE - AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO


Lo Studio Legale CONTI fornisce consulenza e assistenza legale giudiziale nei procedimenti di interdizione (art.414 c.c.), inabilitazione (art. 415-416 c.c.) e di amministrazione di sostegno (art.404 c.c.) a favore di persone che risultano incapaci - totalmente o parzialmente - di provvedere ai propri interessi.

Nel nostro ordinamento i minori di anni 18 sono privi della capacità di agire, ossia privi della capacità di compiere validamente atti giuridici quali vendere, comprare, costituire procure, firmare assegni o cambiali, etc. Fino al raggiungimento del diciottesimo anno d’età i minori sono soggetti alla tutela dei genitori, che viene meno - appunto - col raggiungimento della maggiore età.

Vi sono dei casi, tuttavia, in cui il soggetto divenuto maggiorenne non è in grado di provvedere a se stesso, a causa di una grave menomazione fisica piuttosto che di un vizio della mente: in questi casi è previsto che queste persone vengano supportate nei propri bisogni di cura e di gestione del patrimonio attraverso l’ausilio di parenti (entro il IV grado) o di soggetti professionisti che prendono il nome di tutori, curatori e amministratori di sostegno sempre sotto la supervisione del Giudice Tutelare.

L’interdizione (art.414 c.c.) può essere chiesta nei confronti della persona maggiorenne che si trova in condizioni di abituale infermità di mente, tale da renderla incapace di provvedere ai propri interessi in modo permanente. In questo caso il tutore rappresenterà l’amministrato tanto nel compimento di atti di ordinaria amministrazione quanto di straordinaria amministrazione.

 

L’inabilitazione (artt. 415 - 416 c.c.) può essere chiesta nei confronti della persona maggiorenne il cui stato non è talmente grave da dare luogo a interdizione: può essere inabilitato - per esempio - colui che, per prodigalità o per abuso di bevande alcoliche o di stupefacenti, espone sé o la sua famiglia a gravi pregiudizi economici. Possono essere inabilitati anche i ciechi ed i sordomuti se del tutto incapaci di provvedere ai propri interessi. In questi casi il curatore affiancherà l’amministrato solo nel compimento di atti di straordinaria amministrazione (ad esempio l’acquisto o la vendita di un immobile).

 

L’amministrazione di sostegno (art.404 c.c.) è prevista per le persone affette da infermità o da una menomazione fisica o psichica, che si trovano nell’impossibilità anche parziale o temporanea di provvedere ai propri interessi. In questo caso l’amministrato non perde la capacità di agire per il compimento di tutti quegli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore, e può compiere validamente atti necessari a soddisfare le proprie esigenze di vita quotidiana.

L’interdizione e l’inabilitazione possono essere chieste dal coniuge, dai parenti entro il IV grado, dagli affini entro il II grado e dal pubblico ministero; l’amministrazione di sostengo può essere chiesta anche dal diretto interessato o dai Servizi Sociali.

È sempre necessaria l’assistenza di un legale; il procedimento si svolge dinnanzi al Giudice Tutelare e si conclude con sentenza. Se ricorrono i requisiti di reddito l’interessato può fare istanza di ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato.

Per appuntamenti e consulenze: avvocato.lucaconti@libero.it

 

 


LOCAZIONI: IL CONTRATTO DI LOCAZIONE NON REGISTRATO E' NULLO





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IL CONTRATTO DI LOCAZIONE È NULLO

SE NON VIENE REGISTRATO

 

Con l’entrata in vigore dell'art.1 della Legge n.311/2004 la registrazione del contratto di locazione, sia esso ad uso abitativo che commerciale, è divenuta obbligatoria a fini tributari / fiscali, con la conseguenza che l'omessa e/o la ritardata registrazione del contratto ne determina la nullità assoluta ed insanabile, nel senso che anche la ritardata denuncia / registrazione non sanano la nullità.

La registrazione del contratto a fini fiscali deve avvenire entro e non oltre 30 gg. dalla sottoscrizione, ed a nulla vale la ritardata registrazione oltre il suddetto termine effettuata dal conduttore, dal momento che l'obbligo di registrazione ricade esclusivamente sul locatore.

L’obbligo di registrazione vale per tutti i contratti  di locazione, di durata superiore a 30 gg. l’anno.

Occorre - altresì - ricordare che il contratto di locazione, qualunque sia l’importo del canone e la sua durata, deve essere redatto per iscritto sotto pena di nullità (art. 1 comma IV legge n.431/1998).

La giurisprudenza, che negli anni si è occupata di questo problema, ha assunto orientamenti talvolta contrapposti: alcune pronunce hanno optato per l'inefficacia del contratto e la nullità sanabile per effetto della registrazione tardiva (ossia la registrazione del contratto oltre il termine di 30 gg. dalla sottoscrizione lo rende valido da quel momento), mentre altre pronunce (si vedano Corte d'Appello di Brescia, sent. n.682/2012, Tribunale di Napoli, sent. n.5398 dd. 25/05/2023) hanno optato per la nullità insanabile.

La Corte di cassazione a Sezioni Unite (Cass. Civ. SS.UU. ordinanza n.37/2014) ha stabilito che il contratto di locazione, di durata superiore a 30 gg., che non sia stato registrato nei termini di legge è insanabilmente nullo, giacché l'obbligo di registrazione è sancito in una norma tributaria di rango primario. 

Dall'affermazione di questo principio discendono due importanti conseguenze:

a)     il conduttore che ha versato il canone di affitto ha diritto alla restituzione da parte del locatore di quanto pagato in esecuzione del contratto nullo;

b)    il locatore NON può avvalersi della consueta procedura di sfratto per liberare l'immobile, giacché essa ha come presupposto la stipulazione di un contratto valido.

Pertanto, in caso di morosità del conduttore, il locatore non potrà promuovere la consueta domanda di sfratto per morosità, ma dovrà proporre una diversa domanda secondo il rito ordinario oppure ai sensi del rito semplificato introdotto dalla Riforma Cartabia ai sensi dell’art. 281 undecies c.p.c. (si veda di seguito il relativo formulario), mentre la domanda del conduttore finalizzata alla restituzione del canone di locazione (compresa la caparra) andrà proposta - se del caso in via riconvenzionale - avanti il Tribunale del luogo dove si trova l'immobile oggetto di locazione, previo esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione civile / commerciale ai sensi degli artt. 4 e 5 del D. Lgs. n.28/2010.

In materia locatizia, infatti, l’esperimento del tentativo di mediazione obbligatoria è condizione di procedibilità dell’azione giudiziale.

Recentemente il Tribunale di Napoli, con la sentenza n.5398 dd. 25/05/2023 ha accolto la domanda restitutoria dei locali formulata dal proprietario per effetto della morosità del conduttore, mentre ha rigettato la domanda di registrazione tardiva formulata da quest’ultimo, che è stato pure condannato per responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 com.3 c.p.c. per non avere preso parte alla mediazione obbligatoria in violazione dell’art. 12 co. 3 bis del D. Lgs. 28/2010: ha ritenuto il giudice partenopeo un contratto di locazione non redatto in forma scritta e non registrato a fini fiscali è insanabilmente nullo, per cui il conduttore va considerato alla stregua di un occupante abusivo e non ha diritto alla sanatoria per effetto di una registrazione tardiva. Di più, il giudice partenopeo ha anche condannato il conduttore al pagamento di una somma equitativamente determinata per non avere preso parte alla mediazione e per avere resistito in giudizio con colpa grave.

 

(a cura di Avv. Luca Conti)

 

martedì 18 giugno 2024

GUASTO ALL'IMPIANTO ELETTRICO DI CASA

 

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GUASTO ALL’IMPIANTO ELETTRICO DI CASA

CHI PAGA TRA INQUILINO E PROPRIETARIO?

 

Quando si verifica un guasto all’impianto elettrico di casa, chi deve pagare la riparazione tra l’inquilino e il proprietario di casa?

La risposta non è univoca e occorre distinguere caso per caso.

Partendo dal dato normativo, l’art. 1575 c.c. dispone che il locatore (il proprietario di casa) deve consegnare al conduttore (l’inquilino) l’appartamento in buono stato di manutenzione, deve mantenerlo in stato tale da servire all’uso convenuto e garantirne il pacifico godimento.

Da questa norma si può già offrire una prima risposta: se il malfunzionamento dell’impianto elettrico è preesistente al contratto di locazione, le relative spese sono esclusivamente a carico del proprietario, dal momento che è obbligo di quest’ultimo di mettere a disposizione dell’inquilino un appartamento in buono stato di manutenzione e in condizioni idonee ad essere utilizzato.

Inoltre, non possono essere imputate all’inquilino spese per riparazioni rispetto a danni che si sono verificati in dipendenza di un precedente rapporto locatizio.

Pertanto, prima di sottoscrivere il contratto, sarà buona regola che il conduttore verifichi anche il corretto funzionamento dell’impianto elettrico e, se del caso, segnalare subito e per iscritto (affinché ne resti traccia) al proprietario eventuali malfunzionamenti.

Allo stesso modo, se l’impianto elettrico non è a norma perché vetusto, le spese di adeguamento alla normativa vigente saranno ad esclusivo carico del proprietario.

A parte questi due casi pratici che possono verificarsi prima che si dia esecuzione al contratto di locazione, per il resto vale la regola generale dettata dagli artt. 1576 e 1609 c.c., stanti i quali il locatore (proprietario di casa) deve eseguire in corso di locazione tutte le riparazioni necessarie, ad eccezione della piccola manutenzione dovuta all’usura che resta in carico al conduttore (inquilino).

Ne segue che rientrano nella gestione ordinaria dell’immobile le piccole riparazioni (sostituzione dei punti luce, delle lampadine, delle pulsantiere, delle prese elettriche e dei segnalatori acustici) che sono conseguenza dell’usura e che per tale motivo sono a carico dell’inquilino, mentre gli interventi straordinari (sostituzione del quadro elettrico generale piuttosto che la sostituzione di tutto l’impianto elettrico di casa) spettano al proprietario.

A quest’ultimo riguardo si segnala la seguente sentenza: in tema di locazione di immobili, gli artt. 1576 e 1609 c.c. pongono a carico del conduttore l'obbligo di eseguire le riparazioni di piccola manutenzione; quelle relative agli impianti interni all'immobile (ad esempio elettrico, idrico, termico) per l'erogazione dei servizi indispensabili al suo godimento non rientrano, come tali, nelle riparazioni dette, restando a carico del locatore tutti gli interventi necessari per ricondurre l'immobile locato in buono stato locativo; in particolare la riparazione degli infissi esterni dell'immobile non rientra tra quelle di piccola manutenzione a carico del conduttore, perché i danni riportati dagli infissi, a meno che non siano dipendenti da uso anormale dell'immobile, debbono presumersi dovuti al caso fortuito o a vetustà e debbono essere, conseguentemente, riparati dal locatore” (Corte d’appello di Genova, Sez. I, sent. del 03/05/2021, n.453).

Va anche detto che in ossequio al principio di autonomica contrattuale (art. 1322 c.c.) le parti possono sempre estendere il contenuto delle disposizioni sopra elencate e quindi stabilire ex ante quali spese saranno in carico al conduttore e quali al locatore, ma sempre nel rispetto delle linee guida stabilite dalla normativa vigente: per esemplificare, sarebbe nulla la clausola contrattuale che, in deroga agli artt. 1575-1576-1609 c.c., ponesse ad esclusivo carico del conduttore tutte le spese di manutenzione dell’impianto elettrico comprese quelle di natura straordinaria.

Un altro caso pratico è la posa di una linea dedicata a grossi elettrodomestici che necessitano di sopportare un consumo ed un voltaggio molto elevati: si pensi all’installazione di una linea elettrica espressamente dedicata all’impianto di climatizzazione non presente nell’appartamento, questo intervento resta a carico del conduttore, salvo diversa pattuizione, perché non rientra tra gli obblighi che la legge impone al proprietario.

In caso di danni causati dal malfunzionamento dell’impianto elettrico, chi paga?

Anche in questo caso occorre distinguere caos per caso: se si tratta di danni conseguenti ad un difetto di manutenzione per l’usura (che resta in carico al conduttore), i relativi costi sono a carico dell’inquilino; mentre se si tratta di carenze strutturali dell’impianto elettrico (che invece restano a carico del locatore), sarà quest’ultimo a doversene fare carico.

A tale ultimo riguardo si segnala la seguente sentenza: “nell'ipotesi di danni patiti dal conduttore della cosa locata, il diritto al risarcimento sussiste su base contrattuale, e discende dall'art. 1581 c.c., che richiama l'art. 1578 c.c., e in particolare il suo secondo comma, in quanto il danno deriva da un vizio della cosa locata, giusto il principio di diritto già affermato da questa Corte, secondo cui appunto costituiscono vizi della cosa locata, agli effetti di cui all'art. 1578 c.c., quelli che incidono sulla struttura materiale della cosa, alterandone l'integrità in modo tale da impedirne o ridurne notevolmente il godimento secondo la destinazione contrattuale o legale” (Cass. civ., Sez. III, sent. del 20/02/2024, n.4578).

 

(a cura di Avv. Luca Conti)

venerdì 24 novembre 2023

CONSULENZA E ASSISTENZA STRAGIUDIZIALE: IL COMPENSO DELL'AVVOCATO

 





IL COMPENSO DELL'AVVOCATO PER LA CONSULENZA E L'ASSISTENZA STRAGIUDIZIALE

 

Particolarmente dibattuta e spesso fonte di controversie tra avvocati e clienti è la questione relativa al diritto al compenso maturato per l’attività stragiudiziale, ossia quella che viene svolta nell’interesse della parte assistita al di fuori di un contenzioso giudiziario, civile o penale.

Vediamo di fare un po’ di chiarezza.

Anzitutto, trattandosi di una prestazione d’opera intellettuale, il diritto al compenso dovuto all’avvocato è regolato in primis dall’art. 2233 c.c., a tenore del quale “il compenso, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice, sentito il parere dell’associazione professionale a cui il professionista appartiene. In ogni caso, la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione”.

Ne segue che il primo criterio per determinare il compenso è l’accordo (se precedentemente stipulato) tra avvocato e parte assistita, in assenza del quale il giudice investito della relativa controversia dovrà fare riferimento ai cosiddetti “parametri forensi” regolati dal D.M. n.55/14 (oggi aggiornato al D.M. n.147 del 13/08/2022), agli usi ed infine al parere dell’associazione professionale cui l’avvocato appartiene.

Quanto alla prova del conferimento dell’incarico, erroneamente taluni ritengono che l’omessa sottoscrizione del “contratto di mandato” escluda il diritto al compenso.

Al contrario, la parte assistita è tenuta a pagare comunque all’avvocato il compenso maturato per l’attività di assistenza e consulenza stragiudiziale, anche quando questa non sia strettamente connessa a quella successiva giudiziale, non essendo necessaria per la sua liquidazione la sottoscrizione di un contratto ad hoc.

Ed infatti, mentre per la liquidazione del compenso maturato nella fase giudiziale occorre il conferimento da parte del cliente della cosiddetta “procura alle liti”, per l’espletamento dell’attività stragiudiziale il conferimento dell’incarico può essere dato in qualsiasi forma idonea a manifestare la volontà della parte assistita di ricorrere all’attività del professionista: addirittura per l’avvocato è ammessa la prova del conferimento dell’incarico per mezzo di testimoni o ricorrendo a presunzioni semplici.

Anche una semplice mail spedita dalla parte assistita all’avvocato può costituire la prova documentale del conferimento dell’incarico.

In quest’ambito la giurisprudenza dei tribunali territoriali e della Corte di Cassazione ha chiarito che (…) il mandato professionale per l’espletamento di attività professionale stragiudiziale non deve essere provato necessariamente con la forma scritta ad substantiam ovvero ad probationem, potendo essere conferito in qualsiasi forma idonea a manifestare il consenso delle parti e potendo il giudice ammettere l’interessato a provare anche per testimoni sia il contratto, sia il suo contenuto (…) (Cass. Civ., Sez. I, sent. n.4705 dd. 25/02/2011; Cass. Civ., Sez. VI, ord. n.3968/17 dd. 14/02/2017; Cass. Civ., Sez. I, ord. n.29614 dd. 16/11/2018; Cass. Civ., Sez. VI, ord. n.3506 dd. 12/02/2020; Corte d’Appello Roma, Sez. III, sent. n.1070 dd. 15/03/2011; Trib. di Trento, Sez. di Cavalese, sent. n.7 dd. 05/02/2013).

Ed ancora: “(…) il rapporto di prestazione d’opera professionale, la cui esecuzione sia dedotta dal professionista come titolo del diritto al compenso, postula l’avvenuto conferimento del relativo incarico in qualsiasi forma idonea a manifestare inequivocabilmente la volontà di avvalersi della sua attività e della sua opera da parte del cliente convenuto per il pagamento di detto compenso. In caso di contestazione del diritto al compenso, la prova dell’avvenuto conferimento dell’incarico può essere data dall’attore con ogni mezzo istruttorio, anche per presunzioni, mentre compete al giudice di merito valutare se, nel caso concreto, questa prova possa o meno ritenersi fornita (…)” (Corte d’Appello di Milano, Sez. II, sent. dd. 19/10/2017).

Ad abundantiam: “(…) in tema di attività professionale svolta da avvocati il mandato sostanziale costituisce un negozio bilaterale (cosiddetto contratto di patrocinio) con il quale il professionista viene incaricato, secondo lo schema negoziale che è proprio del mandato, di svolgere la sua opera professionale in favore della parte. Ne consegue che, ai fini della conclusione del contratto di patrocinio, non è indispensabile il rilascio di una procura ad litem, essendo questa necessaria solo per lo svolgimento dell’attività processuale, e che non è richiesta la forma scritta, vigendo per il mandato il principio di libertà di forma (…) (Cass. Civ., Sez. II, dd. 16/06/2006, n.13963; Cass. Civ., Sez. II, dd. 18/07/2002, n.10454).

Altrettanto erroneamente taluni ritengono che l’omessa consegna alla parte assistita del preventivo scritto costituisca un giustificato motivo per escludere il diritto al compenso.

Anche qui bisogna fare chiarezza partendo dal dato normativo.

L’art. 27 comma 2 del Codice Deontologico Forense dispone che “l’avvocato deve informare il cliente e la parte assistita sulla prevedibile durata del processo e sugli oneri ipotizzabili; deve inoltre, se richiesto, comunicare in forma scritta, a colui che conferisce l’incarico professionale, il prevedibile costo della prestazione”.

Che cosa accade, allora, se il professionista non rilascia il preventivo al cliente che gliene ha fatto richiesta?

Attualmente non esiste una norma chiara, di tipo sanzionatorio, che preveda specifiche conseguenze se non viene rilasciato il preventivo precedentemente richiesto; attualmente esistono due orientamenti in giurisprudenza che si possono riassumere così:

a) un primo orientamento ritiene che l’assenza del preventivo determini la nullità del contratto tra parte assistita e professionista, col conseguente venir meno del diritto al compenso;

b) un secondo orientamento ritiene, invece, che l’assenza del preventivo non incide sulla validità del contratto e sul diritto al compenso.

A parere di chi scrive, in assenza di una specifica norma sanzionatoria e visto il tenore letterale dell’art. 27 comma 2 del C.d.F. sopra citato, anche in assenza del preventivo il contratto tra professionista e parte assistita resta valido, ragion per cui nel caso di una controversia la determinazione del compenso dovrà avvenire da parte dell’Autorità Giudiziaria applicando i parametri medi di cui al D.M. 55/14 e ss. mm.

Infine, quale strada deve percorrere l’avvocato per ottenere dall’Autorità Giudiziaria la liquidazione del compenso maturato per l’attività stragiudiziale e la condanna al pagamento a carico della parte assistita?

Per l’attività di assistenza e consulenza stragiudiziale le strade alternative sono due:

1)     ricorso per ingiunzione di pagamento in presenza di un riconoscimento di debito della parte assistita ovvero previo parere di congruità della parcella, espresso dal consiglio dell’ordine di appartenenza dell’avvocato;

2)     ricorso secondo il nuovo rito semplificato (artt. 281 undecies e ss. c.p.c., Riforma Cartabia) indirizzato al Giudice di Pace ovvero al Tribunale nel cui circondario risiede la parte assistita (foro del consumatore), a seconda del valore di lite controverso.

Invece, Per l’attività giudiziale l’avvocato ha sempre due possibili strade alternative tra loro:

1)     ricorso per ingiunzione di pagamento in presenza di un riconoscimento di debito della parte assistita ovvero previo parere di congruità della parcella espresso dal consiglio dell’ordine di appartenenza dell’avvocato;

2)      ricorso “speciale” disciplinato dagli artt. 3, 4 e 14 del D. Lgs. n.150/2011 da indirizzare all’ufficio giudiziario che per ultimo (in caso di più gradi di giudizio) ha conosciuto la causa dalla quale la lite sul compenso trae origine.

A tale ultimo riguardo, la Corte di Cassazione (sent. n. 4485 del 2018 e n. 4247 del 2020) ha affermato che in seguito all'introduzione dell'art. 14 del D.lgs. n.150/2011, le controversie previste dall’art. 28 della Legge n.794/1942 e l'opposizione proposta a norma dell'art. 645 c.p.c. contro il decreto ingiuntivo inerente onorari, diritti o spese degli avvocati, sono regolate dal rito sommario di cognizione di cui al citato decreto.

La competenza appartiene all’ufficio giudiziario presso il quale l’avvocato ha svolto la propria opera, salvo che prevalga il foro del consumatore.

Addirittura, la Corte di Cassazione con la sent. n.8929 del 29/03/2023 ha affermato che il Giudice di Pace, adito per il processo in cui l'avvocato ha prestato la propria opera, è competente a decidere le controversie in materia di liquidazione degli onorari previste dall’art. 28 della L. n. 794 del 1942, secondo il rito di cui all’art. 14 del D.Lgs. n. 150 del 2011, in quanto la riserva di collegialità non costituisce un tratto essenziale di questo procedimento, come del resto conferma la scelta in favore del tribunale in composizione monocratica, operata con il D.Lgs. n. 149/2022, che ha modificato la formulazione dell’art. 14, secondo comma del D. lgs. n. 150/2011.

 

(a cura di Avv. Luca Maria Conti)